Nel 1988 usciva Akira, capolavoro cult firmato da Katsuhiro Otomo e tratto dall'omonimo manga del medesimo autore. La versione cartacea fu serializzata da dal 1982 al 1990 sulle pagine della rivista Young Magazine e venne raccolta in 6 grandi tankobon: il manga di Akira resta a sua volta una pietra miliare del genere e, in senso più ampio, del panorama pop mondiale, con una sceneggiatura e un respiro più ampi rispetto al film, ma fu la trasposizione animata a consacrare l'autore e contribuire alla diffusione del successo del cinema di animazione giapponese nel mondo occidentale. Akira è a tutti gli effetti un capolavoro senza tempo, venerato da molti come uno dei più grandi successi anime di tutti i tempi, e per questo - in occasione del 30° anniversario del franchise - Nexo Digital ha riportato il film nelle sale cinematografiche in un'unica giornata evento, il 18 aprile. Per l'occasione, la creatura immortale di Katsuhiro Otomo arriva in una versione restaurata, forte di un nuovo doppiaggio e un adattamento che cerca di tener fede ai testi originali dello scrittore e regista: abbiamo visto il film in sala e siamo pronti a parlarne, valutando il nuovo lavoro di adattamento e celebrando insieme uno dei più grandi capolavori di sempre del cinema di animazione nipponico.
Una science fiction ancora moderna

Nel 2019 il mondo ha conosciuto la Terza Guerra Mondiale: una visione cupa, distopica ma al tempo stesso quanto mai moderna, che ci catapulta in una Neo Tokyo disillusa e decadente, in cui la criminalità e il degrado sono purtroppo all'ordine del giorno nonostante la vita vada avanti per tutti. Shotaro Kaneda è un giovane liceale scapestrato ma anche saggio e coraggioso, leader di una gang di motociclisti che si diverte a sfrecciare per le strade di Neo Tokyo dando la caccia alle bande rivali, con le quali le manifestazioni di violenza sono una prassi drammatica e spinosa tanto per i cittadini quanto per le forze dell'ordine. Tetsuo Shima, un suo caro e più giovane amico, è per contro un ragazzo scontroso e irascibile, che vive un profondo complesso di inferiorità nei confronti del più abile e popolare compagno: nel corso di un inseguimento, Kaneda, Tetsuo e gli altri ragazzi della gang chiamata Capsule rimangono invischiati in uno scontro tra le forze dell'ordine e un misterioso dissidente che cerca di trarre in salvo una strana creatura, che ha il corpo di un bambino piccolo ma le fattezze di un anziano: ne consegue un incidente nel quale Tetsuo rimane coinvolto in una violenta esplosione a pochi metri dall'essere, salvo poi essere arrestato da una cellula militare ed essere portato via.

Mentre Kaneda, il protagonista della storia, inizia a indagare sulla scomparsa dell'amico, facendo la conoscenza di un gruppo di ribelli intenzionati a sradicare i controversi apparati governativi che occupano i vertici politici, militari e finanziari di Neo Tokyo, Tetsuo viene sottoposto a dei crudeli esperimenti e inizia a manifestare dei poteri incredibili, a metà tra la telecinesi e la capacità di generare violentissimi campi di forza che gli conferiscono una potenza distruttiva senza precedenti, quasi al pari di un'arma nucleare. Kaneda verrà a scoprire che i ribelli combattono una guerra segreta contro il governo, che conduce esperimenti sui particolari, piccoli esseri dalle sembianze di vecchi al fine di riprodurre un'antica forma di energia che causò un disastro nucleare trent'anni prima, nel corso della Terza Guerra Mondiale: l'obiettivo è di risvegliare Akira, un'autentica forza della natura dal potere smisurato che l'uomo ha provato a inglobare e controllare, causando i disastri sociali e ambientali che Neo Tokyo vive ormai da decenni dopo il termine del conflitto.
L'eredità di Akira
L'importanza di Akira nel panorama pop mondiale è a dir poco mastodontica ed è principalmente culturale: al di là dell'aver accresciuto prepotentemente la popolarità e lo status quo del cinema di animazione giapponese anche al di fuori della Terra del Sol Levante, la visione distopica e cupa di un futuro non troppo lontano, l'estetica dal sapore squisitamente cyberpunk e la qualità della scrittura - che lo rendono una vera e propria pietra miliare del genere fantascientifico - gli hanno valso l'egida di uno dei capostipiti indiscussi del cinema sci-fi, a prescindere dai confini o dalle barriere imposti dalla differenza tra animazione e live action.

Akira ha ispirato moltissimi prodotti successivi, che a loro volta sono stati eletti da pubblico e critica a padri fondatori del genere fantascientifico, passando anche per produzioni decisamente più recenti ma non per questo meno acclamate: è indiscusso quanto, in patria, l'influenza del film abbia lasciato traccia di sé un po' ovunque, a partire da autori contemporanei a Katsuhiro Otomo come il buon Akira Toriyama con il suo Dragon Ball fino a esempi più recenti come Masashi Kishimoto con Naruto.

In occidente, il capolavoro di Otomo ha lasciato la sua impronta sui capitoli di Star Wars di nuova generazione e sulle sue incarnazioni successive (anche le più moderne, che in certe soluzioni di regia sembrano ricordare moltissimo svariate tecniche di messa in scena sperimentate da registi e cineasti nipponici), ma anche sui vari Matrix fino ad arrivare finanche a Stranger Things, acclamatissima produzione televisiva targata Netflix in cui si riconoscono persino alcuni elementi narrativi in comune. Guardando a ritroso nella cultura pop ci si accorge quanto ci sia qualcosa di Akira un po' ovunque, e quanto importante sia stata l'eredità lasciata dal film neo-trentenne: un'importanza, come detto, culturale, che esula da certi temi trattati - che sono tanti, tantissimi, forse addirittura troppi per un film che condensa in appena due ore un'opera gargantuesca come quella cartacea.

Akira spazia dal sociale allo scientifico, sotto svariati punti di vista: c'è la critica nei confronti dei poteri forti, c'è la rivoluzione sociale e la lotta di classi, c'è il conflitto eterno tra etica e scienza, la dicotomia tra dio e uomo, con quest'ultimo che prova a elevarsi a superuomo dando vita a qualcosa che gli si ritorce contro. È un calderone di temi, situazioni e significati che trova nell'adattamento cinematografico una sintesi dal respiro ampissimo, che forse non restituisce appieno tutto il peso che traspare dal manga ma che indubbiamente condensa il tutto in un ibrido che cammina sulle proprie gambe con fare da gigante, avvalorato e impreziosito da una realizzazione tecnica che non ha precedenti.
Un miracolo produttivo
E infatti non è soltanto la qualità della scrittura, non semplice e rischiosa di un pizzico di confusione ma ugualmente sopraffina in ogni suo aspetto, attenta e rigorosa nel tratteggiare personaggi che - dal primo all'ultimo - hanno un carisma tutto proprio; non è soltanto la regia superba di un maestro come Katsuhiro Otomo a rendere Akira un capolavoro effettivo di inquadrature, campi, carrellate possibili grazie alle prime sperimentazioni del digitale, un montaggio a dir poco perfetto e scandito con la stessa precisione dei ticchettii inesorabili di un orologio.

Insomma, non è soltanto la direzione tecnica e registica di un film in tutto e per tutto autoriale a rendere grande un prodotto come Akira. Ma è anche - e soprattutto, verrebbe da aggiungere e sottolineare doverosamente - la realizzazione artistica: come detto, la pellicola una delle prime produzioni a sperimentare e giocare con l'utilizzo delle tecniche digitali per restituire all'azione un grande senso di dinamismo, fondamentale per un film che nella sua parte iniziale non disdegna di far scuola anche nella rappresentazione di alcune sequenze degne dei migliori road movie dei mitici anni Ottanta.

Ma è in realtà tutto il comparto artistico, dagli splendidi disegni alle animazioni incredibilmente fluide e sopraffine, dagli scenari distopici di una Tokyo quanto mai grigia e decadente, dalla violenza esplicata in alcune (non invasive) sequenze dal "retrogusto" splatter: Akira è un film del 1988, ma la qualità visiva e tecnica della produzione lo rendono un film che ancora oggi è incredibilmente attuale e per nulla invecchiato. Non è un caso se la produzione del film richiese lo stanziamento di un budget di 1 miliardo di yen e l'inaugurazione di uno studio apposito (chiamato Akira Committee), presso il quale collaborarono almeno una decina di staff di animazione diversi - tra i quali Kodansha, Bandai, Tokyo Movie Shinsa - segnando peraltro un precedente storico nel riunire così tante società sotto un'unica egida per dar vita a un progetto così clamoroso.
30° Anniversario

Ma veniamo alla novità vera e propria della versione restaurata, di questo Akira 30° Anniversario che si ripresenta dopo ben tre decenni dimostrando di non essere invecchiato affatto, ma di portarsi dietro - almeno fino ad ora - un unico neo che, nel corso degli anni, permeava tutte le produzioni di intrattenimento importante dall'estero: l'adattamento e il doppiaggio. La versione originale di Akira, anche in edizione italiana, resta comunque un prodotto epocale, sul quale qualche piccola sbavatura e alcuni errori di troppo nelle pronunce di nomi e nell'esplicazione di accenti fonetici permetteva comunque di chiudere un occhio.

L'edizione del 30° anniversario corregge proprio tutti questi piccoli incespichi, portando nelle sale cinematografiche un doppiaggio inedito e completamente rinnovato, forte anche di un adattamento rigorosamente fedele ai testi, ai termini e alle nomenclature originali. Il risultato è encomiabile: l'adattamento restituisce un senso estremamente più coerente a dialoghi e terminologie, tanto nelle piccolezze (Kaneda che chiama "zietto" un poliziotto più anziano di lui piuttosto che "paparino") e nel significato di certe frasi, che giocano con luoghi comuni o detti propri della cultura nipponica, quanto nella rappresentazione di temi più maturi, in cui gli scambi di battute tra i protagonisti assumono toni più crudi e volgari laddove, nella versione classica, erano stati "addolciti" con epiteti decisamente meno offensivi.

La nota più lieta sta soprattutto nella pronuncia di nomi e accentazioni degli stessi, che finalmente tengono fede alle regole fonetiche della grammatica giapponese: finalmente è Àkira e non più Akìra, così come è Kàneda, Tètsuo, Tàkeshi e non più Kanéda, Tesùo o Takéshi. E infine, anche al doppiaggio e alla scelta delle voci di tutti i protagonisti va fatto un plauso lungo e accorato: lo studio di produzione ha finalmente scelto di associare ai personaggi dei ragazzi delle voci più giovanili e consone all'età dei protagonisti, così come i Numbers - i bambini soggetti agli esperimenti del governo - hanno ricevuto un doppiaggio macchinoso e infantile, come si confà a degli marmocchi che non sono mai cresciuti a causa delle atrocità che hanno subito. L'unico, minuscolo neo sta forse nel comparto sonoro di fondo, che non ha subito restauri di alcun tipo: in un paio di fugaci sequenze, le nuove voci - decisamente più pulite e registrate in alta definizione - stridono leggermente con i suoni di sottofondo, che rimangono leggermente anacronistici. Si tratta di un numero esiguo di elementi che, a nostro parere e tenendo conto di quanto detto finora, non intaccano in alcun modo un'esperienza visiva, artistica e sonora che resta enormemente memorabile e quanto mai attuale.