DB Kai: la recensione del restauro di Dragon Ball Z

Trasmesso in Giappone dal 2009 al 2015, questa rivisitazione di Dragon Ball Z rimuove tutti i filler e perfeziona il reparto visivo.

DB Kai: la recensione del restauro di Dragon Ball Z
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La parola "Kai" significa "rivisto, modificato". Scompare l'iconica Z del titolo (una simpatica storpiatura del numero 2) e si abbraccia una nuova denominazione, che indica a chiare lettere un cambiamento, un miglioramento. Ma come si può perfezionare un capolavoro? In che modo intaccare un anime entrato di diritto nella leggenda e considerato da molti come il Re indiscusso degli Shonen? Semplice: rendendolo molto più simile al manga di quanto non fosse in origine. Benché si tenda a reputare Dragon Ball Z come una delle più grandi serie animate che siano mai state concepite, dall'alto dei suoi 291 episodi, non mancano cadute di stile che, purtroppo, sono "fisiologicamente" inevitabili. Riempitivi forzati tra una saga e l'altra, filler a profusione nel tentativo di aspettare che San Akira Toriyama - ben noto per la sua indolenza - si decidesse a produrre materiale nuovo su cui lavorare: ne sono scaturiti così sia puntate francamente dimenticabili, sia momenti un pochino imbarazzanti (chi ricorda Marion - la prosperosa, e cerebrolesa, fidanzata di Crilin durante l'intermezzo di Garlic Jr.?).
Sebbene qualsiasi produzione - anche la più maestosa - abbia bisogno di situazioni un po' più frivole e leggere, volte a stemperare la tensione, a tutto c'è un limite. Ed è per questo che, nel 2009 - in occasione del ventesimo anniversario dall'esordio nelle TV giapponesi del primo episodio - è nato Dragon Ball Kai, una "rivisitazione" dell'epopea di Toriyama, che rimuove quasi ogni elemento superfluo, ogni segmento narrativo troppo diluito, stiracchiato o non presente nella versione cartacea. Così facendo, da 291 episodi si è passati ad un totale di 159, per una visione che rispecchia, in modo abbastanza fedele, quanto letto all'interno del manga. Disponibile, sfortunatamente, soltanto nelle amabili terre del Sol Levante, Kai è esattamente ciò che avrebbe dovuto essere Dragon Ball sin dall'inizio, riconfermandosi un'opera monumentale pur nella sua imperfezione, la summa - totalizzante - degli stilemi dello Shonen come lo conosciamo oggi.

L'anima del Drago

L'incipit di Kai non è lo stesso del manga, in barba ai presupposti di "fedeltà" enunciati in apertura. Eppure, è un prologo necessario, che "riassume" brevemente gli eventi della prima stagione - terminati con le nozze tra Goku e Chichi -, introduce il background narrativo dei Saiyan, ci informa della distruzione del pianeta Vegeta per mano di Lord Freezer e ci presenta un piccolo Kakaroth appena rinvenuto dal nonno Gohan, tramite le immagini tratte dallo Special Televisivo "Le Origini del Mito". Terminati i fugaci preamboli, tutto ha inizio, e si sviluppa seguendo pedissequamente i dettami del maestro Toriyama. Rispetto a Z, in primo luogo, muta la cornice "sonora": abbandonata la meravigliosa Cha-La Head Cha-La, ecco subentrare una nuova sigla d'apertura, Dragon Soul, accompagnata da sequenze disegnate ex novo dagli animatori, che - con l'ausilio di una grafica più moderna - hanno ricreato alcuni dei momenti più topici dell'anime. Il corredo musicale è - del resto - una delle più grandi e gradite novità che Kai si porta in dote. Un'inedita partitura fa da sfondo a sequenze dalla portata emotiva sconvolgente ed incornicia con maggior pathos alcune scene più significative sul fronte del coinvolgimento intimo, visivo e sensoriale. Ad esempio, l'attimo nel quale quel mostro di Freezer trafigge Crilin con il suo corno, oppure l'istante in cui il principe Vegeta sceglie di deflagrare in un lampo di energia per polverizzare Majin Bu sono frangenti che hanno beneficiato ampiamente dei ritocchi alla soundtrack, capace di prodigarsi ora in un concerto di incalzanti vocalismi, ora in una struggente sinfonia sulle note di un'epica malinconia. E con le sonorità mutano, ovviamente, anche alcune voci storiche: nella riscrittura e nel ridoppiaggio di determinati dialoghi, non tutti gli interpreti originali sono tornati a bordo, nonostante gran parte del cast primario sia rimasto pressoché immutato. È bene precisare che, al netto delle pur evidenti modifiche, Kai non è un remake, bensì un aggiornamento di Z, che ripulisce l'immagine e fa dono alla serie delle meraviglie dell'alta definizione, limando anche alcune passate discordanze estetiche. È il caso - parecchio evidente - della primissima colorazione degli abiti e dei capelli di Vegeta, quando appare a schermo in compagnia di Nappa, caratterizzati da cromatismi rossicci ben diversi da quelli "canonici", che in Kai vengono completamente riadattati.

Dragon Ball Z

Dragon Ball Kai

In questa nuova versione, dunque, l'insieme risulta più coeso, fluido e scorrevole. Al processo di snellimento contribuisce la rimozione quasi totale dei filler, riducendo di parecchio il computo complessivo degli episodi, in modo tale da garantire uno spettacolo privo di lungaggini e momenti eccessivamente annacquati. Troncate di molto, insomma, le fasi iniziali in cui Gohan si perde nel bosco all'inizio di Z, oppure quelle in cui prova a sopravvivere prima dell'attacco dei Saiyan sotto l'occhio vigile di Piccolo. Sradicate in toto anche le puntate dall'umorismo discutibile nelle quali Goku cerca di prendere la patente; e poi cestinata la già citata saga di Garlic Jr. e - con essa - anche quella (apprezzabile, a dire il vero) del Torneo delle Quatto Galassie, in seguito alla conclusione del Cell Game, con Son-Kun intento a fraternizzare, e poi battersi, con un personaggio interessante come Paikuhan, che viene del tutto eliminato dal canone.

Allo stesso modo, anche alcuni duelli - persino i più importanti - hanno subito un processo di sfoltimento, volti a dar loro più dinamismo ed un impatto adrenalinico assai maggiore. Per comprendere appieno quanto i tempi si siano contratti, vi basti sapere che l'Arco di Majin Bu è stato ridotto da 91 episodi a 61: una diminuzione sostanziosa, che permette alla narrazione di farsi maggiormente diretta, essenziale, scevra da inutili dilatazioni. È chiaro che, per questo "taglia e cuci", è stato indispensabile un lavoro di adattamento che riproducesse una certa omogeneità stilistica, senza che le cesure risultassero troppo evidenti. In virtù di questa necessità, sono state realizzate anche delle inedite animazioni di raccordo all'interno di specifici episodi: l'operazione è assolutamente impeccabile, e le nuove scenette si amalgamano alla perfezione con quelle di Z, delle quali seguono fedelmente il tratto. Ad occhio nudo, le differenze sono quasi del tutto impercettibili e, nella fluidità dell'azione, l'interpolazione tra i nuovi frame e quelli già esistenti conserva una coerenza invidiabile. La cura riposta nel "restauro" di Z, nel rimaneggiamento della colonna sonora, nella costruzione di un racconto più conciso e nella ripulitura della qualità visiva rappresenta dunque il motivo principale che eleva Kai al di sopra dell'edizione primigenia. Un Dragon Ball epurato da buona parte delle debolezze ritmiche e narrative, in grado di avvicinarsi - finalmente - alle vette immortali (ed inarrivabili) raggiunte dal manga.

Quel che nasce dalla censura

Ma anche i capolavori, purtroppo, posseggono delle piccole increspature che rischiano di offuscarne il bagliore. Kai, d'altronde, non è perfetto sotto ogni aspetto. Seppure alcuni difetti fossero davvero difficili da evitare, altri avrebbero potuto tranquillamente essere spazzati via da una Kamehameha. Il primo, accettabilissimo, compromesso è di natura visiva: un'operazione di ricucitura di simile portata ha causato una prevedibile commistione di tratti grafici piuttosto diversi gli uni dagli altri all'interno del medesimo episodio. Come ben sappiamo, infatti, sono molti i team di animatori che si danno il cambio tra le varie puntate, e con essi mutano anche le matite al lavoro, per un risultato decisamente altalenante. Laddove nell'opera originale ogni iterazione conservava un proprio piglio artistico (più o meno riuscito), Kai - avendo dovuto montare in un'unica soluzione spezzoni di episodi altrimenti separati - mescola un po' le carte in tavola. In questo modo, in una puntata possono alternarsi disegni dall'estro sopraffino ad altri palesemente più superficiali, che danno forma ad una resa generale un po' discontinua. Meno comprensibile, d'altro canto, è la preservazione di alcuni, ingenui errori di continuity non presenti nel manga, che Z ha arbitrariamente inserito e che Kai, distrattamente, ha mantenuto. Ci riferiamo, nello specifico, alla presenza di celebri villain negli Inferi, intenti ad osservare lo scontro tra Son-Kun e Kid Bu: una scena che entra in contrasto con la mitologia di Dragon Ball, secondo la quale i malvagi, una volta morti, venivano privati del corpo, mentre il loro spirito, accuratamente purificato, era destinato a reincarnarsi (un po' quello che accade - in effetti - con Ub). Ultimo, grossolano - e meno perdonabile - problema riguarda l'opinabile scelta di censurare alcuni momenti ritenuti troppo violenti per la fascia oraria di trasmissione (alle 9 del mattino).

Dragon Ball Z

Dragon Ball Kai

Ecco perché nella battaglia contro Radish, ad esempio, il foro sul petto di Goku, provocato dal Makankosappo di Piccolo, è stato orribilmente ridimensionato, ed il sangue interamente rimosso, tanto da far assomigliare la ferita ad un banalissimo livido. E le edulcorazioni, per disgrazia, non finiscono qui: in un'opera come Dragon Ball, dove la violenza e la brutalità sono parte integrante dell'impronta visiva ed emotiva, simile atto censorio possiede la stessa gravità di un sacrilegio.

Dragon Ball Kai Kai è Dragon Ball Z alla massima potenza. È una serie preziosa, dal valore inestimabile, la trasposizione quasi perfetta di un manga d'immensa grandezza. Pur con le sue limitazioni, è un anime straordinario, il vertice dei battle shonen, nonché la migliore versione del capolavoro di Toriyama. Kai si fa portavoce di tutto ciò che c'è di buono in Dragon Ball, e si fa carico dell'ineguagliabile importanza storica di un'opera di tal risma, priva dei difetti più evidenti ed ora libera di mostrare la sua forma definitiva. Peccato solo che, per ora, resti confinato nelle lontane lande del Giappone. Altamente improbabile, se non impossibile, vederlo qui da noi: un desiderio che, forse, neppure Shenron sarebbe in grado di esaudire.

9.2