L'alba sorge davanti al viso sognate di Emma e di un gruppetto di bambini, illuminando il cammino che da qui in avanti dovranno percorrere i pargoli della Grace Field House. È la scena finale di The Promised Neverland, adattamento animato dell'omonimo manga di Kaiu Shirai e Posuka Demizu, edito in Italia da J-POP. È la fine di un viaggio che, in realtà, non rappresenta che l'inizio di un'epopea ancora più grande. Ed è lo specchio riflesso di questa prima stagione, composta da 12 episodi e realizzata dallo staff di CloverWorks. La serie è stata trasmessa in simulcast nel nostro Paese grazie al lavoro congiunto di VVVVID.it e Dynit ed è giunta, il 28 marzo scorso, all'episodio conclusivo della prima season. In attesa di conoscere maggiori dettagli su cosa ci aspetta nella Stagione 2 di The Promised Neverland (già annunciata per il 2020), non ci resta che esaminare quello che - al pari del manga originale - si è presentato come uno dei prodotti di animazione più delicati e originali degli ultimi anni.
I bimbi sperduti
Quando Emma e Norman hanno tentato di riportare a Conny il suo peluche preferito, la notte in cui la bimba ha lasciato l'orfanotrofio Grace Field House per unirsi alla famiglia che l'ha appena adottata, fanno una scoperta terribile.
Sono bestiame, nient'altro che carne da macello destinata alle bocche malefiche di mostruosità mai viste prima. Emma è risoluta, determinata; Norman è intelligente, riflessivo; Ray, il terzo componente del gruppo, è estremamente furbo e calcolatore. Tutti e tre prendono una decisione: fuggiranno dalle mura di quell'inferno mascherato da luogo amorevole, impediranno alla criptica "mamma" Isabella - la responsabile dell'istituto - di mandare a morte i bambini di età compresa tra i 6 e i 12. Tutto d'un tratto, ogni singolo momento vissuto nei loro quasi 12 anni di vita assume un senso: i test fisici e mentali, le cure amorevoli e confortanti della loro adorata mamma, l'assenza di notizie dei fratellini che, in passato, avevano trovato una famiglia con la promessa di non dimenticarsi di loro. Eppure sembra non esserci via di scampo: braccati, tra le mura dell'orfanotrofio, dalla presenza asfissiante e ansiogena di adulti famelici, minacciati dall'incombere di creature feroci al di fuori delle mura della loro casa.
Ma, nonostante tutto, all'orizzonte si staglia la prospettiva di una Terra Promessa che li condurrà verso la libertà e la salvezza. Emma non può rinunciare all'idea di lottare: se non per se stessa, deve farlo almeno per i suoi fratellini. Per i suoi cari, per la sua famiglia.

Deve essere, a sua volta, una mamma per quegli orfanelli destinati a un finale tragico, condurli attraverso una corsa a perdifiato verso le insidie del mondo esterno. È una consapevolezza, questa, che assumiamo quasi sin da subito, nei primissimi episodi di The Promised Neverland. In quelli successivi, l'anime imbastisce un racconto il cui ritmo è scandito da insidie, dubbi, colpi di scena e tradimenti.
La grande fuga
In sceneggiatura, molto spesso, accade che l'originalità di un racconto passi in secondo piano rispetto alla qualità della scrittura. In The Promised Neverland ciò che conta davvero non è il finale, ma come lentamente ci si arriva. È una filosofia, questa, che permea per intero l'opera originale e che, ovviamente, è stata trasposta dallo staff di CloverWorks con grande intelligenza nell'adattamento televisivo.
Poco importa, ad esempio, capire quale sarà il destino di un personaggio di fronte alla profondità con cui gli autori hanno lavorato sulla psiche dei protagonisti. Nelle figure dei tre piccoli si riflettono archetipi differenti costruiti sulla mitologia classica del tipico eroe da shonen: Emma incarna il coraggio innocente di chi vuol farsi carico del dolore altrui senza pensare a se stess, Norman rappresenta la consapevolezza del sacrificio, Ray l'anti-eroe nell'ombra che fa da contraltare alla luce emanata dalla protagonista.
Da questo trittico si staglia, in secondo piano, un mosaico di personaggi ora carismatici - come Don e Gilda, che acquistano un peso sempre maggiore col progredire delle puntate - ora incredibilmente teneri e innocenti. Ma è dall'altro lato della barricata che troneggiano, forse, gli attori più interessanti: la schizofrenia di Krone è figlia di un'ambizione compulsiva e di una psiche che dà vita ad alcuni dei momenti artisticamente più intensi e inquietanti di tutto l'anime, ma è nel personaggio di Isabella che si gioca la principale altalena di emozioni e controversie.

Dapprima insondabile e austera predatrice, si trasforma col passare del tempo in una creatura ambigua ma profonda, viaggiando costantemente sul filo di un villain che da apatico diventa via via più umano. Un'evoluzione non esattamente lineare ed organica, quanto piuttosto la capacità della sceneggiatura di spostare lentamente il focus dell'introspezione dal tormento dei bambini alla complicata psicologia della mamma.
Sono tutti elementi, questi, che si amalgamano in un ritmo discontinuo, certo, ma ugualmente intenso e forse più univoco rispetto alle pagine del manga.
L'anime di The Promised Neverland traspone per intero il primo arco narrativo dell'opera cartacea, dedicato all'operazione di fuga dalla Grace Field House. L'opera di adattamento ci è risultata buona e fedele alla controparte originale, ma la sensazione che si prova guardando la serie televisiva è che le lunghe sequenze dedicate a dialoghi, ragionamenti e flussi di coscienza siano state snellite per rendere la fruizione dei concetti molto più fluida.
Per contro l'anime costruisce una buona messa in scena, specie nei momenti più drammatici o memorabili della produzione, anche se l'elemento artistico perde forse qualche lunghezza rispetto al manga di Shirai e Demizu. La regia di Demizu, scandita da una vignettatura veloce e frenetica, restituisce un senso di ansia profonda e crudele agitazione che la trasposizione in anime replica solo a tratti. The Promised Neverland è un'opera in cui una miriade di sotto-generi (dal fantasy al thriller, passando anche per qualche leggera tonalità di horror) si amalgamano nel calderone di uno shonen atipico e coraggioso. A fronte di un character design peculiare ed estremamente vicino al tratto della sensei nel manga, non sempre le inquadrature dell'anime restituiscono le sensazioni dei disegni originali. Va detto, però, che sul fronte artistico lo staff di CloverWorks ha confezionato un prodotto solido, esente da qualunque sbavatura e capace addirittura di sperimentare in qualche timido frangente, amalgamando la regia e gli spostamenti di camera con un utilizzo poco invasivo del digitale.