Recensione Garibaldi

Resoconto veritiero delle sue valorose imprese, ad uso delle giovini menti.

Recensione Garibaldi
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Rosa e Domenico fanno bene ad arrabbiarsi se l'ultimogenito da grande vuole fare il lupo di mare, il marinaio, il pirata. Un fratello produce olio a Bitonto, l'altro coltiva fiori, un terzo è console a Philadelpia.
E il piccolo Giuseppe invece aspira a un'esistenza in cambusa. Sbarca con alcuni amichetti sulle coste liguri ma riceve la soffiata di un prete e da allora addossa su tutto il clero vaticano le colpe di un'Italia divisa e sfibrata da lotte interne. Non gli fa quindi certo bene la gita a fianco di papà nella città di Roma, dominata da Papa Pio IX che assomiglia tanto a un teletubbies. Insofferente, il genitore spedisce il suo frugoletto su una nave mercantile. Lo spedisce a calci nel sedere, spazientito com'era. "Porterò onore e lustro al buon nome della famiglia e della patr...", sese.
Da allora parte per l'imberbe Giuseppe una vita da ramingo, senza terra, alla scoperta del mondo, dell'uno e dell'altro mondo in nome di un nobile ideale che lui chiama Patria. E non si tratta solo della vagheggiata e sospirata Italia, ma, obietta, "casa è ovunque si è disposti a versare il proprio sangue e a tenere in ordine i calzini".

Una Storia tutta italiana

La giovinezza di Giuseppe Garibaldi raccontata da Tuono Pettinato, nome da battaglia di Andrea Paggiaro, assume tratti surreali e si carica di una forza ironica destinata a straripare in divertite risate.
Giocare con un eroe nazionale non è cosa da tutti, farlo senza calcare eccessivamente la sua biografia è cosa da pochi. Il fumetto Garibaldi, in libreria per la Rizzoli Lizard, raccoglie l'acume e l'umorismo dell'autore bolognese già in passato cimentatosi con figure protonovecentesche quali Matisse (Matisse Reloaded) e Marinetti, il primo presentato come uno che pensa alla Matrix, il secondo come un autore sgrammaticato. C'è non poca irriverenza, specie per le serissime vite a fumetti di Sergio Toppi o la Storia d'Italia a fumetti curata a suo tempo dal giornalista Enzo Biagi, acclusa tra le fonti di Paggiaro. E quindi non è che il fumettista dei Ricattacchiotti per Repubblica XL vuole prendere in giro il patriota nizzardo, screditarlo davanti al mondo delle nuvole parlanti, sbeffeggiarlo in diretta nazionale nei centocinquantanni dalla sua impresa, schiaffeggiarlo moralmente come un vile, un ingenuo, un vanaglorioso, un irascibile.
Non si fraintenda: Garibaldi è tutto questo, o meglio l'uomo Garibaldi aveva i pregi di essere leale e patriottico, ma quanto a difetti non era certo privo. Eppure nel rigirare la figura Paggiaro ben comprende la statura del personaggio storico, la sua centralità nel processo di unificazione, ma al tempo stesso non può che ghignare di gusto davanti a certi atteggiamenti dell'uomo.

Contenuti esuberanti

"Coraggiosi compatrioti, se mi chiedessero d'esser protagonista di codesto libro, financo ivi mi si prendesse a zimbello, senz'esitare offrirei il mio petto alla Storia, gridando a gran voce 'Obbedisco!' ". Parla Garibaldi e dietro tutti gli altri personaggi di codesto fumetto: lo scrutano mentre pronunzia un discorso parodico del celebre telegramma inviato mentre marciava verso Trento alla vigilia della Terza Guerra d'Indipendenza. Girati i tacchi se ne tornò a casuccia, abbandonando le proprie mire sul Trentino.
E' solo il primo di una serie di contenuti extra che Paggiaro inserisce al termine del volume tra cui schizzi preparatori, riproduzioni di litografie d'epoca e financo alcune vignette sul senso patriottico. Chiude la carrellata una mini-storiella di quattro pagine avente come protagonista Goffredo Mameli, l'autore di "Fratelli d'Italia".

1000 fucili x 1000 soldati = 1000000 di fucili

Garibaldi è accurato storicamente e dettagliato nella resa biografica, ma è anzitutto fumetto umorista, impertinente e stralunato. Lo stile grafico caricaturale, oseremmo dire super-deformed, fa uso quasi esclusivo dei colori primari donando alle gloriose imprese tutto fuorchè le cromie dell'epos. Paggiaro reinterpreta la storia con coraggio revisionista: il Papa Pio IX, quello prigioniero in Vaticano dopo la breccia di Porta Pia, assomiglia a un Teletubbies, incute un timore perverso con la sua grande faccia bonaria e serafica; Mazzini è un timoroso, s'aggira per Londra come un ninja prendendo tutte le precauzioni del caso, ma salta sulla sedia non appena qualcuno gli rivolge la parola, foss'anche un barista che chiede l'ordinazione; Cavour s'atteggia da nobile snob, mal considerando la plebaglia, ivi incluso Garibaldi e le sue valorose camicie rosse, mandate a sporcarsi sui cambi di battaglia, mentre lui tracanna Barolo nei palazzi piemontesi. E così via tutti gli eroi del Risorgimento, i busti che la tradizione ha scolpito nelle piazze d'Italia e i padri della patria cantati da De Amicis in Cuore, tutti sbeffeggiati da Paggiaro non sulla scia di un sentimento antinazionale, ma semplicemente perchè li presenta come uomini dotati di intrinseche debolezze.
Non prende le distanze dallo spirito risorgimentale come molti storici o pensatori hanno trovato conveniente fare, ma piuttosto lo esalta nella profonda devozione a una nazione da costituirsi pur portata avanti in maniera rocambolesca. Il nizzardo dapprima si arruola nella Marina piemontese complottando con Mazzini e la sua Giovine Italia: più che l'addestramento, Garibaldi si preoccupa di spargere la voce del riscatto patriottico organizzando spaghettate a tema. Tra un bucatino e l'altro ci dovrebbe essere il tempo di parlare un po' di quest'Italia divisa. Ma l'iniziativa non ottiene il successo sperato e all'eroe tocca fuggire lontano lontano.
Lo sappiamo va in Sud America, acquista "uno di quei tappeti che s'indossano", cioè "un poncho da gaucho", e lotta per la liberazione delle popolazioni latine. Conosce qui la temeraria Anita, bella e fiera nel lottare insieme ai ribelli: la corteggia, le fa un tenero disegnino dello Stivale irredento e infine se la sposa. L'unione cementifica la rivoluzione, tiene alto il morale delle truppe, innalza gli animi ora riuniti sotto il rosso vessillo del sangue e anche del coraggio.
Garibaldi diventa celeberrimo e l'eco delle sue valorose imprese arriva anche in Europa: di lui si dice che abbia sconfitto eserciti di migliaia di uomini, l'abbia fatta pagare a malefici dittatori, sia riuscito a resistere alle tentazioni di Satana, quando magari a monte aveva solo menato uno schiaffetto alla mosca che dava noie al suo brodino di farro. Sfortunata quella terra che ha bisogno d'eroi...
Bisogna ingaggiarlo, sfruttarlo, ma comunque controllarlo questo Giuseppe Garibaldi, rimugina frattanto Camillo Benso Conte di Cavour. A Solferino nel '59 i garibaldini si destreggiano abilmente ed hanno un peso preponderante nella liberazione della Lombardia; Emilia e Toscana con una plebiscito approvano l'annessione al Regno di Sardegna. E' l'idilliaca proclamazione del Regno d'Italia: Garibaldi vorrebbe tanto far guerra all'odiato Stato della Chiesa ma riceve un secco diniego dal governo piemontese. Non resta nessun altro a cui fare la guerra se non ai Borboni: dall'America arriva un bastimento carico carico di pistole fabbricate dal colonnello Colt, Cavour stacca un assegno per l'acquisto di mille fucili, uno per ciascuna delle camicie rosse assiepatesi allo scoglio di Quarto addì 6 Maggio 1860. Il resto è Storia Risorgimentale, di quella raccontata e straraccontata sui libri di scuola, tra interventi della massoneria mazziniana e consegna del Meridione in quel di Teano che poi Teano non era, ma solo qualche collina più in là.
Paggiaro va avanti fino alla morte dell'eroe e alla "cementificazione" del mito in statue equestri e busti da disseminare per borghi e città dell'Italia una e indivisibile. A dire il vero Garibaldi non ci sta a morire così e il fumettista bolognese immagina un regolamento di conti che lasciamo al lettore scoprire.

Garibaldi Garibaldi giunge da un autore che ha davanti a sé una promettente carriera. Partito dall'ambiente underground bolognese si è fatto strada all'interno del fumetto peninsulare grazie al forte talento umoristico e alla profonda professionalità. Ogni vignetta di Paggiaro, pur racchiudendo una battuta, un ironia, una satira, ha alle proprie spalle un lavoro di documentazione intenso e metodico, una consultazione di fonti storiche e fumettistiche per restituire con la migliore linearità possibile la storia dell'eroe dei due mondi. Che fa ridere proprio perchè il mito parla del grande spirito patriottico di cui era intriso, ma non delle sue ingenuità e della sua goffaggine. Il disegno è assai personale, non coinvolge uno stile in particolare, ma si fa ricordare per l'accesa cromia dal taglio irreale, dominata da colori primari appoggiati sulle sagome di personaggi e ambienti senza criteri oggettivi ma con puro talento registico. Promuoviamo Garibaldi come il fumetto dei 150 anni dell'Unità d'Italia, un'opera in grado di omaggiare con rispetto la memoria risorgimentale e il riscatto nazionale, ma senza disdegnare un umorismo di qualità, raffinato e consapevole.