Il Castello Invisibile, titolo originale Kagami no Kojou ("Il castello solitario nello specchio", riferimento purtroppo andato perso nella traduzione italiana), è un romanzo della scrittrice giapponese Mizuki Tsujimura che ha avuto un successo incredibile in patria all'epoca della sua pubblicazione, nel 2017. Una storia che ha letteralmente conquistato il cuore dei lettori, portando il libro a superare il milione e mezzo di copie vendute e a ottenere numerosi riconoscimenti. Inevitabile quindi che un'opera del genere ottenesse prima o poi degli adattamenti in altri media, l'ultimo dei quali è un lungometraggio animato diretto da Keiichi Hara (Colorful, Miss Hokusai), pronto a sbarcare qui in Italia come evento speciale al cinema dall'11 al 13 settembre 2023 grazie ad Anime Factory (etichetta di Plaion Pictures dedicata al mondo dell'animazione).
Dopo avervi spiegato perché Il Castello Invisibile è un film dalla forte critica sociale e perché Il Castello Invisibile è un'opera che merita la visione in sala, è finalmente arrivato il momento di tirare le somme. Ecco perciò la recensione dell'ultima fatica di un regista veterano che si è trovato di fronte una trasposizione tutt'altro che semplice.
Un castello per ritrovare sé stessi
Il Castello Invisibile racconta la storia di Kokoro Anzai, una ragazza delle scuole medie giapponesi isolatasi dal mondo esterno a causa del bullismo di alcune sue coetanee, che un giorno, dopo aver visto lo specchio della sua stanza illuminarsi, viene trasportata in un misterioso castello di una realtà parallela, dove fa la conoscenza di altri sei ragazzi (e ragazze) della sua età e di una bambina con indosso una maschera di lupo che si atteggia a padrona di quel luogo.
A partire da quel momento, Kokoro e i suoi nuovi compagni potranno accedere liberamente al castello attraverso i loro specchi e, se troveranno una non meglio precisata chiave entro il tempo limite, avranno la possibilità di vedere esaudito un loro desiderio (ma perderanno anche la memoria di quanto accaduto). L'unica regola a cui dovranno sottostare è non rimanere all'interno dell'edificio oltre un certo orario, le cinque del pomeriggio, e chiunque trasgredirà andrà incontro a una terribile punizione: essere divorato da un lupo. A un primo sguardo, una premessa del genere potrebbe sembrare degna di un'opera survival, ma se avete avuto questa impressione non potreste essere più fuori strada. Al contrario, nella sua prima metà, la narrazione de Il Castello Invisibile è lenta e rilassata, molto più affine ai ritmi dello slice of life, e questo perché è proprio in questa fase che il film fa emergere la sua anima più introspettiva, raccontando la progressiva maturazione dei sette protagonisti all'interno del castello, diventato per ciascuno di loro il luogo perfetto dove fuggire da una realtà difficile e tormentata.

La pluripremiata autrice del romanzo originale, Mizuki Tsujimura, è riuscita a dare vita a un romanzo per ragazzi che parla a un pubblico universale, presentando al lettore una narrazione delicata, mai pesante o eccessiva, ma diretta ed efficace - nonché in perfetto equilibrio tra realismo e fantasia - di problemi che affliggono ormai da tempo la società giapponese come il disagio giovanile, il bullismo, la salute mentale, gli abusi e la ricerca del proprio posto nella vita.
Trasporre su schermo un'opera così densa e profonda, nonché particolarmente lunga (il libro supera le 300 pagine), non deve essere stato un compito semplice per Keiichi Hara e il suo staff presso lo studio A-1 Pictures. Come se la sono cavata?
Alla ricerca della chiave
Se il romanzo e il manga sono a tutti gli effetti delle opere corali, il film sceglie invece di concentrarsi sulle vicende della protagonista Kokoro, sacrificando in parte l'approfondimento degli altri sei ragazzi.
Nonostante questo compromesso, l'adattamento animato de Il Castello Invisibile riesce a preservare l'incisività dell'opera da cui trae origine, raccontando molto bene le sofferenze della giovane ragazza nel mondo reale e la sua "rinascita" in quello oltre lo specchio, dove ha modo di conoscere altre persone che, pur con le dovute differenze, condividono con lei i problemi derivanti dalla difficoltà d'integrazione in una società che non è in grado di comprenderli e di proteggerli. Nel corso delle due ore di durata, assistiamo alla crescita di Kokoro e al suo cambiamento da studentessa fragile e apatica a persona coraggiosa, sicura di sé e disposta a tutto pur di proteggere i suoi nuovi amici, insomma una vera e propria eroina. A rendere il contesto del film ancora più affascinante ci pensano i numerosi misteri che circondano il castello e gli altri personaggi. Perché esiste quel posto? E perché sono stati scelti proprio quei ragazzi? Che cosa hanno in comune, oltre alla loro situazione complicata? Tutte domande che riceveranno una risposta al termine della visione. Ma, sfortunatamente, è proprio qui che emergono i problemi principali del film.
Il lavoro di sintesi e di sottrazione operato dal regista e dalla sceneggiatrice Miho Maruo per poter trasporre su schermo il contenuto del romanzo originale, oltre a non dare la possibilità di approfondire molti aspetti della storia che avrebbero arricchito ulteriormente il substrato narrativo, produce alcuni spiacevoli effetti collaterali.
Il più evidente dei quali è il ritmo incostante del racconto, che parte dal tono calmo e rilassato dell'intero primo tempo (e anche oltre) per poi esplodere di colpo nell'ultima, intensa mezz'ora senza un'adeguata preparazione, come se venisse saltato del tutto il secondo atto.

Un'altra mancanza, dovuta ai vincoli di adattamento precedentemente esposti, è la tardiva caratterizzazione di due personaggi che giocano un ruolo chiave nello sviluppo della trama (oltre a Kokoro), dei quali scopriamo il background solo a storia ormai inoltrata. L'ovvia conseguenza è una spiacevole sensazione di forzatura, di deus ex machina, che si sarebbe potuta facilmente evitare con una scrittura più attenta. In generale, il più grande difetto del film è l'impressione di trovarsi di fronte a un semplice riassunto dell'opera originale.
Una magia che incanta ma non stupisce
Abbiamo già approfondito i meriti del lavoro svolto dallo studio A-1 Pictures e dallo staff del film nel nostro precedente speciale, in particolare per quanto concerne l'ottima direzione artistica e la solidità dei disegni e delle animazioni.
La scelta di ricorrere alla CGI per la rappresentazione di gran parte delle ambientazioni e degli sfondi si rivela, invece, un'arma a doppio taglio, perché da un lato ha permesso un notevole livello di dettaglio, dall'altro potrebbe apparire un po' fredda e impersonale. Ma il vero punto debole della messa in scena de Il Castello Invisibile è rappresentato dalla regia, che ci è sembrata troppo basilare, piatta e priva di guizzi, incapace di enfatizzare nel modo giusto i momenti più importanti della storia a causa della sua staticità (ad eccezione delle battute finali), e che accentua i problemi di ritmo menzionati nel paragrafo precedente. Va decisamente meglio per quanto concerne l'apparato musicale, che vede protagonista uno degli astri nascenti dell'industria dell'animazione contemporanea, la compositrice Harumi Fuuki, alla terza collaborazione con Hara dopo Miss Hokusai e The Wonderland.
Le sue melodie, a volte intense a volte minimali, si abbinano molto bene all'atmosfera del racconto e in alcuni punti addirittura sopperiscono alle mancanze della regia precedentemente elencate. Degna di menzione anche la bellissima merry-go-round di Yuuri, la canzone che accompagna i titoli di coda.

Abbiamo visto Il Castello Invisibile in anteprima con l'audio giapponese sottotitolato, e per questo motivo, allo stato attuale, non possiamo darvi un parere sulla qualità del doppiaggio italiano. Per quanto riguarda le voci originali, il film vede un eccellente cast di doppiatori più legati al mondo cinematografico che a quello delle serie televisive, con l'unica eccezione rappresentata da Yuki Kaji (Eren Yeager in Attack on Titan) nei panni del vivace Ureshino.