Devilman Crybaby: Recensione dell'anime Netflix ispirato all'opera di Go Nagai

La trasposizione audiovisiva targata Netflix è la più completa e fedele al manga originale del grande Go Nagai, ma...

Devilman Crybaby: Recensione dell'anime Netflix ispirato all'opera di Go Nagai
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Nel corso degli anni Netflix ha dimostrato alla sua utenza di riuscire a proporre contenuti di qualità con una certa alternanza. Dopo un esploit iniziale, le produzioni originali hanno iniziato a destreggiarsi tra alti e bassi, divisi tra grandi colpi di genio e delusioni, prodotti promettenti o dimenticabili. Ciò vale in egual misura per serie TV, film e anche anime, andando a pescare nel vasto Olimpo di grandi opere del passato o appartenenti ad altri media.
Se l'acerbo ma promettente lavoro svolto su Castlevania lascia ben sperare per una seconda stagione, o se permane qualche dubbio su Saint Seiya - Knights of the Zodiac, l'aver toccato Devilman ha suscitato la paura di molti. Il capolavoro senza tempo di Go Nagai ne sa qualcosa di trasposizioni infelici o addirittura monche, ragion per cui l'attenzione mediatica da parte del pubblico nei confronti del nuovo anime revival era particolare. Finalmente, dal 5 gennaio scorso, Devilman Crybaby è approdato sulla piattaforma streaming e - dopo aver analizzato il primo, esplosivo episodio - al termine di un intenso binge-watching è arrivato il momento di esprimere il nostro verdetto.

I demoni di Akira

Avevamo già fatto presente quanto il Devilman cartaceo di Go Nagai fosse orfano di una trasposizione audiovisiva degna di questo nome: il primissimo anime degli anni Settanta, infatti, operò un drastico allontanamento narrativo ispirandosi solo liberamente al manga originale, mentre qualche OAV successivo ha provato a metterci una pezza portando su schermo opere incomplete che tennero conto soltanto dei primi volumi del fumetto. Devilman Crybaby è dunque la prima, vera opera audiovisiva completa e interamente ispirata al manga cult del maestro Nagai. L'anime ci racconta la storia di Akira Fudo, un ragazzo timido e insicuro che tuttavia nasconde una grande bontà d'animo, abbandonato dai genitori e ospitato dalla famiglia di Miki Makimura, una ragazza popolare di cui il protagonista è profondamente innamorato; la vita di Akira cambia totalmente quando, in balia di un gruppo di bulli, viene salvato da Ryo Asuka, un suo vecchio amico di infanzia che lo tirerà fuori dai guai e lo introdurrà alle sue ricerche. Ryo è stato lontano dal Giappone per tanti anni e, dopo una serie di studi condotti negli Stati Uniti, è giunto a conoscenza dell'esistenza dei demoni, creature ancestrali che popolano la Terra da ben prima che si sviluppasse l'umanità: Ryo ha bisogno dell'aiuto di Akira per scoprire le origini e le motivazioni dei mostri, ragion per cui spinge il suo amico a partecipare a un Sabba - una messa satanica - durante la quale la vista del sangue risveglia un antico e potentissimo demone, Amon, che possiede il corpo di Akira trasformandolo in una orrenda e forzuta creatura antropomorfa. A differenza delle altre diavolerie, tuttavia, il buon cuore di Akira gli permetterà di conservare la sua umanità anche quando è trasformato, ragion per cui la personalità di Amon risulterà soffocata da quella del protagonista, il quale inizierà a farsi chiamare - appunto - Devilman.

È il tema portante del racconto, questo, la contrapposizione tra l'umanità di Akira anche quando assume le sembianze del demone e la "mostruosità" d'animo di chi vive preda dei pregiudizi e delle discriminazioni, sia nei confronti delle aberrazioni demoniache che negli emarginati della società. Devilman Crybaby risulta, dal punto di vista meramente narrativo, una buona trasposizione dell'opera originale: l'anime diretto da Maasaka Yuasa non esita nel prendersi qualche libertà creativa, che nei termini del racconto non intacca particolarmente la storia classica, ma ne arricchisce la sceneggiatura portandoci in un contesto del tutto nuovo. È un Devilman al passo coi tempi, la cui storia viene trasposta ai giorni nostri calandoci in una realtà fatta di tecnologia, cultura pop, internet, social media e la disinibizione tipica della modernità, fatta di droga e festini trasgressivi, pettegolezzi e perdizioni, il tutto intriso in una fortissima dimensione erotica. Un colpo che, come già evidenziato nel nostro first look, ha il merito tanto di interessare i vecchi fan dell'opera - grazie a una trama tutto sommato fedele al manga di Go Nagai - quanto di avvicinare le nuove generazioni calando il racconto in un contesto fortemente moderno.

Sesso e deformità

Nel corso dei dieci episodi che compongono l'anime targato Netflix, dunque, assistiamo alla trama di tutto il manga di Nagai così come la conosciamo: al netto di qualche piccola e giustificabile libertà, Crybaby è senza dubbio l'opera audiovisiva più fedele alla sua controparte cartacea: l'anime gode di un buon ritmo, ma la narrazione in qualche frangente si dimostra troppo frettolosa, spiaccicando eccessivamente la storia tra un episodio e l'altro.

In generale, forse, non ci sarebbe dispiaciuto che la trama venisse diluita in qualche episodio in più, così da dare modo all'esecuzione del racconto di prendersi i giusti e doverosi tempi per un racconto così sontuoso. La "povertà" di contenuti, inoltre, si riflette anche nel comparto sonoro, decisamente orfano di una soundtrack memorabile e che finisce col riproporre gli stessi due-tre brani nel corso della serie.
In compenso Netflix confeziona un prodotto dai ritmi serrati e dai continui colpi di scena, in cui ogni personaggio - dai protagonisti ai comprimari - riceve lo spazio che merita ricevendo uno specifico ruolo che ben si incastra nello script generale. Il tutto è impreziosito da un'estetica moderna e fortemente evocativa, che tuttavia risulterà di difficile impatto soprattutto nei primi episodi: il tratto di disegno adoperato, così come l'impostazione cromatica, appaiono decisamente minimalisti e le animazioni sono alle volte approssimative in un comparto visivo in tutto e per tutto sui generis.

Le forme distorte vengono valorizzate principalmente quando la dimensione esoterica e mostruosa dell'opera viene fuori, in un vortice di mostruosità e horror splatter che sfocia facilmente e letteralmente nel perverso: di qui, è il caso di spendere due parole sull'utilizzo dell'erotismo in Devilman Crybaby, che nell'economia della trama e dello stile visivo assume un valore piuttosto simbolico. L'opera originale di Go Nagai opera, a sua volta, un utilizzo simbolico ed esoterico del sesso come massima espressione del mondo demoniaco, ma Devilman Crybaby estremizza tutto ciò in una sequenza di immagini forti e nudi più o meno espliciti, che si riversano a loro volta nelle deformità mostruose che ci mette di fronte la serie. Un tema che, seppur contestualizzato per ognuno dei personaggi, arrivato all'ennesima scena di sesso violento ci è sembrato portato all'esasperazione, quasi a voler rimarcare il concetto di voler essere un prodotto concepito e confezionato per un pubblico adulto e maturo.

I due volti di Devilman

Un pubblico che risulterà diviso a metà tra lo sdegno per un comparto visivo minimalista, il fascino di un vortice di colori psichedelici e l'esaltazione della distorsione perversa: la verità è che Devilman Crybaby risulta sì un prodotto che, a un primo acchito, sembra essere figlio di un investimento non incoraggiante in termini di budget - soprattutto per quanto riguarda l'esecuzione di qualche animazione, che poteva essere realizzata con un pizzico di impegno in più - ma il suo più grande merito risiede nell'aver reso questo difetto un vero e proprio marchio di fabbrica, donando alla serie una veste fortemente autoriale e che trova nel tratteggio minimalista la sua principale ragion d'essere.

In definitiva ci sembra doveroso promuovere quello che può essere considerato a tutti gli effetti un esperimento ben riuscito, un tentativo a tratti superficiale e nel quale si poteva investire di più in termini tecnici, ma che si maschera molto abilmente proponendosi come un interessante esercizio di stile: l'anime esplora gli eventi del manga originale fino alla sua conclusione, ma chissà che Netflix non scelga di pescare dall'immaginario di Go Nagai trasponendo i vari spin-off cartacei o, eventualmente, altre grandi opere del maestro nipponico.

Devilman: Crybaby Ben lungi dall'essere un capolavoro, Devilman Crybaby ha il merito di portare sulle spalle l'egida di trasposizione più completa e fedele di sempre all'opera di culto del grande Go Nagai. L'anime targato Netflix mette in scena una storia complessa e profonda, fatta di mostruosità deformi e perversioni inimmaginabili in un comparto visivo forte, disinibito e violento. Un vortice di colori psichedelici, erotismo esasperato e forme semplici che riescono a mascherare molto abilmente la superficialità di certe animazioni dietro un velo di "autorialità". La narrazione, i personaggi e i temi trattati risultano di grande impatto, ma il ritmo del racconto poteva essere diluito in qualche episodio in più, così come la colonna sonora avrebbe potuto e dovuto proporre una maggiore varietà di brani.

7.5