Mirai: la Recensione del nuovo film di Mamoru Hosoda

Mamoru Hosoda, già regista di capolavori dell'animazione giapponese come Wolf's Children e The Boy and The Beast, firma una nuova opera cinematografica.

Mirai: la Recensione del nuovo film di Mamoru Hosoda
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La famiglia è il punto di partenza per ogni individuo. Il primo tipo di società con cui l'essere umano è costretto a relazionarsi, con cui inevitabilmente va a scontrarsi per definire se stesso, la propria identità, e da cui deve necessariamente apprendere per formare quella che poi sarà la consapevolezza di sé. Consapevolezza che sta molto a cuore a Mamoru Hosoda, già regista di capolavori dell'animazione giapponese come Wolf's Children e The Boy and The Beast - entrambe pellicole presenti su Netflix. Entrambi i film sono essenzialmente incentrati sulla ricerca della propria identità per i giovani protagonisti e in Mirai, ultima prova per lo Studio Chizu, il regista giapponese continua in quella che sembra essere una sempre più profonda rappresentazione del mondo visto dagli occhi dei bambini. Mirai no Mirai, questo il titolo giapponese originale dell'opera, è nelle sale Giapponesi dal 20 Luglio 2018, mentre per l'uscita in Italia dovremo aspettare il 15 Ottobre di quest'anno, con la distribuzione di Nexo Digital.

Nel cuore del quotidiano

Il background della storia dell'ultimo film di Mamoru Hosoda è, come si può immaginare, quello dell'ambiente familiare. Kun-chan vive con i propri genitori nella prefettura di Yokohama, vicino Tokyo. E' un bambino ancora molto piccolo e, prevedibilmente, tutte le attenzioni dei familiari sono rivolte a lui. Passa le giornate a giocare con i treni, di cui è un profondo conoscitore e collezionista di modellini, o con il proprio cane domestico, Yukko, mentre alla nonna spetta il compito di rimettere a posto il quotidiano disordine generato dall'incontenibile vivacità del bambino. Il suo mondo viene stravolto irrimediabilmente quando la madre torna a casa con la piccola sorellina di Kun-chan: Mirai.
Da questo momento in poi tutte le certezze su cui aveva costruito il proprio mondo finiscono con il collassare su se stesse, portando consistenti cambiamenti nella vita del piccolo protagonista. È già dai primi fotogrammi che il lungometraggio risplende di quella forza realistica che lo porta ad essere un diamante grezzo di quotidianità, sottolineando con inquadrature sempre molto strette le emozioni dei personaggi.

Sembra quasi che Hosoda abbia attinto a piene mani dalla filmografia e dalle tecniche di ripresa di maestri del cinema giapponese come Yasujiro Ozu, utilizzando quello che in filmografia sarebbe una lente 50mm per risaltare i comportamenti umani, le espressioni facciali, i sentimenti propri dell'essere umano. Lo fa tenendo sempre presente un particolare importantissimo ai fini della comprensione di questo artefatto cinematografico: il mondo è visto dagli occhi pieni di stupore e meraviglia di un bambino. Ogni piccolo evento si ingigantisce, sorprende, diventa un'esperienza unica e indimenticabile nella testa di Kun-chan, prendendo forma grazie alla sua immaginazione. Fervida fantasia che diventa gioco e fuga, in quello che si rivela nient'altro che un meccanismo di difesa contro ciò che non si conosce. Un modo per spiegare l'inimmaginabile, un tentativo di auto convincersi della realtà di ciò che lo circonda e di ciò che non può essere accettato perché incompatibile con il proprio mondo.
Ci alterniamo quindi tra la quotidianità di una famiglia di Yokohama, i problemi di tutti i giorni relativi alla crescita di due figli, il lavoro, le usanze prettamente Giapponesi relative all'accogliere un nuovo membro nel nucleo familiare e la fuga di Kun-chan da tutto quello che lo circonda attraverso la propria fantasia.

Un viaggio nelle emozioni

Teatro e anello di collegamento tra i due mondi è il giardino di casa, luogo di svago per il bambino, ma, con una forte connotazione di matrice shintoista: quella parte dell'abitazione diviene la porta tra i due mondi, quello della realtà e quello spirituale. Kun-chan proietta in questo palcoscenico ciò che vede attorno a sé, ridimensionandolo alle regole della propria immaginazione. Il giardino, da piccolo spazio di gioco, si trasforma in un punto di convergenza di passato e futuro, di mondi lontanissimi che coesistono, dove il protagonista incontra la Mirai del futuro ( da cui viene preso anche il titolo del lungometraggio, originariamente "La Mirai del Futuro", con Mirai dal significato ambivalente di nome proprio di persona e di "Futuro", appunto ), il proprio nonno da giovane, la madre ancora bambina e uno strano individuo che non è altri se non il proprio cane in forma umana.

Attraverso questo meccanismo a metà tra l'illusione ed il gioco, Kun-chan riesce ad affrontare le proprie paure, ad intraprendere diverse avventure al limite dell'inverosimile e, infine, ad accettare la propria identità.
Se imparare dal proprio passato è una formula che spesso si rivela veritiera, Mamoru Hosoda gioca e stravolge questo concetto, arrivando ad affermare che per capire il presente bisogna imparare dal passato dei membri della propria famiglia che hanno, in qualche modo, già sperimentato tutte quelle esperienze che il giovane protagonista si trova ad affrontare, ma anche dal futuro, da ciò che deve arrivare, poiché le proprie azioni avranno ripercussioni sul futuro non solo proprio, ma di tutti coloro che ci circondano.

Mirai no Mirai Mirai riesce quindi ad unire le tematiche identitarie già sviluppate ed affrontate nelle prime produzioni dello Studio Chizu e lungometraggi più datati del regista come La ragazza che saltava nel tempo, trovando un punto sincretico tra umano ed animale, futuro e passato. La sensibilità con cui i personaggi vengono rappresentati risplende nei piccoli momenti di vita quotidiana, nei dialoghi così reali da risultare ingenui, mentre alla fantasia è lasciato il compito di rappresentare graficamente i temi più forti, destrutturando e dando una forma concreta ai sogni e alle paure di un piccolo uomo della prefettura di Yokohama. Il film si fa interprete di tematiche cross-generazionali in una storia senza tempo, un capolavoro che raramente può trovare forma nel media cinematografico e che grazie all'occhio e alla penna di Mamoru Hosoda, riesce ad arrivare diritto al cuore e alla memoria di ogni spettatore. Una piccola pietra che ci auguriamo diverrà miliare dell'animazione Giapponese che conferma le infinite possibilità in potenza di un linguaggio che più di tutti riesce nel dare forma alla fantasia.

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