Recensione Ghost In The Shell 2: Man/Machine Interface

Recensito il manga più controverso di Masamune Shirow

Recensione Ghost In The Shell 2: Man/Machine Interface
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Tutto un altro Ghost In The Shell ...

"Questa storia si svolge quattro anni e cinque mesi dopo che Motoko Kusanagi, la protagonista di Ghost in the Shell, lascia la Nona Sezione della Polizia in seguito alla fusione con una sedicente forma di vita elettronica autocosciente. Non si tratta, dunque, di una storia incentrata sulle vicende della Nona Sezione. Inizialmente avevo pensato di intitolare questo libro 'Reparto Operativo Ghost', ma soppesando tutti gli elementi ho deciso per il titolo attuale. Mi dispiace per coloro che si aspettavano tematiche affini al primo volume, ma invito tutti a comprendere le mie motivazioni. Comunque sia, preferisco chiedervi scusa in anticipo, nel caso doveste rimanere interdetti." Shirow Masamune
Noi in parte emendiamo e facciamo notare agli appassionati che ciò che maggiormente cambia tra i due Ghost In The Shell è lo stile narrativo, mentre è forte la congiuntura delle due opere nelle tematiche, mostrando questo secondo volume come l‘essere risultante dalla fusione Motoko Kusanagi/Marionettista metta in pratica le teorie esposte nel finale del primo Gits.

Trama ( confusa )

Il titolo scelto pel paragrafo è abbastanza eloquente.
D’altronde, come potrete anche costatare facendo un giro in rete o chiedendo a qualche vostro amico che ha letto questo astruso manga, non siamo i soli ad esser rimasti spaesati di fronte ad un intreccio narrativo all’apparenza incomprensibile e contraddittorio, quasi che l’autore si sia beffato del suo pubblico o, avendo ben chiara l’opera nella mente, non abbia prestato troppa attenzione a come comunicarla. Ma veniamo ai puri fatti. La storia prende avvio in un tempio dove vari personaggi, tra cui Aramaki (direttore della sezione 9), discutono di una tale cyborg rispondente al nome di Motoko/Aramaki che, così riferiscono, pare essersi fuso con almeno altre quattro “anime“. Nella prima parte, e per tutta la sezione centrale, dove, come nel primo Gits, il filo della storia principale si fa quasi irrintracciabile, si è portati a credere che la nostra Motoko/Aramaki nient’altro sia che uno sviluppo dell’essere nato dalla fusione di Motoko Kusanagi e il Marionettista . Man mano però le cose si complicano, compaiono altri esseri dal corpo femminile, spesso somigliante a quello di Motoko Kusanagi, che sembrano avere anche loro le carte in regola per rivendicare d’essere lo “sviluppo” della fusione Motoko Kusanagi/Marionettista (v. "Croma", protagonista anche di una delle storie di Gits 1.5 ).
A rendere la vicenda ancora più intricata appare nel finale un sistema dal nome Stabat Mater, che nel cyberspazio ha sembianze molte simili, se non identiche, proprio a Motoko Kusanagi e che chiama Motoko/Aramaki 11° isotopo, intendendo con questo termine un qualcosa tipo 11° figlio. Le due Motoko, principalmente per la sete di verità di Motoko/Aramaki, avvieranno così uno scontro faccia a faccia che si configura, parole loro, come una lotta madre-figlia

Thriller nel cyberspazio delle donne procaci

Parliamo ora delle evidenti differenze stilistiche rispetto al primo Ghost In The Shell. La cosa che più ha fatto e farà discutere è il fatto che la maggior parte dell‘azione, o almeno i suoi momenti più vivi, invece che nel solito ambiente poliziesco tipico di Shirow sono posti in un cyberspazio dalla fisionomia molto astratta e sfuggente. Certo i disegni che ci accompagnano in tali frangenti sono eccelsi, per di più quasi totalmente a colori, ma è tanto grande il senso di spaesamento in questa dimensione, più vicina alla rappresentazione di un insondabile inconscio che di una immensa “rete”, che tutte le altre sue qualità, apprezzate o meno, svaniscono e ci si ritrova a seguire incerti la matita di Shirow.
Secondo oggetto di acri diatribe è stato l’abuso che l’autore ha fatto del fan-service. Pesanti critiche e sarcastici commenti sono caduti addosso all’opera, accusata di non avere altro fascino che quello delle voluttuose Motoko che ci si mostrano in posa sexy almeno ad ogni giro di pagina. Tutto giusto ma, almeno, si deve riconoscere all’autore l’attenuante di aver ammesso egli stesso di avere troppo calcato la mano (in una nota a margine nel 5° capitolo, la mancanza della numerazione delle pagine ci impedisce un riscontro più preciso così come ci ha impedito di fornire un preciso raffronto testuale nel resto dell’articolo).

La nostra interpretazione

Man/Machine Interface è quasi totalmente l’inscenamento di come l’essere Motoko Kusanagi/Marionettista metta in pratica le teorie esposte nel finale del primo Ghost In The Shell dal Marionettista, in virtù delle quali questo riusciva appunto a convincere Motoko ad effettuare quella fusione che conclude spettacolarmente il primo manga. E ne parliamo in quest’articolo piuttosto che in quello dedicato al primo perché è in questo Gits che tali idee vengono realmente messe in atto. Rivediamole brevemente a beneficio di chi non le conosce, o le conosce solo come sono state modificate nell’adattamento cinematografico di Oshii.
L’idea di base è che un essere assolutamente perfetto, quale è appunto il Marionettista, è comunque da un certo punto di vista molto più vulnerabile di un essere imperfetto quale l’uomo o un altro qualsiasi animale (ovviamente considerandone quest’ultimo come tutta una specie e non come individuo singolo) perché un solo nuovo virus è sufficiente ad annientare quell’essere perfetto mentre la diversità che - grazie alla molteplicità di cui è composta la sua specie - ha il secondo lo rende molto più resistente. Giudicando il Marionettista che una copia da lui concepita non potesse essere realmente differente, decide quindi di fondersi con Motoko e creare così un essere del tutto nuovo.
Manca qualcosa al completamento della sua teoria, vero?
In effetti il nuovo essere, pur realmente diverso da i suoi genitori (è un vero figlio che nulla ha a che fare con una copia di stile informatico), è sempre uno e quindi non soddisfa quell’esigenza di molteplicità che aumenta esponenzialmente la resistenza di una specie al rischio di una catastrofe e che è il fulcro della teoria esposta. Qui finisce il primo Gits, dal breve riassunto della trama esposta sopra sappiamo cosa ci troviamo davanti cinque anni dopo. Tante Motoko, tutte realmente diverse e che hanno con l’originale un rapporto madre-figlia. La più ovvia conclusione è che l’essere Motoko Kusanagi/Marionettista (vale a dire, la madre) abbia fatto delle copie di sé e le abbia fuse con copie di altri esseri dotati di cyber-brain ( in quanto più o meno copiabili anche loro ) o proprio con i cyber-brain degli altri esseri stessi. Oltre a qualche parola ambigua sparsa qua e là per il manga (ci rammarichiamo di nuovo che manca una numerazione della pagine), ci spinge a questa ipotesi il personaggio di Motoko/Aramaki, che, almeno stando al nome, dovrebbe essere il risultato di una fusione tra una copia di Motoko/Marionettista e la copia del cyber-brain di Aramaki (dato che Aramaki si vede ancora, non sembra possibile una fusione col cyber-brain originale di Aramaki a meno che, ovviamente, non si ipotizzi che l’Aramaki che vediamo sia animato dalla copia del suo cyber-brain... essenzialmente, comunque, cambia poco).

Marionettisti a confronto: quello di Shirow e quello di Oshii

Nel Ghost In The Shell cinematografico di Oshii lo scopo del Marionettista è decisamente un altro. Il regista, piuttosto che parlare di come la “vera immortalità“ sia raggiungibile solo attraverso la specie e la sua moltiplicazione e diversificazione ( non quindi tramite il conseguimento di una statica/sclerotica perfezione), si concentra sul fatto che attributo caratterizzante di un vero essere umano sia, oltre che il pensiero, la mortalità. Il suo Marionettista, a differenza di quello di Shirow che ambisce principalmente l’immortalità (seppure realizzata tramite la specie), desidera per lo più di diventare un vero essere vivente, avente anche l’attributo della mortalità individuale, mentre lascia in secondo piano l'immortalità della specie.

Ghost In The Shell 2: Man/Machine Interface Non ci sembra ci sia molto da aggiungere a quanto scritto sopra, è chiaro che ci si trova di fronte ad un’opera molto particolare, le cui qualità non sono neppure tanto evidenti e che può bene suscitare qualche dubbio. La sua lettura è pesante e vi porterà spesso a chiedervi se non abbiate sprecato i vostri soldi e non stiate sprecando il vostro tempo. Infine, oltre al concetto principale, il manga manca di tutte le pungenti considerazioni socio-politiche che erano un ottimo condimento per il primo. È degno dell’acquisto allora? Considerato il prezzo tutto sommato economico (9,50 euro per un manga one-shot con sovracoperta e quasi duecento pagine a colori) prenderlo non sarebbe male, purchè siate coscienti di trovarvi di fronte ad un’opera enigmatica e la cui riflessione ha natura molto più fantascientifica rispetto a quella presentata nel primo Gits.