Evangelion 3.0+1.01 Thrice Upon a Time Recensione: uno spettacolo emotivo

L'ultimo capitolo del Rebuild of Evangelion è la conclusione definitiva di una saga decennale. Sarà all'altezza delle aspettative?

Articolo a cura di

Il Rebuild of Evangelion è una Nuova Genesi. La tetralogia di lungometraggi che ha riscritto la storia della serie animata, senza sostituirla né sovrapporsi a essa, bensì integrandosi e finanche completandola, ha dato corpo a un altro inizio per l'universo di Hideaki Anno. E, di conseguenza, a una nuova fine. Evangelion 3.0+1.01: Thrice Upon a Time è come la dolce e tonante nota conclusiva di un'esecuzione al pianoforte, è la solenne chiusura del sipario, è l'atto definitivo di un'opera mastodontica come poche altre.

Per certi versi, è il contrappunto speculare di The End of Evangelion (a proposito, la serie TV di Evangelion tornerà con una limited edition Blu-Ray): una chiosa che ne recupera i toni epici e raffinatamente psicologici, ma che trasmette un messaggio assai differente. Non certo meno potente, eppure mancante del giusto equilibrio, forse troppo denso di suggestioni che, nella pur lunga durata del film, inondano lo spettatore e lo lasciano volutamente stranito, intorpidito da un'indeterminatezza quasi ipnotica. La stessa che, in fondo, da sempre caratterizza ogni finale (anime, film e manga) di Neon Genesis Evangelion. Evangelion 3.0+1.01 esce su Prime Video ad agosto e noi lo abbiamo visto in anteprima.

Salire a bordo dell'Eva, un'ultima volta

L'incipit di Thrice Upon a Time è tanto rapido quanto folgorante, un segmento visivamente d'alto profilo, dove subito si mette in chiaro la marca stilistica di quel virtuosismo che anima le sequenze d'azione. Poi d'un tratto tutto si quieta, in una lunga stasi, per ripartire in seguito, in un trionfo trottante di dinamismo e colpi di scena. Il bilanciamento ritmico del film è quasi impeccabile, e viene incrinato solo alla fine da un susseguirsi di rivelazioni che non riescono sempre a trovare il giusto spazio.

Meglio non esporsi troppo nel raccontare la trama di Evangelion 3.0+1.01: è sufficiente sottolineare, a nostro avviso, che la storia riparte da dove si era interrotta in You Can (Not) Redo. La WILLE, guidata da una Misato Katsuragi mai così algida, è ancora in guerra contro la NERV, sulla cui cabina di comando Gendo Ikari persiste nel suo tentativo di attuare il Progetto per il Perfezionamento dell'Uomo. Il mondo ha però subito già troppi "Impact", ed è giunto il momento che Shinji, Asuka e Mari salgano a bordo degli Eva per l'ultima volta. La fine tanto attesa si nutre di toni rassicuranti e apocalittici al contempo. In Thrice Upon a Time, quelli che anni fa erano chiamati Children hanno la consapevolezza che tutto sta per concludersi, ed è con questa deterministica convinzione che vanno incontro alla battaglia decisiva. Ineluttabile e inevitabile, come il dolore. Gli eventi che si avvicenderanno a schermo posseggono una portata gargantuesca per la serie di Anno, con una eco quasi cross-mediale, e superano in complessità concettuale persino quanto visto in quel capolavoro di The End of Evangelion. Il sovraffollamento di nozioni, avvenimenti e svelamenti diviene a tratti così vorticoso da perdere purtroppo il senso della misura.

Spettacolo emotivo

Così come la trama, anche l'animazione viaggia a briglie sciolte, agendo con esuberanza e un pizzico di quella tracotanza che accompagna gli autori consci di poter osare. A differenza della narrazione, tuttavia, la sovrabbondanza visiva di Thrice Upon a Time è un grande valore aggiunto.

La regia di Anno, Tsurumaki, Nakayama e Maeda è un pot-pourri di visioni, stili e dinamismi che sa ammaliare: tutto si amalgama in maniera quasi ineccepibile, eccezion fatta per la mescolanza un po' invasiva - soprattutto verso l'atto finale - di una CGI che poco si lega al disegno tradizionale. Lo scollamento è leggermente straniante, eppure lo si dimentica presto: questo contrasto tanto marcato lascia infatti il posto a un flusso di coscienza artistico che si muove di pari passo con l'andamento della storia.

Senza anticiparvi troppo, nelle sue battute conclusive Evangelion 3.0+1.01 varia abbastanza spesso i suoi guizzi visivi, in una miscela grafica che - paradossalmente e sorprendentemente - si adegua con coerenza ai temi della narrazione. Anche la bellissima colonna sonora non è da meno: per quanto i brani Voyager e One Last Kiss non abbiano la trionfale potenza emotiva di Come, Sweet Death (la deliziosa marcia funebre di The End of Evangelion) riescono comunque a danzare elegantemente con le immagini.

Personaggi noti, sentimenti nuovi

C'è un lungo momento, in Thrice Upon a Time, in cui il dramma sembra quietarsi, e il dolore affievolirsi. È un segmento narrativo ameno, quasi idilliaco, di pacifica quotidianità. Ed è forse il frangente più bello dell'intera quadrilogia. In questi istanti i protagonisti conoscono un'evoluzione caratteriale inaspettata, intensa, ben sviluppata, a tratti persino struggente.

È il caso di Rei, ad esempio: si va davvero al di là del suo cuore. Nel rispetto dei temi del racconto, anche l'animazione si fa più delicata, si alimenta di colori pastello, di linee più morbide sull'ambiente, per poi tornare al tocco più graffiante, spigoloso e geometrico negli interni della nave AAA Wunder e nelle stanze asettiche della NERV. I personaggi di Evangelion 3.0+1.01 sono gli stessi che abbiamo conosciuto nella serie, nel manga e nei primi tre capitoli del Rebuild, eppure sono differenti: la loro visione del mondo è cambiata, la loro personalità si è evoluta. La forma dell'uomo è rimasta la medesima, la forma dell'animo è nuova.

E questo vale per tutti gli attori sulla scena, da uno Shinji mai tanto risoluto fino ad Asuka, passando addirittura per Gendo, la cui tempra morale conosce un approfondimento illuminante. Del cast è Mari quella su cui la sceneggiatura si sofferma con minor enfasi, ed è un peccato: visto il ruolo che recita, una maggiore chiarezza sulla sua figura avrebbe reso questo atto finale meno criptico e allusivo. Non che sia impossibile inquadrare l'importanza di Mari nell'ordito del racconto, certo; ciononostante lo spettatore poco propenso a indagare sulle singole scene e i loro dettagli rimarrà con alcune domande dalle risposte fumose.

La nuova fine di Evangelion

L'intera saga di Neon Genesis Evangelion ha sempre fatto della complessità e dell'elitarismo tematico i suoi pilastri fondanti. Pertanto, sarebbe stato un po' ingenuo aspettarsi un racconto meno contorto in Thrice Upon a Time, in particolare dopo le premesse introdotte in You Can (Not) Redo.

Il problema risiede nel fatto che in questo quarto film la visione di Hideaki Anno va in Berserk. L'estesa e reboante parte finale del lungometraggio è un susseguirsi ininterrotto di colpi di scena clamorosi, cambi di prospettiva, confessioni appaganti e persino frammenti di lore inediti, i quali non hanno tempo di essere assimilati a dovere. Che l'indeterminatezza e la suggestione date dal mistero facciano parte del fascino di Evangelion è ormai indiscutibile, eppure in Thrice Upon a Time tutto sembra estremizzato. L'escatologia va a volte oltre i confini della comprensione, e il lavoro di astrazione a cui è costretto lo spettatore supera il limite. Tutto continua comunque a funzionare per un miracolo di messa in scena, per una ricchezza tematica inusitata, e per l'incredibile abilità di delineare la psiche dei personaggi in fugaci sguardi e rapidi dialoghi.

Senza dimenticare anche un citazionismo che gli estimatori di Neon Genesis Evangelion non faticheranno a cogliere e apprezzare. Resta vero che, al di là dell'incanto visivo e della profondità narrativa, Thrice Upon a Time vuole raccontare tanto e in poco tempo, lasciando agli spettatori il compito di rimettere insieme i frammenti di un simbolismo molto ambizioso.

Evangelion: 3.0+1.0 Thrice Upon a Time inscena un mondo che finisce: quello della decennale saga di Neon Genesis Evangelion. L’ultimo capitolo del Rebuild è il contorsionistico tentativo di tirare le fila di un racconto stratificato e dannatamente arduo da decifrare. Brillante sul piano psicologico e visivo, Evangelion 3.0+1.01 si incrina durante l’atto conclusivo, tanto emozionante e rivelatore quanto aggrovigliato e compiaciuto nella sua eccessiva densità concettuale. Anche dinanzi a simili increspature, bisogna ammettere che rimane un piacere lasciarsi inondare da questo fiume che straripa. Con un peso molto grande sulle spalle, Thrice Upon a Time ci chiede dunque di dire Addio a Evangelion, un’opera d’importanza seminale che Hideaki Anno, dopo lungo tempo, è riuscito finalmente a concludere, gridando nuovamente amore nel cuore del mondo. Congratulazioni.

7.5