L'Attacco dei Giganti: Recensione del manga di Hajime Isayama

Attack on Titan è un grande capolavoro nonostante un finale frettoloso e alcune domande irrisolte: Hajime Isayama è nell'Olimpo dei mangaka.

L'Attacco dei Giganti: Recensione del manga di Hajime Isayama
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Un'opera come L'Attacco dei Giganti, con i suoi temi e i suoi paradigmi narrativi rapportati al contesto editoriale degli shonen, semplicemente non si era mai vista. L'epilogo del manga di Hajime Isayama pone una pietra tombale su un'intera epoca, un decennio fatto di sperimentalismi per il mercato fumettistico giapponese e in cui il dark fantasy del giovane sensei nipponico si è imposto come vero e proprio fenomeno di culto, ben al di fuori del Paese del Sol Levante.

Il respiro profondamente internazionale dell'opera, e la sua potentissima vena drammaturgica, ci hanno accompagnato per quasi 12 anni di serializzazione, poco più di un decennio caratterizzato da un'operazione di scrittura sontuosa, mai banale e - fino alla fine - sorprendente su più livelli. Arriviamo alla fine di un viaggio, il viaggio di Eren, ma anche di Armin e Mikasa, così come di Reiner, Levi e anche di Gabi e Falco e di Jean e Connie con una punta di amarezza: quella di un finale che, nonostante il commovente messaggio di fondo, non è stato in grado di fornire adeguatamente tutte le risposte che ci eravamo posti (per un quadro più esaustivo, leggete qui il nostro riassunto del finale de L'Attacco dei Giganti).

Uno shonen fuori dagli schemi

Tirare le somme sul manga di Attack on Titan potrebbe non essere facile: è un'opera il cui impatto nel panorama degli shonen fu, nel 2009, a dir poco devastante. Un universo narrativo complesso, intriso di misteri, di una "lore" parzialmente percepibile nelle sue prime fasi e straordinariamente stratificata man mano che la storia proseguiva il suo corso, un tassello dopo l'altro, un arcano alla volta. Un dark fantasy con un impronta stilistica prorompente e un'idea di sceneggiatura ben chiara: decostruire, sin dall'inizio, tutti i paradigmi di un intero genere narrativo. E ci riesce benissimo, Isayama: ogni arco narrativo, ogni spunto di sceneggiatura, ogni personaggio introdotto (ed in seguito approfondito) prende il suo posto in un grande mosaico che si fa sempre più complesso, che dalle tinte action splatter dei primi capitoli assume pian piano una dimensione politica e, via via, sempre più intima e introspettiva.
Eren è l'alfa e l'omega di un racconto che vuole decostruire tutti i crismi della narrazione e dell'eroe classico: il predestinato, suo malgrado, attorniato e schiacciato dal peso di un cast di personaggi incredibili, che evolve pian piano ed esplode con una forza schiacciante (e spiazzante) in un arco finale in cui emergono le scelte autoriali più incredibili.

L'Attacco dei Giganti è una storia di continui ribaltamenti: un'apologia sulla violenza, spaventoso e crudelmente realistico sulla guerra e sul relativismo del conflitto, una critica al razzismo in cui emerge prepotente tutta la visione pessimistica del suo autore, ma è soprattuto una storia di continui capovolgimenti di ruoli.

Una metafora devastante sul rapporto tra dolore e amore, tra eroismo e martirio. È un racconto di discesa all'inferno, la cui risalita appare possibile ma mai scontata, come un monito. Un presagio che ha il sapore amaro e pungente di un mondo oscuro e senza possibilità di redenzione, ma nel quale gli spiragli di luce e di positivismo nei confronti dell'umanità non si affievoliscono del tutto.

Un'opera coerente, (quasi) fino alla fine

La parentesi finale che porta al commovente epilogo dell'opera è, in effetti, la summa di tutto il percorso artistico di Hajime Isayama. Nel pazzesco showdown finale, e nei colpi di scena che arricchiscono la già complicata lore di Shingeki no Kyojin, si intersecano con violenza tutti i temi affrontati dall'autore negli 11 anni di serializzazione. La forza autoriale dell'opera sta proprio nella gestione narrativa dell'intera produzione, che nell'arco finale modifica e ribalta sostanzialmente i toni e le prospettive del racconto, inanellando fino alla fine una serie di colpi di scena dall'impatto devastante e clamoroso.

Nell'arco finale si gioca tutto il character development dei protagonisti, fenomenale a livello emotivo, minuzioso e ricercato nel grande disegno della sua sceneggiatura. Ma non tutto è perfetto: Isayama è uno a cui è sempre piaciuto porre mille domande per fornire, alla fine, le risposte giuste al momento giusto, alimentando a dismisura le aspettative sulla fisoluzione finale del suo racconto.
E se fino al capitolo 138 de L'Attacco dei Giganti l'intero mosaico narrativo regge con vigore e mantiene altissima l'asticella qualitativa, è purtroppo proprio con l'epilogo che l'autore non è riuscito a chiudere l'opera con le stesse idee autoriali che l'hanno sempre contraddistinto. I temi e il messaggio finale delle ultime tavole rimangono straordinari e devastanti, ma la fretta di portare a compimento il suo racconto senza fornire risposte sufficienti sull'intero worldbuilding imbastito dal manga, purtroppo, rimarrà una piccola macchia su un grande capolavoro che avrebbe potuto essere totale. Un epilogo sentito, commovente e simbolico che tuttavia non può soddisfare fino in fondo per la gestione di alcuni colpi di scena e di certi risvolti narrativi, che avrebbe necessitato almeno di un capitolo in più, ma che nel complesso ha almeno il merito di mantenersi coerente con l'universo narrativo dell'opera.

Imprecisione e violenza: la cifra stilistica di Isayama

Lo stile grafico di L'Attacco dei Giganti è, da sempre, croce e delizia per i suoi lettori. Raffazzonato e impreciso all'inizio, linguaggio peculiare e stile autoriale alla fine. Con il suo tratto grezzo, essenziale, in certi frangenti persino grottesco, Hajime Isayama ha pian piano imposto una cifra stilistica molto diversa dalla pulizia visiva e dalle meraviglie della versione animata.

Eppure, ad oggi, risulta difficile immaginare il manga di Attack on Titan senza l'estetica essenziale e profondamente gore del suo giovanissimo autore. Tavola dopo tavola, la matita di Isayama-sensei ha saputo ritagliarsi un posto importante ai fini del linguaggio estetico dell'opera, un tratto capace di esaltare l'aspetto più violento del racconto e soprattutto il dinamismo nelle fasi d'azione.

Le linee curveggianti, vero filo conduttore dell'anatomia titanica di Isayama, accompagnano l'azione senza mai renderla troppo confusa (fatta eccezione, forse, solo per la battaglia finale), uno stile grafico sporco e violento che esalta pienamente tutto il pathos e l'esasperazione visiva dell'opera. C'è da dire, però, che a soffrirne è soprattutto il character design, fin troppo appiattito e poco variegato soprattuto nei volumi iniziali. Un elemento, lo stile visivo, che rimane parte del linguaggio autoriale del mangaka, che riesce ugualmente a fornire sprazzi di regia e i costruzione scenica semplicemente poderosi. Lo specchio riflesso dei suoi temi e della sua scrittura: una creatura complessa, a tratti deforme, eppure tremendamente affascinante.

L'Attacco dei Giganti (Manga) L'Attacco dei Giganti è un grande capolavoro e un'opera di cui si parlerà a lungo negli anni a venire. Vero e proprio metro di paragone nel panorama editoriale nipponico, capace di contaminare con maestria le esigenze commerciali di un target di consumo alle scelte profondamente autoriali del suo creatore. Croce e delizia per quanto concerne l'impasto visivo, da insufficienza artistica a vera e propria cifra stilistica, ma anche un grande racconto per i temi, la qualità della scrittura e il messaggio finale. Purtroppo l'autorialità di Isayama-sensei, valore aggiunto per gran parte dell'opera, finisce per diventare anche la sua stessa condanna in un epilogo che non riesce a prendersi i suoi tempi e a soddisfare pienamente. Di Shingeki no Kyojin rimangono i brividi di un'emozione infinita e i ricordi calorosi di un'epopea incredibile e preziosa. La fine fa parte del viaggio, certo, ma la poesia rimane: e noi, anche alla fine, non possiamo che farci travolgere dai sentimenti, come un amore nato tra i fili di una sciarpa consunta.

9.5