Intervista a Federico Bertolucci, autore di Brindille e Romics d'Oro

Alla più recente edizione del Romics abbiamo intervistato il vincitore del Romics d'Oro, ospire di SaldaPress alla fiera del fumetto romana.

Intervista a Federico Bertolucci, autore di Brindille e Romics d'Oro
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Durante l'ultima edizione di Romics, la scorsa settimana, abbiamo avuto la possibilità di intervistare Federico Bortolucci, autore italiano responsabile di opere eccellenti apprezzate in tutto il mondo. Il papà di Brindille, soggetto della locandina della manifestazione, è stato premiato con il Romics d'oro ed è stato protagonista di una delle mostre presenti in fiera. Abbiamo approfittato dell'occasione per fare quattro chiacchiere con un grande fumettista ora impegnato quasi esclusivamente all'estero a causa della preoccupante situazione del mercato italiano dell'arte illustrata. Nel corso dell'intervista all'autore (ospite di SaldaPress) abbiamo parlato di Brindille, di Love e delle speranze e possibilità dei giovani disegnatori italiani, tra social network, internet e fughe all'estero.

Quattro chiacchiere con Federico Bertolucci

Everyeye: Nel corso della tua lunga carriera hai cambiato stile moltissime volte. Eppure, il tema degli animali è stato spesso ricorrente.
Federico Bertolucci: Sì, il successo di Love ha influito molto. Avendo fatto quattro albi di discreto successo alla fine tutti mi chiedono di disegnare animali ed è una cosa che mi riesce facile, li disegno come qualunque altro personaggio. Anche se ho cambiato stile con Brindille, la natura è molto presente. Diciamo che a cambiare molto è la regia. Love è stato un lavoro incentrato principalmente sulla regia e sulla leggibilità. Dopo Love ho ricevuto solo proposte di albi con gli animali, ma le ho rifiutate. Dopo il quarto volume non avevo più molta voglia. Volevo cambiare e Brindille mi ha permesso di prendere in mano anche un altro stile.

EE: Parlando proprio dello stile, che in Brindille è cambiato molto, quanta ricerca è servita per trovare il nuovo equilibrio?
FB: Se guardi le pagine bonus dell'ultimo albo di Love, sui dinosauri, ci sono un paio di disegni spiritosi con un triceratopo che fuma la pipa e un altro dinosauro che legge un fumetto. Li ho fatti velocemente per divertirmi alla fine dell'albo, provando anche dei pennelli nuovi. Alla fine è già quello lo stile di Brindille. Era già nelle mie corde. Lo stile, soprattutto degli occhi a puntino, deriva anche dall'esperienza che avevo già fatto con le Piccole Storie, dove ci sono due animaletti protagonisti con questo stile più da striscia, da strip. Prende spunto dai personaggi con gli occhi a puntino dei Peanuts, da Calvin e Hobbes o dal fumetto francese. Il piccolo popolo che si vede nel primo volume di Brindille, con quella forma della testa, è un chiaro omaggio a Bone. La ricerca non è stata ostica, è stata un'evoluzione naturale.

EE: Hai lavorato moltissimo in digitale con Brindille. È stata la tua prima esperienza portata avanti interamente in questo modo?
FB: Quando ho lavorato su Love i primi due albi li ho disegnati a mano e colorati in digitale. Avevo già realizzato le Piccole Storie, totalmente in digitale. Da quando ho la Wacom il disegno e la colorazione sono più facili. In questo caso, avendo poco tempo a disposizione e avendo proposto una cosa fattibile solo in digitale, vista la quantità di foglie e di dettagli con tempistiche relativamente strette, ho lavorato solo in quel modo. Ma avevo già studiato e approfondito la tecnica digitale dal '99, con i primi iMac. Ormai è impensabile colorare qualcosa solo a mano. Si può fare, ma alla fine devi fare tutte le scansioni e a quel punto vengono fuori errori che magari prima non si notavano. In digitale, eventualmente, puoi correggere e apportare modifiche.

EE: Abbiamo visto che usi abbastanza i social e internet anche per mostrare il tuo lavoro. Come ti trovi con questo approccio al mercato?
FB: Trovo che sia una grandissima risorsa per entrare in contatto con artisti che altrimenti sarebbero irraggiungibili. Io frequento molti festival, anche in Francia, quindi entro in contatto con determinati autori anche in modo diretto, ma poter scambiare una parola con Guarnido o con Mignola (autore del fumetto di Hellboy), quando una volta era impossibile, è una manna. Sulla mia bacheca, poi, ci sono tanti disegnatori che propongono le proprie cose e ogni giorno trovo tante ispirazioni.
Vedo qualcuno che inchiostra in un certo modo, qualcun altro che colora con un'altra tecnica, assisto a esperimenti che magari mi restano in mente e mi spingono a provare cose diverse. Alla fine non ho tanti follower sui social, anche perché evito spesso polemiche e non pubblico cose che non hanno legami con il fumetto. Ho il mio lavoro. Poi magari seguo e commento i post altrui, ma non pubblico mai cose che possano portarmi via tempo. Non ho voglia di perdere tempo, ho altro da fare.

EE: Ora tanti ragazzi spingono molto sui web comic, un filone in forte crescita che in Italia sta avendo molto seguito. Cosa pensi di quest'evoluzione?
FB: Credo che sia naturale, anche perché il mercato in Italia non ti permette di vivere con i fumetti. Ci si deve arrangiare. Io vedo le mie figlie, di 10 e 12 anni, che guardano gli YouTuber. Spesso seguono YouTuber che fanno fumetti e tutorial su come si disegnano i manga. Giustamente questi ragazzi si sono inventati un modo per guadagnare disegnando. Che è quello che vorrebbe fare qualsiasi fumettista. In Italia essendo, come già dicevo, un mercato piccolo, i prezzi che gli editori possono offrire ai nuovi autori sono per forza altrettanto piccoli. Io ho la fortuna di lavorare all'estero e non mi serve l'uso di web e social, ma per i ragazzi capisco che sia un'occasione ottima per rendersi visibili.

Chi riesce poi ad usare la rete al meglio, alla fine arriva a guadagnare molto più di me. Sono mercati diversi. Chi fruisce dei web comic ne fruisce gratis e i guadagni arrivano dalle pubblicità. È un'altra cosa. Gli editori si dovrebbero organizzare, magari, per dare degli anticipi per questo lavoro su internet, per poi creare un'aspettativa e vendere i volumi in seguito, rientrando delle spese. Non è facile e la mia non è una ricetta miracolosa, ma potrebbe essere un'idea.

EE: Abbiamo toccato il tasto Francia, un grande classico quando si parla di fumetti con chi lavora all'estero. Ci sono tanti giovani autori italiani molto in gamba, che si ritrovano a pubblicare in Francia mentre in Italia non hanno sbocchi. Abbiamo già sottolineato le differenze dei due mercati, ma è possibile che poi non ci sia modo di tornare in Italia, dopo il successo in terra straniera? Tu l'hai fatto dall'alto di una carriera e di un'esperienza di altro tipo.
FB: Io sono tornato in Italia, ma attraverso l'estero. L'editore italiano cioè ha comprato i diritti all'estero. Io non ho contatti. Non produco per l'Italia. Alcune proposte che ho ricevuto dall'Italia mi hanno strappato una risata. Fare fumetti è la mia sostanziale fonte di reddito e non posso permettermi di accettare proposte del genere. In Francia ci sono autori italiani bravissimi, ma come possono tornare a lavorare in Italia se non per case editrici molto grosse? Quelle case editrici che però hanno già molti disegnatori nelle loro scuderie e difficilmente aprono le loro porte, tanto più che per lavorare su personaggi già esistenti ci vogliono tecnica e mestiere indiscutibili.

In Italia, nelle scuole di fumetto si insegna ai giovani disegnatori lo stile di fumetti Marvel supereroistici, bonelliani o disneyani e i ragazzi faticano dunque a trovare spazio e diventa difficile trovare uno sbocco. È più facile prendere la strada del fumetto indipendente, che però in Italia ha poche speranze di guadagno. Se si escludono quei pochi autori che vendono moltissime copie, tutti gli altri probabilmente avranno altre fonti di reddito per poter andare avanti, non posso saperlo. Anche in Francia alla fine non si naviga nell'oro, ma vengono proposte cifre un po' più compatibili con la vita.

EE: Sulla diatriba fumetto-graphic novel, hai una posizione?
FB: Guarda, sto per iniziare un corso di graphic novel che si tiene alla Scuola Romana dei Fumetti. Quando Stefano Santarelli mi ha proposto questa cosa gli ho chiesto di darmi una sua definizione: il graphic novel - ha detto - è un prodotto che va nelle librerie. Non per le edicole o le fumetterie, le librerie. Le edicole abbiamo detto che non esistono praticamente più. La fumetteria si presta a vendere tutto, ma il graphic novel su uno scaffale elegante può fare la sua bella figura. Però è un fumetto. Il linguaggio è lo stesso. Quando infatti farò la lezione ai ragazzi, farò una lezione di fumetto. Prima sono stato a vedere la mostra con le bellissime tavole di Scarpelli.

Lì si vede proprio da dove si parte, cos'era il fumetto popolare dei giornali. Quello che arriva a tutti. Quando io penso al fumetto è quello lì, che raggiunge i bambini di sei anni e gli anziani, senza distinzioni. Quando poi si lavora sugli stili, cercando di piacere a un pubblico selezionato, si fa un'operazione sul target, si va a cercare un pubblico diverso, molto preciso. Ai bambini di sei anni non interessano i fumetti di Gipi, ma per un adulto sono molto interessanti. Le opere di Zerocalcare (qui la recensione di Macerie Prime e la recensione di Macerie Prime Sei Mesi Dopo) si rivolgono a un pubblico di 30/40enni e ai più giovani o ai sessantenni non interessa.

Ecco, il pubblico delle librerie può interessarsi a questi fumetti, è un pubblico che cerca un'eleganza o un fervore politico o un tipo di storia più sperimentale e difficile. Alla fine, però, a prescindere dal nome, dal genere o dalla trama, come ho già detto, il linguaggio è sempre lo stesso. Personalmente cerco di fare storie che siano di intrattenimento, disegnate al meglio delle mie possibilità. Se poi hanno anche dei contenuti tanto meglio. Mi fanno un po' sorridere certi autori che si danno un tono da artisti proponendo disegni e narrazioni che divergono dal comune senso della bellezza e della narrazione. Il linguaggio per immagini è per sua natura popolare, se rinuncia a questa caratteristica diventa immediatamente una cosa diversa.