Fullmetal Alchemist: Il conquistatore di Shamballa, Recensione del primo film

La prima, apocrifa serie anime tratta dal manga di Hiromu Arakawa riceve una degna conclusione con il primo film firmato Studio Bones.

Fullmetal Alchemist: Il conquistatore di Shamballa, Recensione del primo film
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Complice il successo indiscusso del franchise, che ha permesso a ogni incarnazione multimediale di imporsi prepotentemente nell'Olimpo del medium di riferimento, anche Fullmetal Alchemist non è certo esente da produzioni cinematografiche animate legate alla serie televisiva di animazione. Prodotti che molto spesso forniscono una semplice aggiunta, in termini narrativi, all'immaginario creatosi nell'opera principale, oppure che a volte completano addirittura qualcosa lasciato in sospeso nell'opera madre. Fullmetal Alchemist: Il conquistatore di Shamballa, corrisponde al secondo dei due casi illustrati: si tratta del primo film che prosegue e completa la narrazione della prima serie anime tratta in parte dal manga della grande Hiromu Arakawa. Se ricordate, infatti, il manga ricevette una prima trasposizione andata in onda tra il 2003 e il 2004, un anime che parte ispirandosi ai primi volumi del fumetto per poi (per ovvi motivi, considerato che la serializzazione di Fullmetal Alchemist in versione cartacea era ai suoi albori) prenderne le distanze con una storia originale che, a parer nostro, ad oggi non regge il confronto con il materiale cartaceo originale e completo. La serie fu concordata proprio da Hiromu Arakawa con lo studio di produzione Bones e, sotto la direzione di Seiji Mizushima, riuscì a comunque a conquistare il suo pubblico grazie alle basi piuttosto solide su cui poggia l'immaginario di riferimento. Sempre quel Mizushima, quindi, nel 2005 firmava il lungometraggio di cui vi parliamo oggi, che rappresenta in tutto e per tutto un sequel conclusivo di quella tanto discussa serie del 2003, caratterizzata da un finale tanto aperto quanto malinconico.

Ritorno ad Amestris

Facciamo un salto indietro, all'ormai lontano 2 ottobre 2004. Più di dieci anni fa, prima che il franchise venisse ripreso proprio da Studio Bones e Aniplex, che realizzarono il capolavoro chiamato Fullmetal Alchemist: Brotherhood, andava in onda sugli schermi nipponici l'ultimo episodio (il cinquantunesimo) di Fullmetal Alchemist, la primissima trasposizione anime che del manga di Hiromu Arakawa condivideva soltanto la trama delle prime puntate, il titolo e l'immaginario. Il culmine di quella trama alternativa corrisponde, come i fan più affezionati sicuramente ricorderanno, con il nostro Edward che - per riportare nel nostro mondo il corpo e l'anima di suo fratello Alphonse nella battaglia finale contro gli inquietanti e spietati Homunculus - ha deciso di sacrificare la propria vita, lasciando il suo fratellino da solo e senza ricordi, seppur accudito dalle cure di Winry, Pinako, Izumi e compagnia ma tormentato da dubbi e rimembranze sbiaditie di un fratello maggiore scomparso che, in quel lontano 3 ottobre del 1911, sacrificò i suoi arti nel corso del tentativo di trasmutazione di Trisha Elric, culminato come ben sappiamo in tragedia. In realtà Ed, insieme a suo padre Van Hohenheim, è rimasto bloccato in un mondo alternativo che corrisponde ai primi anni di un Novecento realistico, in cui la scienza ha prevalso sui prodigi derivati dall'alchimia e l'ambientazione ci ricorda in tutto e per tutto la Germania pre-Seconda Guerra Mondiale. Il conquistatore di Shamballa ci proietta due anni dopo gli eventi del finale di serie: Edward vive ancora nel mondo alternativo in cui è bloccato e, perse le tracce di suo padre Hohenheim, si è trasferito a casa di Alphonse Helderich, un giovane incredibilmente somigliante a suo fratello minore e che nel tempo si è affezionato molto al protagonista; nel frattempo, nel "nostro" mondo, Alphonse è cresciuto e ha assunto un look che emula in tutto e per tutto quello di Edward, indossando i suoi abiti da Alchimista di Stato e lasciandosi crescere i capelli.

Al vive con un solo scopo: ritrovare Edward, i cui ricordi più vividi sono legati unicamente a quando tentarono di trasmutare la madre, avendo rimosso totalmente la loro avventura alla ricerca della pietra filosofale durata ben quattro anni. I due, finalmente, si ritroveranno dopo essere stati distanti per ben due anni, e lo faranno in maniera molto particolare: le vicende di entrambi li porteranno a conoscere la società di Thule, che nel mondo ambientato nell'Europa realistica intende trovare il portale per la misteriosa realtà di Shamballa (ovvero l'altro mondo, quello popolato dalle leggi dell'alchimia, che ben tutti conosciamo); sullo sfondo, a omaggiare il contesto storico ben preciso in cui Hiromu Arakawa cala la sua opera, c'è la genesi del partito nazionalsocialista, con le prime persecuzioni contro il popolo ebreo e l'ascesa al potere di un incombente Adolf Hitler.

L'importanza di un finale

Fullmetal Alchemist: Il conquistatore di Shamballa, a nostro avviso, riesce in ciò che la prima serie di Fullmetal Alchemist diretta da Saiji Mizushima ha provato a cimentarsi, traendone un risultato interessante ma narrativamente scialbo. Gli sviluppi della serie anime, purtroppo, risultano soltanto l'ombra di ciò che è l'opera completa e conclusa, poiché nel tentativo di intraprendere una strada propria finiscono con lo scadere nel proporre personaggi riciclati dai primi volumi del manga oppure nell'introdurne di nuovi, privi di quel carisma che invece presenta il pittoresco cast di comprimari appartenenti al materiale originale.

L'immaginario in cui viene calato il tutto, però, risulta altamente suggestivo e ben oliato in ogni suo meccanismo narrativo e contestuale, ed ecco perché il finale del Fullmetal Alchemist datato 2003-2004 ci aveva suscitato un certo interesse, seppur lasciandoci spiazzati per una conclusione così drastica e amara.

Il conquistatore di Shamballa non solo porta doverosamente a conclusione una storia che aveva bisogno di un codino finale, per poter esser definita completa e definitivamente a sé stante, ma riesce a dare un deciso slancio qualitativo alla storia alternativa che il buon Mizushima - insieme alla stessa Arakawa, che col tempo dovette rendersi conto di quanto la sua creatura si fosse distanziata da ciò che doveva essere - ha intessuto con maestria ma anche un pizzico di ingenuità. Oltre a risultare avvincente (probabilmente perché scevro, completamente, da ogni tipo di vincolo con l'opera originale, trattandosi di una sorta di sequel avulso dal manga) la pellicola del 2005 si fa portatrice di personaggi interessanti che risultano ben amalgamati nella sceneggiatura della pellicola: a cominciare dalle vecchie conoscenze fino a quelle rivisitate, come il "nuovo" Al o le versioni alternative di altri comprimari come quella di Fritz Lang (il doppelganger di King Bradley), fino anche ai personaggi completamente inediti come la zingara Noa o i membri della Società di Thule, Karl Haushofer e Dietlinde Eckart.

Nonostante, inoltre, il film sia stato realizzato soltanto un anno dopo la prima serie principale, la sensazione è che il comparto tecnico sia stato notevolmente migliorato: non che il primo Fullmetal Alchemist presentasse dei difetti in termini di disegni e animazioni, ma ad oggi risulta un prodotto tutto sommato invecchiato non benissimo, caratterizzato da uno stile perfetto ma estremamente statico. Il conquistatore di Shamballa, invece, fa sfoggio dei primi rudimenti di computer grafica e, complice il lavoro a dir poco eccelso che - come sempre - caratterizza lo Studio Bones, il risultato è un film dal tratto vivace e dinamico, impreziosito da un'ottima regia e un'estetica finemente tratteggiata, capace di dare il meglio di sé soprattutto nei cromatismi: grigi e freddi, propri delle grandi metropoli industriali, quelle del mondo alternativo del 1923; caldi, accesi e accoglienti, come a riportarci dolcemente tra le mura di casa nostra, quelle del mondo alchemico creato dalla mente della Arakawa.

Fullmetal Alchemist: Il conquistatore di Shamballa Dovendo raccogliere un'eredità pesante, e cioè quella di portare a compimento una serie di cui il materiale originale andava imponendosi sempre di più nella cultura pop nipponica, Fullmetal Alchemist: Il conquistatore di Shamballa riesce in ciò che l'anime del 2003 non era riuscito completamente a cogliere: una storia dalle tinte inedite e originali, forse perché finalmente scevra di ogni confronto con l'opera cartacea, oltre che intrisa di riferimenti storico-culturali che ben si amalgamano con l'immaginario intessuto da Hiromu Arakawa. A ciò si aggiungono un buon comparto tecnico e il mix operato da Seiji Mizushima tra personaggi vecchi e nuovi: il paragone con il vero, originale e completo Fullmetal Alchemist pesa comunque come un macigno e, pur continuando a preferire i risvolti classici del manga e di Brotherhood, troviamo che Il conquistatore di Shamballa riesca a fornire una conclusione soddisfacente e coesa con quanto costruito nei due anni precedenti.

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