K: recensione dell'anime dello studio GoHands disponibile su Netflix

Andiamo ad analizzare insieme i pregi e i difetti della prima stagione della serie anime K, realizzata dallo studio GoHands e disponibile su Netflix.

K: recensione dell'anime dello studio GoHands disponibile su Netflix
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K è una serie anime realizzata dallo studio d'animazione giapponese GoHands che, a oggi, conta due stagioni e una raccolta di film animati in arrivo. L'opera, diretta da Shingo Suzuki (tra le altre cose anche character design della serie), è stata trasmessa da numerose reti televisive giapponesi tra le quali MBS e riproposta successivamente anche sul portale streaming Netflix.
L'anime, seppur non molto conosciuto, conta anche un prequel in formato cartaceo dal titolo K: Memory of Red disegnato da Yui Kuroe. Di seguito andremo ad analizzare la prima stagione dell'opera, purtroppo incapace di suscitare il giusto interesse per via di una gestione del ritmo non ottimale.

Liceali, re, omicidi

La trama di K ci trasporta in un Giappone alternativo in cui sette clan (comandati rispettivamente da individui con poteri straordinari chiamati Re) sono in costante guerra tra loro.
L'opera si concentra prevalentemente su due gruppi precisi, cioè quello delll'Homra, capitanato da Suoh Mikoto (il Re Rosso) e lo Scepter 4, con a capo Munakata Reisi (il Re Blu), entrambi intenti a dare la caccia a Isana Yashiro, un liceale accusato di aver assassinato uno dei membri di un clan.
Il primo, grande, problema dell'opera sta proprio nella caratterizzazione del personaggio principale e del suo comportamento durante tutti gli episodi.
Yashiro, infatti, è un protagonista assolutamente anonimo e per certi versi apatico che, pur ritrovandosi al centro di quello che sembra essere uno scambio di persona, in vari momenti si comporta quasi come se non fosse successo nulla.
I primi episodi dell'anime, capaci di creare delle premesse tutto sommato interessanti, non riescono però in nessun modo a coinvolgere lo spettatore man mano che si avanza nella narrazione.

Neanche l'entrata in scena di personaggi come Kuroh Yatogami (un abile guerriero dotato del potere di distorcere lo spazio attorno a sé) riescono a risollevare l'incedere incerto della storia, ancorata a tutta una serie di cliché già visti innumerevoli altre volte. Superate le prime puntate si ha come l'impressione di trovarsi davanti a un'opera che non ha ben chiara la strada da seguire, in cui vengono unite varie influenze stilistiche differenti senza però approfondirne nessuna.

Il tema investigativo (che, date le premesse, doveva essere sviluppato meglio), risulta inesistente, seppur la prima stagione si basi di fatto sul mistero dietro allo scambio di persona del protagonista.
Il conflitto tra Il Re Rosso e il Re Blu, che fa da cornice all'intera vicenda, non riesce mai a incidere davvero ai fini della narrazione, risultando quasi come un riempitivo nonostante l'importanza oggettiva dei due comandanti.
La narrazione procede quindi in modo lento e a tratti confusionario, con il protagonista intento a scoprire la verità sul suo conto limitandosi a scappare; allo stesso modo, i due Re agiscono in modo lento e macchinoso, non riuscendo mai a coinvolgere lo spettatore nonostante siano dei comprimari di rilievo.

Lo stesso Yatogami, che in un primo momento è intenzionato più che mai a uccidere il protagonista, si comporta in modo sconclusionato, incapace di portare a termine i suoi obiettivi in maniera efficace.
La sua passione per la cucina (uno dei pochi tratti distintivi del personaggio), è implementata all'interno degli episodi in maniera superflua e a tratti insensata; emblematica da questo punto vista la scena in cui si mette a cucinare per il protagonista continuando a ricordargli che è lì per ucciderlo.

Chiavi, spade, poteri

A rendere però davvero pesante la visione dell'intera serie è senza ombra di dubbio la gestione del ritmo. Se infatti, all'inizio, il dilatamento dei tempi ha una sua precisa funzione autoriale, dato che vediamo il personaggio principale rilassarsi passeggiando per la città godendosi la propria vita tranquilla, con l'incedere della narrazione si avverte sempre più un senso di lentezza narrativa difficile da scacciare. Ogni sequenza risulta inspiegabilmente ridondante.

Insomma, ci troviamo di fronte a una produzione anonima nella sua interezza, con tutti i personaggi che parlano quasi sempre usando lo stesso tono di voce, sia durante le sequenze statiche che durante quelle più concitate. Per quanto riguarda i combattimenti, le animazioni risultano fluide e ben curate, seppur il tutto sia ammantato da un senso di già visto; gli stessi poteri speciali dei personaggi non vengono sfruttati più di tanto durante gli scontri, anche per via di battaglie troppo brevi per essere apprezzate appieno. Il design dei personaggi e degli scenari è gradevole, anche se in alcuni momenti la patina che avvolge i disegni stona un po' con il look semi-futuristico. Purtroppo neanche il comparto sonoro riesce a soddisfare completamente, per via di alcuni temi ricorrenti che a volte paiono inseriti in maniera abbastanza randomica o in scene palesemente fuori contesto.

Kanime K è purtroppo una serie incapace di raggiungere la sufficienza, minata da uno sviluppo caotico e alle volte parecchio ridondante, nonostante un incipit d'effetto. Un vero peccato, se si pensa anche all'incapacità di sfruttare al meglio le potenzialità di personaggi come il Re Rosso e il Re Blu, che avrebbero potuto tranquillamente ritagliarsi un posto di tutto rispetto nelle fila degli anti-eroi degli anime.

5.5