Paranoia Agent: recensione della serie anime di Satoshi Kon

Riscopriamo insieme la serie capolavoro diretta da Satoshi Kon, ora disponibile per lo streaming su Amazon Prime video

Paranoia Agent: recensione della serie anime di Satoshi Kon
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Il 24 agosto 2010 fu certamente un giorno triste non solo per tutti gli tutti appassionati di animazione o di cinema in senso lato, ma per ogni amante dell'arte e per chiunque sapesse apprezzare una storia ben raccontata, qualunque sia il medium attraverso il quale sia veicolata. Quell'agosto di dieci anni fa Satoshi Kon si spense, suscitando un profondo rammarico per tutte le opere con le quali il geniale e poliedrico artista avrebbe potuto continuare a sorprendere e affascinare pubblico e critica, come era sempre stato in grado di fare sin dal debutto alla regia con il celebre lungometraggio Perfect Blue .

Malgrado una carriera tristemente troppo breve, non possiamo dunque non inserire il nome di Satoshi Kon nel novero dei grandi maestri dell'animazione giapponese, grazie ad opere complesse e sfaccettate quali il già citato Perfect blue, millenium Actress, Tokyo Godfather e Paprika, tutti film in grado di palesare una capacità non comune di esplorare l'animo umano ricorrendo a soluzioni visive e registiche innovative e particolarmente affascinanti.

In questa sede non parleremo dell'attività di Kon come autore di manga, tra i quali figura l'ottimo La Stirpe della Sirena di cui vi abbiamo già presentato la nostra recensione, ma di quella che vide il maestro alle prese con una serie di animazione alcuni anni prima dell'uscita dell'ultimo film. L'anime in questione vide la luce nel 2004, con il titolo di Paranoia Agent (in originale Mousou Dairinin) e, in occasione del suo recente debutto su Amazon Prime Video, riteniamo doveroso fornirvi il nostro giudizio su quella che vi anticipiamo essere non soltanto l'ennesima opera perfettamente riuscita, ma anche una vera e propria perla dell'animazione giapponese che merita di essere riscoperta.

Il mistero di Shonen Bat

Due sequenze apparentemente slegate e piuttosto criptiche occupano i primissimi minuti dell'anime di Satoshi Kon. La prima costituita da una rapida carrellata di immagini di individui preda del traffico cittadino, ciascuno intento a respingere accuse, formulare giustificazioni o accampare scuse per sottrarsi ad impegni di varia natura, il tutto sullo sfondo del suono incessante prodotto dai tasti dei cellulari e delle voci dei protagonisti della scena che si sovrappongono fra loro producendo un effetto disturbante e asfittico.

Segue alla scena appena descritta un'immagine diversa, che vede protagonista un vecchio nell'atto di tracciare una sterminata e apparentemente insensata sequenza di calcoli e parole sull'asfalto di un parcheggio. Un simile inizio, come sarà possibile evincere dalla visione dei successivi episodi, non mira unicamente a suscitare la curiosità dello spettatore, ma fornisce una serie di indizi sui futuri sviluppi della trama. Rappresenta anche la prima manifestazione della particolare atmosfera sopra le righe tipica delle opere di Satoshi Kon.

Esaurito questo particolare preambolo, si procede all'introduzione del personaggio di Tsukiko Sagi , una designer responsabile della creazione Maromi, un simpatico cagnolino rosa dallo sguardo languido. La giovane, nonostante il successo riscosso dalla sua prima creazione, è costretta a fare i conti con un blocco creativo che le impedisce di ultimare il nuovo progetto assegnatole e la espone di conseguenza alle pressione del capo e a i malumori dei colleghi.

La frustrazione di Tsukiko cresce incessantemente, fino al momento in cui un'ulteriore sciagura si abbatte sulla povera designer, che subisce la violenta e apparentemente insensata aggressione di uno sconosciuto che le procura una ferita alla testa, colpendola con un arma contundente.

Subito dopo, Maniwa Mitsuhiro e il viceispettore Ikari Keichi decidono di interrogare Tsukiko per far luce sull'identità dell'aggressore, che la vittima descrive come un ragazzino delle elementari dotato di una paio di pattini e di una mazza da baseball color oro. Il viceispettore si dimostra alquanto incredulo su una deposizione cosi bizzarra, ma un evento inaspettato che coinvolge il misterioso ragazzino, conosciuto con il nome di Shonen Bat, annulla i sospetti di Keichi e rende necessaria la prosecuzione delle indagini.

Negli abissi della mente

La struttura narrativa, nella quale si inserisce già l'incipit che vi abbiamo descritto, è costituita da puntate che introducono gradualmente un discreto numero di personaggi non sempre legati tra loro, ma accomunati da un nesso con i crimini commessi da Shonen Bat. A fare da collante tra ciascun episodio sono soprattutto le indagini effettuate da Maniwa e Ikari, che descrivono un impervio percorso alla ricerca di una verità sfuggente e cangiante, che pare fare capolino sulla scena per poi dimostrarsi subito dopo incompleta o fallace, in un continuo gioco delle apparenze perfettamente calibrato che affascina e disorienta, spingendo a chiedersi se sia davvero possibile giungere ad una definitiva conclusione.

I protagonisti delle 13 puntate di cui Paranoia Agent si compone, costituiscono un'umanità variegata i cui ritratti vengono dipinti da Satoshi Kon con una cura di cui soltanto un attento indagatore dell'animo umano, quale fu il compianto regista, è in grado di avvelarsi per dare vita a personaggi sfaccettati e complessi, quanto mai lontani da maschere bidimensionali. Benché Kon ricerchi spesso l'esagerazione ed il paradosso, protagonisti e comprimari risultano realistici e credibili, anche grazie all'attenta opera di introspezione mediante la quale vengono presentati allo spettatore. Al fine di rendere tangibili i tormenti e le contraddizioni dei personaggi partoriti dalla fantasia di Kon, il mondo interiore di ciascuno di loro è reso concreto mediante un susseguirsi di immagini e stratagemmi narrativi che intersecano la psiche dei personaggi al mondo ove questi agiscono.

Il tutto avviene mediante stilemi e soluzioni narrative già sperimentate da Kon in alcuni delle opere precedenti, ma anche attraverso variazioni sul tema e tecniche inedite nelle quali i fan non faticheranno comunque a riconoscere l'inconfondibile impronta stilistica che ha caratterizzato la breve ma prolifica carriera del regista. Immutata appare inoltre la perizia dedicata ad ogni singolo fotogramma dell'opera, un puzzle costellato di simmetrie, parallelismi, indizi, anticipazioni, citazioni, simboli e metafore che avvincono lo spettatore.

Quello che prende vita su schermo non è soltanto un gioco narrativo perfettamente calibrato, ma un'opera che mira a veicolare una serie di messaggi ben definiti, aldilà dei numerosi piani di lettura che si intersecano nella strada che conduce ad un finale catartico, che conclude ma semina appositamente alcuni dubbi nello spettatore, allacciandosi ad un concetto di circolarità più che ad una lineare risoluzione dell'enigma di Shonen Bat.

Fuga dalla realtà

Dal punto di vista dei temi trattati, Paranoia Agent si configura come una summa delle tematiche predilette da Kon e al contempo come una sorta di recipiente nel quale far confluire una serie di spunti non esplorati dalla sua produzione cinematografica.

Le varie declinazioni del concetto di doppio ed il leitmotiv dell'accostamento e della compenetrazione tra la realtà e una sua dimensione speculare, sia essa rappresentata dal sogno, dall'immaginazione, dal passato o dall'arte, pervadono anche l'anime del 2004, che nonostante la presenza di motivi simili a quelli delle opere precedenti ( e successive) di Kon, mantiene intatta la propria originalità, declinando siffatte suggestioni in una sorta di atto d'accusa diretto in egual misura al singolo e strutture sociali generate dalla collettività. Più nel dettaglio, la critica sociale predisposta da Kon può dirsi al contempo universale e specificatamente rivolta alla società giapponese e alle sue ben note problematiche, quali l'elevato tasso di sucidi, la pressione ad eccellere che coinvolge la popolazione sin dalla più tenera età o alcune esasperazioni della cultura otaku.

Nella lista degli argomenti magistralmente trattati da Kon trova spazio anche una critica corrosiva nei confronti dei massacranti ritmi di lavoro che caratterizzano l'industria dell'animazione giapponese, contestualizzata in un discorso metanarrativo ben più ampio di quello relativo al solo episodio 10. Kon non punta infatti il dito soltanto contro il modo in cui l'industria opera, ma anche contro ciò che talvolta produce e della cultura più ampia che genera e asseconda. In tale ottica, gli anime e tutto il merchandising che ad essi fa riferimento vengono presentati come un facile rimedio per fuggire dalla realtà, trovando rifugio in una pace illusoria che dispensi dal confronto con i propri problemi e le proprie colpe, e favorendo una sorta di regressione ad uno stato infantile dell'individuo.

Occorre tuttavia sottolineare che, come è possibile evincere da alcune scelte narrative, le accuse mosse da Kon al mondo dell'animazione non sono cosi categoriche come si potrebbe erroneamente evincere da quanto detto sopra, e lasciano forse uno spiraglio ad una parziale accettazione del ruolo di parte dell'animazione e di altri mezzi di evasione dalla realtà.

Nonostante ciò, la visione dell'anime rende palese come il messaggio principale che il regista abbia voluto trasmettere sia un accorato invito ad evitare di fuggire dalle proprie responsabilità e colpe e più in generale dalla realtà, per quanto minacciosa o incomprensibile possa apparirci.
Tale conclusione giunge in maniera quasi paradossale alla fine di un percorso che disgrega gradualmente la consistenza del mondo reale, fino a rendere superflua una distinzione o addirittura una gerarchia tra questo e ciò che vi è estraneo.

Un simile processo si riflette anche nell'aspetto grafico e artistico dell'opera, che in un primo momento appare votato al realismo, escludendo la tendenza a deformare la rappresentazione di alcuni volti, per aprirsi gradualmente a soluzioni divergenti rispetto allo stile principale. Quest'ultimo potrebbe forse apparire non troppo accattivante e leggermente diverso rispetto ai canoni propri dell'animazione giapponese, ma risulterà comunque più che familiare a tutti coloro che abbiano visionato i film di Kon.

Un ulteriore aspetto che si assesta sul medesimo livello qualitativo di un'anime che possiamo definire complessivamente eccellente è costituito dalle animazioni realizzate dallo studio Madhouse e dalle musiche di Susumu Hirasawa, perfette nel rendere le atmosfere stranianti e tendenti all'assurdo, tipiche dell'anime.

Paranoia Agent Paranoia agent è, come ogni altra opera che porti la firma di Satoshi Kon, un capolavoro irrinunciabile per ogni appassionato di animazione e allo stesso tempo un’opera che nonostante l’apparente cripticità, consigliamo senza troppe remore anche ai non avvezzi al medium. Kon si dimostra particolarmente a suo agio nel piegare il formato seriale alle proprie esigenze, predisponendo uno sfaccettato e profondo viaggio nella psiche umana, appassionante nell’intreccio, affasciante per i personaggi che rappresenta, originale nella messa in scena, formalmente ineccepibile grazie una regia ispirata e ad una cura maniacale che ne pervade ogni più piccolo aspetto, e soprattutto in grado di lasciare un segno profondo nello spettatore per l’acutezza della critica sociale e la consistenza dei messaggi che si prefigge di veicolare.

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