Gli anni '80 sono stati un periodo florido per l'industria dell'animazione giapponese, che ha visto l'uscita di numerose serie televisive destinate a lasciare un segno nell'immaginario collettivo mondiale. Pensiamo a Ken Il Guerriero, Dragon Ball, Saint Seiya, Lamù, Maison Ikkoku e tanti altri successi indimenticabili. Fra questi, uno di quelli che ha ottenuto un ottimo riscontro nel nostro paese è senza dubbio Occhi di Gatto, anime tratto dall'omonimo manga di Tsukasa Hojo, autore di City Hunter (leggete il nostro speciale dedicato alla storia e al successo di City Hunter), incentrato sulle avventure delle tre bellissime sorelle Kisugi, ladre di professione.
In occasione dell'arrivo su Amazon Prime Video di tutti e 73 gli episodi della serie animata, disponibili da dicembre 2020 grazie a Yamato Video, venite a scoprire con la nostra recensione se l'opera di Hojo e dello studio d'animazione Tokyo Movie Shinsha è stata in grado di reggere la prova del tempo, o se si tratta di un prodotto invecchiato male poiché figlio della sua epoca.
Tre ragazze bellissime

Se si parla di ladri nella cultura pop giapponese il primo pensiero va inevitabilmente al mitico Lupin III, ai suoi indimenticabili compagni e all'ispettore Zenigata. Tuttavia, nei primi anni '80, un manga molto originale e innovativo per gli standard della rivista di pubblicazione - la ben nota Weekly Shonen Jump - avrebbe introdotto una nuova banda di ladri destinata a bissare il successo della creazione di Monkey Punch. Stiamo parlando ovviamente di Cat's Eye (titolo originale dell'opera), il primo manga dell'autore Tsukasa Hojo, serializzato dal 1981 al 1985 per un totale di 18 volumi. Un debutto coi fiocchi - si parla infatti di 18 milioni di copie vendute - che ha permesso alla serie e a Hojo stesso (ben prima di City Hunter) di conquistare un posto nella storia del fumetto giapponese. Cat's Eye, ambientato nel Giappone degli anni '80, racconta le vicende di tre affascinanti sorelle: Hitomi, la protagonista, Rui, la più grande, e Ai, la più piccola, che frequenta ancora il liceo.
Le tre sorelle Kisugi (questo il loro cognome) gestiscono il bar Cat's Eye, che tuttavia è solo una copertura per il loro reale "lavoro". Le ragazze sono infatti una celebre banda di ladre, che prende lo stesso nome del loro bar, dedita al furto di opere d'arte di inestimabile valore.
L'obiettivo dietro a questa attività non è il guadagno, bensì la ricerca del loro padre scomparso Michael Heinz, un artista degli anni '40, a cui appartengono tutti i lavori rubati. Attraverso il recupero e la collezione delle sue opere, infatti, le ragazze sperano di ottenere sufficienti indizi per poterlo ritrovare.

A dare la caccia a Cat's Eye c'è il maldestro ma determinato detective della polizia Toshio Utsumi, legato a doppio filo alla banda per un altro, sorprendente motivo. Toshio è infatti fidanzato proprio con una delle tre sorelle, la leader Hitomi, ed è del tutto all'oscuro sulla loro vera identità.
Il manga e la serie animata seguono le rocambolesche avventure quotidiane delle ladre, di Toshio e di una serie di personaggi secondari - come l'irascibile capo della polizia - con le prime destinate quasi sempre a portare a termine i colpi grazie alle loro abilità e alle (involontarie) informazioni fornite da Toshio a Hitomi.
Tre sorelle furbissime
Il manga di Cat's Eye ha avuto un grandissimo successo in patria, ma è stato l'adattamento animato a far conoscere l'opera prima di Tsukasa Hojo in tutto il mondo, Italia compresa. Andato in onda sulla TV giapponese dal 1983 al 1985 per un totale di 73 episodi suddivisi in due stagioni, rispettivamente 36 e 37, l'anime di Cat's Eye è stato realizzato dallo studio Tokyo Movie Shinsha (oggi conosciuto come TMS Entertainment).

La prima stagione vede Yoshio Takeuchi alla regia e Akio Sugino al character design, mentre nella seconda i rispettivi ruoli vengono presi da Kenji Kodama - regista di molte produzioni animate legate ai successivi lavori di Hojo - e Satoshi Hirayama.
La serie animata arriva per la prima volta in Italia nel 1985, licenziata e trasmessa sulle reti Fininvest (l'odierna Mediaset). Il titolo dell'anime diventa Occhi di Gatto e, come da tradizione per l'epoca, l'adattamento è caratterizzato dalla presenza di numerosi cambiamenti e censure, come avremo modo di approfondire più avanti. Nonostante ciò, l'anime riscuote un grandissimo successo nel nostro paese, dando vita a riviste, CD, album di figurine, edizioni home video e aprendo la strada alla pubblicazione del manga prima con Star Comics (nel 1999) e successivamente con Panini Comics (nel 2012).
L'adattamento animato possiede numerose differenze rispetto al manga. Innanzitutto la lunghezza: nell'anime di Occhi di Gatto vi sono infatti numerosi episodi riempitivi (i ben noti filler) che diluiscono il racconto originale imbastito dalla penna di Hojo. Oltre a ciò, alcune vicende e personaggi sono stati eliminati e le opere presentano un finale differente.

Sotto tutti gli altri aspetti, però, la serie animata migliora e impreziosisce il contenuto del manga, un prodotto di qualità notevole se si pensa che è un'opera prima ma, proprio per questo, afflitto da alcuni vizi legati alla poca esperienza del suo autore. Vediamo di capire perché.
Le avventure del trio compatto
Occhi di Gatto è un anime quasi del tutto privo di una trama orizzontale. Ogni puntata vede il trio di sorelle, Toshio e gli altri personaggi alle prese con una nuova avventura il cui racconto si esaurisce al termine dell'episodio stesso, o in rari casi in quello successivo, e dove la linea narrativa legata allo scomparso padre delle protagoniste serve solo come pretesto per giustificare i loro colpi e le loro motivazioni.
Inoltre, a dispetto di una grande varietà di situazioni (alcune davvero strambe), la struttura degli episodi rimane sostanzialmente la stessa per l'intera durata della serie, con le tre sorelle destinate a portare sempre a casa il malloppo - senza troppe difficoltà, tranne quando si trovano ad affrontare avversari più pericolosi della polizia - lasciando a mani vuote Toshio e i suoi colleghi.

Nonostante questi difetti, anche a quasi quarant'anni dal suo esordio in patria Occhi di Gatto si conferma una visione fresca, piacevole, divertente e rilassante, che dà il suo meglio gustandosi pochi episodi per volta (idealmente 1-2 al giorno), mentre è sconsigliabile il binge-watching alla luce di quanto detto in precedenza.
L'anime alterna con abilità le scene d'azione legate ai rocamboleschi furti delle protagoniste a quelle più tranquille, di stampo slice of life, che approfondiscono le relazioni tra i personaggi. Un cast talmente ben caratterizzato da sorreggere l'intera produzione, dove spicca ovviamente il fascino delle tre sorelle Kisugi - vi avvisiamo, farete molta fatica a trovare la vostra preferita - ma dove anche i personaggi più stereotipati, come il già citato capo di Toshio, evidente parodia dell'uomo di potere, si lasciano apprezzare.

La presenza di dinamiche inedite per il genere, almeno all'epoca, come la relazione tra Toshio e Hitomi rende ancora più intrigante, avvincente e imprevedibile il racconto, superando così i limiti della sceneggiatura sopra menzionati.
Il rapporto tra i due fidanzati viene ulteriormente approfondito e sviluppato nella seconda stagione, più matura e meglio scritta della prima e per questo motivo nettamente superiore, tanto che in più punti si fa quasi fatica a credere che la serie nasce principalmente come intrattenimento per un pubblico di ragazzi e adolescenti. Target comunque evidente per la presenza di numerose soluzioni narrative spesso sbrigative, se non ingenue, nella risoluzione dei furti, alle quali tuttavia non bisogna dare troppo peso.

Trattamento che purtroppo non si può riservare alla conclusione della serie. Cercando di limitare al minimo gli spoiler, l'anime di Occhi di Gatto termina con un "non-finale" che mantiene in sospeso i (pochi) punti aperti della storia, una soluzione fedele fino in fondo alla struttura episodica del prodotto ma che lascia inevitabilmente l'amaro in bocca.
Come già detto, si tratta di una situazione molto diversa da quella presente nel manga, che si conclude con un finale abbastanza controverso e poco apprezzato dalla maggior parte dei fan. È difficile fare delle ipotesi per spiegare come mai gli sceneggiatori della serie abbiano deciso di procedere in questo modo, ma ormai non si può che prenderne atto.
La vecchia scuola degli anime
Dal punto di vista tecnico, Occhi di Gatto presenta disegni e animazioni in linea con lo standard televisivo del periodo, certamente di buona fattura ma non eccezionali. Grazie all'ottima direzione artistica, ai colori e a una sapiente regia, l'anime rimane comunque molto piacevole da guardare, e rivisto ai giorni nostri acquisisce un indubbio fascino vintage. Testimonianza di un periodo in cui le tecniche digitali non avevano ancora preso piede nell'animazione giapponese.

Il character design riesce, in entrambe le stagioni, a trasporre su schermo lo stile delle tavole di Tsukasa Hojo e soprattutto a rendere meravigliosamente le tre sorelle Kisugi, affascinanti senza troppe concessioni al fanservice e ancora oggi indimenticabili grazie al look con le tutine attillate.
La colonna sonora della serie, molto ricercata e in perfetto equilibrio tra melodie leggere e brani incalzanti, si caratterizza per ritmi e sonorità spiccatamente anni '80, evidenti soprattutto nella prima sigla giapponese Cat's Eye della cantante Anri.

Per noi italiani, tuttavia, è impossibile parlare dell'anime Occhi di Gatto senza menzionare l'omonima, famosissima sigla di Cristina D'Avena. Scritto da Alessandra Valeri Manera e composto da Ninni Carucci, il pezzo, caratterizzato dal suo irresistibile ritornello, è diventato in breve tempo un grandissimo successo e uno dei cavalli di battaglia dell'artista bolognese per i suoi concerti e le sue esibizioni.
Sigla che ritroviamo in entrambe le stagioni disponibili su Prime Video, dove è presente il solo doppiaggio in italiano con l'adattamento storico curato per le reti Fininvest. Un adattamento che purtroppo, come andava di moda in quel periodo, è caratterizzato da alcune censure e soprattutto dalla scelta di occidentalizzare tutti i nomi dei personaggi.

Hitomi diventa così Sheila, Rui diventa Kelly, Ai diventa Tati, Toshio Utsumi diventa Matthew Hisman, il cognome delle tre sorelle passa da Kisugi a Tashikel. Molto buono invece il doppiaggio, che vede Claudia Razzi, Barbara Castracane e Susanna Fassetta nei panni delle protagoniste - rispettivamente Hitomi, Rui e Ai - e che ha come unico e trascurabile difetto quello di riciclare le medesime voci per i personaggi minori.