Recensione Giappominchia Studio semiserio sul fanatismo nippofilo

Studio semiserio sul fanatismo nippofilo

Recensione Giappominchia Studio semiserio sul fanatismo nippofilo
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Uscito in anteprima a Lucca Comis and Games 2011, a dicembre è arrivato in tutte le fumetterie il libro di Giulia Marino edito dalla Kappa Edizioni intitolato: 'Giappominchia. Studio semiserio sul fanatismo nippofilo'.
Nel sottotitolo e in alcuni passi del libro viene sottolineato che si tratta di uno studio semiserio, ma invece di trovarci di fronte ad un'analisi scanzonata, ci imbattiamo in un' 'indagine' molto spesso acida, in cui vengono formulate frequentemente affermazioni assolutiste riguardanti questo fenomeno che sta colpendo i giovani italiani.
Fin dalla prefazione possiamo notare come le definizioni utilizzate dalla Marino per descrivere alcuni termini siano in alcuni casi tirate o in altri datate, tanto da non rispecchiare più l'utilizzazione corrente di quella parola. Questa prima mancanza contribuisce a creare così visioni errate di alcune categorie di appassionati, inoltre si può notare un certo 'astio', comune in molte persone che si definiscono esperte di giappominchia verso le yaoi fangirl, ovvero le appassionate del genere yaoi.
Fin dall'inizio la Marino tende a distinguere quattro categorie: i fan del Giappone (usata raramente ndr.), i nipponisti, gli otaku e i giappominchia, ma avverte che la linea di demarcazione tra queste ultime due tipologie è molto labile e non sempre una categoria comprende l'altra, tutt'altro. Infine la Marino avverte che il libro sarà un mezzo che il lettore potrà usare per formarsi una propria idea su cosa sia un giappominchia ma vedremo che questa libertà di formularsi una propria ipotesi è in realtà pilotata e non dà molto spazio all'interpretazione.

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Uno dei problemi principali è come definire un giappominchia, su questo siamo d'accordo con la Marino. In ogni definizione che leggerete o di cui sentirete parlare troverete dei punti comuni, in alcuni casi invece c'è la tendenza a confondere una certa estremizzazione di alcune passioni con l'essere un giappominchia. Questo è uno dei problemi per cui è difficile dare una definizione chiara e semplice del fenomeno. Quindi di chi stiamo parlando? Essenzialmente di ragazzi/e adolescenti, per la maggior parte sotto i 15 anni, che hanno un amore spassionato per tutto quello che riguarda il Giappone, che tendono a straparlare e a porsi come esperti di cose di cui in realtà hanno una conoscenza approssimativa e che non riescono a formulare ragionamenti critici su niente che provenga dal Giappone.

Dal secondo all'ottavo capitolo la Marino analizza alcuni aspetti caratteristici dei giappominchia: il linguaggio (una caratteristica prevalentemente femminile), le loro abitudini, l'alimentazione, il loro rapporto con la società, la loro ignoranza e la loro originalità. In queste pagine l'autrice continua a utilizzare un linguaggio informale, molto simile a quello colloquiale, in cui tende a usare frasi che sollecitano il riso, spesso canzonatorie, che aiutano a nascondere una certa acidità che diventa sempre più evidente col protrarsi della lettura, e in alcuni casi tende a diventare offensiva. Ora, capiamo che il comportamento di queste persone può danneggiare la nostra immagine di appassionati del Giappone, ma per questo motivo definire una persona una stordita a priori solo perché è una giappominchia ci sembra esagerato, come anche dire che queste persone sono malate ma ancora recuperabili! Si tratta di giudizi forti che anche se detti in quello che dovrebbe essere un contesto semiserio, aiutano a fomentare un odio inutile. In alcuni casi vengono ahinoi forniti pessimi esempi che tendono a creare confusione su chi sia in realtà un giappominchia.

Prendiamo in considerazione il caso citato a pagina 26: «A me il primo giorno di scuola al liceo è quasi venuto da piangere, perché nessuno in quella classe aveva mai visto un anime in vita sua. Mi sono sentito solo e depresso come se non avessi nessuno...». Se sostituiamo il fatto di aver visto un anime con l'essere appassionato di un qualsiasi altro argomento di nicchia, la reazione che si avrà sarà facilmente molto simile, dipenderà poi dall'individuo tessere dei rapporti anche su altri basi. In questa frase non viene per niente percepita nessuna delle caratteristiche di un giappominchia citate dall'autrice, forse nel contesto da cui è stata estrapolata l'esempio era più calzante ma non potendo verificarlo, dobbiamo basarci solamente su quanto abbiamo in mano. Se poi pensiamo agli esempi che Baricordi e De Giovanni hanno citato in conferenza stampa a Lucca, la confusione continua ad aumentare: il non conoscere l'utilizzo dell'asciugamanino caldo che viene dato in un ristorante giapponese la prima volta che si va, o il significato di un certo gesto in Giappone, derivano da una mancata conoscenza di usi e costumi di quella nazione, ma sono situazioni in cui può cadere qualsiasi persona, non solo un giappominchia. Notiamo quindi che in taluni casi le figuracce per mancanza di conoscenza e il solo avere una passione per gli anime diventano a torto delle caratteristiche per individuare un giappominchia.

Per quanto riguarda il contenuto di queste pagine è doveroso fare alcune osservazioni: nel quinto capitolo ci sono degli esempi di alcuni autori letterari o registi giapponesi che un giappominchia non conoscerà mai. Dello stesso peccato sono vittime anche molti otaku che generalmente conoscono un banale 3% della cultura giapponese, si distaccano invece i veri amanti del Giappone, secondo la Marino, che cercano continuamente di ampliare la propria conoscenza. Noi conosciamo molti amanti del Giappone che guardano film e seguono drama ma non hanno idea di chi sia Kenji Mizoguchi, oppure non sono avidi lettori e non hanno mai letto un libro di Murakami o della Yoshimoto. È pur vero che se una persona si appassiona ad un argomento cercherà di approfondire la sua conoscenza ma è anche vero che non tutti hanno voglia, soldi e tempo per farlo. L'autrice poi conclude affermando: "E a meno che voi non siate nipponisti affermati, non dimenticate che il confine tra essere otaku ed essere giappominchia è davvero molto sottile, quindi chiedetevi di tanto in tanto quanto e che cosa effettivamente sapete sul Giappone, perché il virus giappominchiosis potrebbe avervi puntato da tempo, anche a vostra insaputa...". E qui capita d'imbatterci nuovamente in un'affermazione sibillina: se non mi informo continuamente sul Giappone rischio di diventare un giappominchia? Non è un po' esagerato? E la linea sottile che divide un giappominchia da un otaku non può dipendere solamente da questo, altrimenti quanto detto finora non avrebbe senso. Però notiamo che gli esempi fatti dai Kappa Boys a Lucca rientrano proprio in questa categoria. Che sia davvero un requisito così fondamentale come ce lo dipingono? La mancanza di conoscenza non è una causa dello straparlare, così come del considerarsi un esperto di qualcosa di cui non si è, e dell'avere una visione cieca di ciò che ci circonda. Possiamo concludere che questo aspetto è sì importante, ma non è la causa scatenante delle altre caratteristiche dei giappominchia e quindi è sbagliato considerarlo una peculiarità tale che permette singolarmente di decidere se si è o meno un giappominchia.
Passiamo all'ottavo capitolo. Qui la Marino per parlare della poca originalità dei giappominchia usa come esempi il dare un nome di un personaggio giapponese al proprio animale, tatuarsi il nome o il volto del proprio personaggio preferito. Questi due casi però non sono una caratteristica dei giappominchia. Quanti bambini, e animali domestici, sono stati nominati come i personaggi di Harry Potter, o i protagonisti Beautiful? E quanta gente avete visto in rete con tatuaggi dei personaggi di Twilight, Star Wars, i supereroi di Marvel e DC e tanti altri?

E ora passiamo a uno dei capitoli più spinosi del libro: quello dedicato alle giappominchia yaoi fangirl. Premettiamo, non vogliamo difendere le amanti dello yaoi, ma vorremmo che venissero messi i puntini sulle i su alcune cose che l'autrice dice, visto che non si fa problemi a definire queste ragazze come delle "vogliose e sporcaccione come delle pornostar affermate... giovani ragazze un po' invasate... persone decisamente borderline... [che] se eccessivamente stimolate, sono capaci di mordere, graffiare, sbavare copiosamente e stuprare...".  Ci pare che i termini usati in questo capitolo siano eccessivi. Possiamo capire che a qualcuno non piaccia lo yaoi, ma qui si esagera, e molto! Uno dei problemi più grossi che si trova in questo capitolo è che la Marino non si sforza neanche di mettere a confronto una yaoi fangirl con una giappominchia yaoi fangirl, e facendo così, forse involontariamente, tende a fare di tutta l'erba un fascio perché sembra che si rivolga alla versione estrema delle amanti dello yaoi che, guarda caso, si rivelano essere delle giappominchia. Secondo la Marino il mondo delle giappominchia yaoi fangirl ruota attorno allo yaoi, ovvero manga e anime colmi di riferimenti e pairing yaoi. Da questa affermazione sembra che non leggano mai manga o vedano mai anime yaoi, un comportamento che non avrebbe senso. Altra affermazione discutibile è dire che essere un fan di Hetalia ti trasforma automaticamente in una giappominchia yaoi fangirl.

Secondo la Marino la serie ha "il più elevato concentrato di yaoisità che essere umano abbia avuto il coraggio di scrivere su carta...". Qualsiasi lettrice di yaoi vi dirà il contrario ed anzi vi porterà come esempio di serie non-yaoi con molti spunti del genere, quella dei Cavalieri dello zodiaco. Pensate che le Clamp agli inizi disegnavano doujinshi yaoi di Capitan Tsubasa e dei Cinque Samurai, l'autrice di Hanakimi ha sì realizzato doujinshi yaoi di Inuyasha, Evangelion e Naruto ma anche molte altre doujinshi di stampo comico sulla famosa serie di Rumiko Takahashi e One Piece. Autori come Masashi Kishimoto o Yoshihiro Togashi, hanno invece creato degli omaggi per le fangirl in Naruto o Hunter X Hunter. Possiamo desumere che le doujinshi yaoi così come quelle hentai, sono produzioni di nicchia che servono spesso come palestra per i giovani autori, così come le fan fiction per gli amanti della scrittura. Possono piacere oppure no, ma non bisogna condannare le persone che le leggono, anche se un po' troppo appassionate. Per quanto riguarda il resto del capitolo, la Marino spesso tende a negare quanto detto precedentemente e a dipingere le giappominchia yaoi fangirl come delle appestate da evitare, contribuendo ad alimentare, per l'ennesima volta, un astio verso queste persone.

Per quanto riguarda gli ultimi tre capitoli non ci sono molte osservazioni da fare. Non sempre si è sicuri se l'autrice stia parlando di giappominchia o di alcuni tipi di otaku e di cosplayer, tanto per creare un po' di confusione. Alcune considerazioni sul mondo dei cosplayer non sono proprio esatte, e per quanto riguarda l'intervista finale, l'esempio proposto sembra essere un po' troppo estremo, sarebbe stato meglio aggiungere almeno una seconda intervista per poter comparare le esperienze delle persone citate.
Concludendo, l'opera è un'idea certamente originale ma non si può definire uno studio semiserio perché non analizza adeguatamente il fenomeno, più che scherzare sul fenomeno dei giappominchia tende ad offenderli, e spesso l'autrice contraddice se stessa nelle proprie affermazioni.

Giappominchia Studio semiserio sul fanatismo nippofilo Se pensate di comprare il libro per farvi due risate non è detto che il vostro obbiettivo sarà raggiunto, perché è facile che in un modo o nell'altro vi sentirete offesi o non sarete d'accordo con affermazioni e/o con le conclusioni dell'autrice. Se questa recensione vi ha incuriosito e non vi crea problemi spendere 9,5€ provate a dare un'occhiata a quest'opera, perché potrebbe essere interessante leggere un'opinione su questo crescente fenomeno.

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