The Poetry of Ran Recensione: un manga fantasy ispirato a Berserk

Analizziamo il "nuovo Berserk" di Yusuke Osawa, arrivato in Italia grazie a Star Comics con due volumi racchiusi in uno splendido cofanetto.

The Poetry of Ran Recensione: un manga fantasy ispirato a Berserk
INFORMAZIONI SCHEDA
Articolo a cura di

Star Comics porta in Italia, con un'edizione da stropicciarsi gli occhi, il fantasy The Poetry of Ran, shonen manga scritto e disegnato da Yusuke Osawa, già autore di Six Bullets. L'opera, composta da due volumi, ha ricevuto una lussuosa edizione, con un elegante cofanetto a cassetto che la casa editrice italiana ha curato nei minimi dettagli. Tra echi della mitologia norrena, elementi dei fantasy più classici e un'evidente eredità "berserkiana" (il protagonista è chiaramente ispirato al Gatsu di Kentaro Miura, e a tal proposito vi riproponiamo il nostro speciale sull'eredità di Berserk), The Poetry of Ran va alla ricerca della sua identità, inciampando in qualche stereotipo del genere.

Il viaggio del guerriero misterioso Ran e della trovatrice in cerca d'ispirazione Tolue ci trasporta in un mondo corrotto da un'energia malefica, l'impurità, e ci conduce tra villaggi minacciati da maligne creature chimeriche, i karma. Solo i figli dell'impurità come Ran riescono ad esorcizzare mostri simili, assorbendo l'impurità in cambio di tempo vitale. Nel cammino i due incontreranno l'elfa Mina, esperta cacciatrice, e la belligerante Jil, combattente tra le fila dell'Ordine del lupo nero in cerca di vendetta per il padre ucciso. Ran e la compagnia errante affronteranno allora karma sempre più potenti, per giungere alla resa dei conti con il perfido Sagarith, vero macchinatore dietro le apparizioni dei demoni e fantasma del passato per il figlio dell'impurità.

Il "nuovo Berserk" o la sua brutta copia?

The Poetry of Ran non è, di certo, un prodotto che spicca per originalità. Osawa trae ispirazione da troppe fonti senza distaccarsi dalla superficialità di una copia senza arte, senza includere la sua visione personale o qualcosa di genuinamente nuovo. The Poetry of Ran guarda a Berserk e dà vita alla sua personale versione edulcorata e involuta, con un Gatsu (Ran) belloccio e senza carisma, un mondo impuro troppo poco immorale, compagnie di mercenari generosi; si rifà ai miti nordici in maniera fin troppo casuale, con elementi forzatamente contestualizzati; e riprende la mitologia interna del fantasy da immaginario tolkeniano tra draghi, elfi e nani forgiatori. Guarda a tutte queste cose il manga di Osawa, ma con gli occhi socchiusi, non riuscendo ad estrapolarne il meglio, a rubarne l'anima che è ciò che The Poetry of Ran sembra mancare, con la pretesa di amalgamare elementi discordanti spacciando il tutto per originalità.

Osawa non riesce, poi, a dare forza alla materia di cui dispone, fondando il mondo di The Poetry of Ran sulla rinomata impurità ma non fornendo a questa energia nociva un'effettiva gravità che possa renderne tangibile la pericolosità. L'impurità, idea portante della storia, rimane, quindi, una fantomatica aura malevola fine a se stessa. E collidono, poi, quell'aria da fantasy esoterico e l'atmosfera da fantasy classico, facendo cozzare due sfumature opposte senza mai scegliere un tono omogeneo.

Eppure, nonostante le premesse, lo shonen di Yusuke Osawa trattiene e intrattiene il lettore, stuzzicando fino alla fine la sua curiosità e catturandolo insospettabilmente già a partire dal cliffhanger di fine primo volume. Le rivelazioni del secondo volume sui passati intrecciati di Ran e Sagarith, sui moventi della stessa natura vendicative dei due, infarciscono la seconda parte di una buona intensità e solidità. L'autore è, inoltre, bravo a costruire una parabola ascendente che finisce per mantenere il lettore con le antenne drizzate per tutta la durata dell'atteso faccia a faccia tra eroe e antagonista.

La poesia di Ran, senza Ran

È proprio l'antagonista uno dei personaggi più intriganti di The Poetry of Ran, che tutto sembra raccontare meno la storia di Ran. Si ha l'impressione che il burbero figlio dell'impurità non sia altro che un passeggero, accidentalmente implicato nelle battaglie altrui, quasi strumento più che eroe attivo. Del tutto passivo è, poi, il personaggio di Tolue, trovatrice fallita all'inseguimento di Ran e di un'ispirazione artistica che possa consacrare la sua dormiente vocazione da menestrello. La sua funzione di spettatrice, di testimone, pronta ad immortalare le gesta di Ran, non può giustificare l'assoluta inutilità narrativa.

Tolue non fa che seguire Ran nelle sue fatiche senza mai contribuire davvero alle sue imprese. Sono, paradossalmente, i due protagonisti, dunque, i personaggi meno riusciti, stereotipati fino al midollo sia nel racconto del loro passato, sia nella formazione da tipica coppia eroe-trickster, già vista in innumerevoli fantasy degli ultimi tempi (Berserk, The Witcher). Anche i loro passati, le loro personali biografie sembrano uscire direttamente da altre opere, con la vecchia vita da ladruncolo di Ran che è ormai un cliché del genere. Fanno meglio Jil dell'Ordine del lupo nero e l'elfa Mina, come Ran figlia dell'impurità, che, nonostante non siano personaggi complessi, risultano gli unici a subire un'evoluzione, ad avere un arco di trasformazione.

Un fantasy ben disegnato

Menzione d'onore per i disegni del mangaka, vero valore aggiunto per l'opera edita da Star Comics. Tralasciando l'insufficiente forza estetica del protagonista, spersonalizzato dal design scialbo e anonimo e meno epico proprio a causa della piattezza visiva che lo contraddistingue, Osawa fa davvero un buon lavoro nella resa dei combattimenti e soprattutto nella rappresentazione dei karma. La spettacolarità degli scontri viene assicurata dalla straordinaria abilità di riprodurre le scene d'azione in tutta la loro mobilità e dinamicità. Il combattimento tra Ran e il tentacolare Taskan e il suo scontro finale con Sagarith dimostrano una perizia tecnica elevata. Ma è il design dei mostri il fiore all'occhiello del manga, con creature tra il mitologico e il lovecraftiano, con carcasse di serpenti enormi (Jormungandr è il karma primordiale) e un mostro finale che ricorda in tutto e per tutto lo Cthulhu concepito da Howard Philips Lovecraft. Il tratto di Osawa restituisce l'abnorme e il viscido dei demoni e ne concretizza l'imponenza aberrante, riproducendo creature dall'affascinante bruttura.

Ottimo anche il design di armi ed armature e l'attenzione al dettaglio riposta nella realizzazione degli sfondi e delle architetture solenni. Lo spadone del protagonista è autentico e riconoscibile e gli edifici medievali propongono un gotico adatto alla tenebrosità della storia. È, insomma, una storia ben disegnata quella di The Poetry of Ran, una storia di evidenti difetti strutturali e di un organico superficiale, ma dall'impatto visivo di rilievo e dalla cura dei particolari non indifferente.

The Poetry of Ran The Poetry of Ran è un fantasy di difficile collocazione tra i manga dalla troppe o dalle troppo poche pretese. Un fantasy che tutto ci mette ma non la fantasia, che tutto fa suo ma non l'anima da opera profonda. Un fantasy che ci mette tutto, sì, ma che insomma non ce la mette tutta, che quasi mai sembra impegnarsi nel costruirsi una propria identità, che rifugge in più facili prestiti narrativi, prendendo qua e là tra miti ed esponenti di spicco. Resta, comunque, una storia godibile supportata da disegni eccellenti, capace di intrattenere con poche pretese e la voglia di sfogliare un manga visivamente di primo livello. Menzion d'onore allo splendido cofanetto da collezione con cui Star Comics ci propone la raccolta di due volumi.

6.8