Chainsaw Man Recensione: Studio MAPPA firma lo shonen dell'anno

La trasposizione animata dell'opera di Tatsuki Fujimoto, prodotta da Studio MAPPA, è un mix esplosivo di follia e perizia tecnica.

Chainsaw Man Recensione: Studio MAPPA firma lo shonen dell'anno
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L'immensa quantità di battle shonen sfornati dagli anni 90' ad oggi, arrivati alla ribalta o finiti nel dimenticatoio, ha reso necessario, negli anni recenti, un deciso cambio di prospettiva, una ventata d'aria fresca che passasse per la riproposizione in salsa parodica degli stessi topoi che hanno definito il genere (com'è accaduto con One Punch Man) o per la loro, più difficile, reinvenzione.

Quest'ultimo è il caso di Chainsaw Man, opera dell'autore Tatsuki Fujimoto (noto per il manga Fire Punch, altra serie dalla dose elevata di spunti folli) disponibile nella sua versione animata sulla piattaforma streaming di Crunchyroll. E dunque, giunti alla fine della prima season e dopo avervi proposti la recensione di Chainsaw Man 1x12, è arrivato il momento di tirare le somme.

Uno shonen atipico

Chainsaw Man rinnova il genere mantenendone lo scheletro ma uscendo fuori dagli schemi, sperimentando sulla forma e sul contenuto, ibridando linguaggi e mescolando generi, dando vita insomma ad uno (battle) shonen atipico, continuamente proiettato verso un fruttuoso tira e molla con le convenzioni del target di riferimento.

Il protagonista è Denji, povero disperato, indebitato fino al collo, non possiede altro che l'indissolubile amicizia con il cane-motosega Pochita, fa il devil hunter per necessità e cede i suoi ricavi a uno spietato uomo della yakuza che gli sta alle calcagna. È un mondo di diavoli e di uomini diabolici quello in cui Denji è costretto a muoversi ma l'occasione per cambiare gli viene offerta dallo stesso Pochita, che in seguito ad un agguato che vede Denji finire ucciso dagli scagnozzi del boss gli offre il suo potere permettendogli di trasformarsi in Chainsaw Man. Tutto, poi, sembra cambiare quando Makima, membro della Pubblica Sicurezza, gli offre la possibilità di entrare nella sua squadra di ammazzademoni e di fare la conoscenza di Power, Aki e Himeno.

L'anime di Studio MAPPA si rivela un prodotto fresco, narrativamente originale e visivamente al di sopra della media. Un'originalità che non conta su un'ambientazione inedita o sulla presentazione di una minaccia mai vista prima (l'opera pesca, come buona parte degli shonen recenti e non, dal folklore e dalle credenze nipponiche, creando un mondo popolato da demoni), ma risiede proprio in quella tensione verso una narrazione libera seppur lineare, innovativa sia nell'estrema duttilità che la contraddistingue, sia nelle trovate caratterizzanti i personaggi.

Chainsaw Man è un'opera camaleontica, sa essere horror e sa essere action, sa travestirsi da slice of life puro e riscoprirsi drammatica fine al midollo, in quelli che non sono solo momenti specifici e limitati, ma veri e propri esercizi di forma, piccole pillole di genere. È il caso del quarto episodio, in possesso di una struttura dicotomica che vede l'action adrenalinico della prima parte cedere il passo ad una porzione slice of life che sembra venir fuori da un anime diverso. O ancora, il sesto episodio punta deciso verso l'esplorazione dell'anima horror della serie, costruendo una vera perla dalla narrazione ansiogena, che fa leva sulla tensione provocata dall'ambientazione opprimente e sviluppa, in generale, elementi tipicamente appartenenti alle storie del terrore.

Ci sono, poi, un ecchi spregiudicato, mai esplicito (costantemente presente, però, nella prima parte della stagione), e una ricorrente demenzialità che poche altre opere riescono a sfruttare e a rendere funzionali come Chainsaw Man.
L'ecchi, apparentemente accessorio e superficiale, è in realtà dotato di una certa profondità perché mezzo per l'indagine della sessualità e della personalità di Denji ed elemento utilissimo per la sua caratterizzazione, oltre che per quella degli altri personaggi, da Power a Makima. In fondo il particolare rapporto con il sesso è, per i protagonisti, rivelatorio ed esplicita le loro attitudini: per la majin un gioco ingenuo, per la devil hunter dai capelli rossi un potente strumento di controllo. Tutto ciò che è demenziale, ridicolo, subisce un particolare processo di "drammatizzazione", quasi un rivoltamento, un'infusione di gravitas, di malinconia, che risponde alle stesse esigenze di caratterizzazione, oltre alla volontà di procedere per eventi assurdi e stranianti, a volte dissacranti e metareferenziali.

E allora un "torneo di calci nei testicoli" (nell'ultimo episodio della stagione) diventa un momento toccante e significativo, i desideri primitivi ed effimeri e il comportamento buffo del protagonista lasciano trasparire una mestizia che l'autore è abile nel riportare a galla, il comico diventa grottesco, il grottesco poi drammatico (tutto viaggia, in realtà, sulle ali della tragicommedia)

Personaggi tridimensionali e temi profondi

Insomma, seppure non scevro da momenti più prevedibili e "convenzionali" (si pensi ai topoi dell'addestramento degli "eroi", dei power-up e degli scontri risolutivi), Chainsaw Man si propone di distruggere e ricostruire, di assicurare soprattutto una certa continuità qualitativa che prescinda dai momenti e che riguardi tutti gli ambiti della produzione.

Rimanendo nella sfera narrativa, risulta evidente la qualità riservata alla caratterizzazione dei personaggi, non tanto riferibile alla peculiarità delle loro personalità, quanto, piuttosto, alla loro attenta scrittura. Nella presentazione dei loro caratteri, delle loro abitudini, delle loro inclinazioni e motivazioni, Chainsaw Man non è mai didascalico e preferisce far parlare lo schermo, gli eventi, le azioni, conferendo ai protagonisti uno spessore indiscutibile e realizzando personaggi vivi e vibranti, sempre coerenti nelle scelte e sempre esplicitanti il proprio personalissimo trauma.

Non è un caso, dunque, che Denji abbia un'ossessione per il sesso e per il cibo, protegga con tutto sé stesso lo stile di vita agiato (in realtà abbastanza modesto) che non sperava di poter raggiungere e che la provvidenza pare avergli donato. Non lo è nemmeno l'atteggiamento rude e l'aria perennemente seriosa di un Aki dal passato tragico e agghiacciante, così come il fare protettivo e materno di Himeno, giustificato dalle numerose perdite che l'hanno segnata.

Insomma, quelli ideati da Tatsuki Fujimoto sono personaggi tridimensionali, che nel corso della stagione si ritagliano il proprio spazio uno ad uno, dimostrando una certa coralità dell'opera che nella prima parte pareva insospettabile ma che finisce per rivestire di un'importanza cruciale un personaggio solo in teoria secondario come Aki, a dispetto di un titolo (Chainsaw Man, appunto) unireferenziale.

Si tratta, in generale, di una storia che si fa portatrice di temi profondi, dalla solitudine alla miseria, passando per l'ineluttabilità della morte e per l'elaborazione del lutto, non rinunciando però ad un'anima chiassosa e spassosa che vede nell'irriverente duo Power-Denji i rappresentanti d'eccezione e negli scontri fuori di testa l'espressione massima.

Il lavoro di Studio MAPPA e la regia di Ryu Nakayama

Scontri che sono supportati da un comparto tecnico di assoluto valore, per quella che è una riconferma per Studio MAPPA, che realizza probabilmente la sua opera migliore dal punto di vista visivo, di sicuro la più eclettica.

Le animazioni, che raggiungono il loro picco qualitativo nello scontro che vede Denji affrontare il Diavolo Sanguisuga e nella fluidità della parte slice of life dello stesso episodio (il quarto), riescono a mantenere uno standard qualitativo alto per tutta la durata della serie, cedendo nella cura dei dettagli e rivelandosi più macchinosi solo in alcuni frangenti statici e non particolarmente importanti. Osservare i protagonisti svolgere i compiti più banali tra le mura di casa diventa una gioia per gli occhi e non può che rimanere impresso nella memoria il citato segmento che vede Aki svolgere semplici mansioni domestiche così ben realizzate da risultare ipnotiche. L'animazione riesce, poi, a trarre il meglio dalla commistione tra tecnica tradizionale e CGI, riuscendo a farle coesistere grazie ad un cel-shading di ottima fattura che limita il distacco visivo, e utilizzando la computer grafica in maniera assolutamente funzionale ed intelligente, perché spesso legata a doppio filo alla trasformazione di Denji in uomo-motosega e dunque associabile all'"artificialità" e alla materialità della macchina.

Un character acting di spessore e una dinamicità fuori dal comune contribuiscono a rendere eccellente il lavoro di Studio MAPPA, che deve però gran parte del merito di un comparto visivo eccellente alla regia ispiratissima di Ryu Nakayama, a conti fatti vero uomo in più nella realizzazione dell'anime. Chainsaw Man è, in termini puramente registici, l'anime più cinematografico degli ultimi anni, con certezza quello più citazionista.

Il virtuosismo registico di Nakayama, profondamente influenzato dal cinema pulp e horror, in generale dall'estetica post-moderna, conferisce alla trasposizione animata di Chainsaw Man la propria identità e la propria unicità, differenziandola in tal senso dal manga (nonostante anche Fujimoto utilizzi inquadrature cinematografiche) e rendendo possibile proprio quella commistione di generi che qui è decisamente più pronunciata rispetto alla controparte cartacea. Un adattamento, insomma, lontano dalla replica anonima e impersonale di quanto disegnato da Fujimoto, che arriva, grazie al lavoro di Ryu Nakayama, a possedere un mood diverso rispetto all'opera d'origine, più votato all'esaltazione del lato intimista e malinconico della serie che all'enfatizzazione del caos e dello splatter (seppure queste componenti non si risparmino).

Soggettive e first person shot d'impatto, prospettive ricercate pregne di simbolismo, primi piani che indugiano sulle espressioni dei personaggi (ancora l'ottimo character acting a renderne possibile l'efficacia) e squisite composizioni con l'illusione del grandangolo. E ancora angoli "di ripresa" particolari come quelli dall'alto e plongée che nell'episodio 10 narrano la solitudine e lo smarrimento di Aki, poi giochi di specchi e cambi di fuoco per una regia persino più estrosa nei momenti distesi che in quelli maggiormente movimentati.

Insomma, un comparto tecnico magistrale per un anime destinato a rimanere negli annali e pronto a riscrivere la storia del genere e che, con molta probabilità, continuerà a sorprendere nelle stagioni successive, dato il grande apprezzamento che i capitoli successivi del manga hanno ricevuto.

Chainsaw Man (anime) L'adattamento animato di Chainsaw Man si conferma uno dei prodotti più interessanti dell'ultima stagione, probabilmente il miglior shonen dell'anno. Questo grazie ad una narrazione capace di essere originale mantenendosi ancorata al target di riferimento ma giocando con i topoi e spaziando tra i generi, dando vita ad un mix esaltante di segmenti horror, action e slice of life, senza disdegnare un gusto per l'assurdo e il demenziale e una buona dose di ecchi dalla profondità insospettabile. Il tutto è supportato da un comparto visivo di alto livello, che prevede un'animazione che ben amalgama tecnica tradizionale e CGI e, soprattutto, una regia ispirata firmata Ryu Nakayama, vero punto di forza dell'anime, elemento di rilievo e di spicco rispetto alla controparte cartacea.

8.8