Tokyo Revengers Recensione: amore, cazzotti e viaggi nel tempo

Lo studio d'animazione Liden FIlms confeziona un anime ricco di spunti intriganti, trasponendo l'acclamato manga di Ken Wakui.

Tokyo Revengers Recensione: amore, cazzotti e viaggi nel tempo
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Su Crunchyroll è adesso disponibile la prima stagione completa di Tokyo Revengers, 24 episodi all'insegna di viaggi nel tempo, risse e cazzotti. La serie d'animazione, prodotta dallo studio giapponese Liden Films, traspone le vicende raccontate nel manga, di grande successo in patria, del mangaka Ken Wakui, vincitore nella categoria "miglior shonen" alla 44esima edizione dei Kodansha Manga Awards.

La storia ruota attorno al giovane Takemichi Hanagaki, seguendolo nelle vicende che lo vedono protagonista nel complicato tentativo di salvare la vita alla sua amata compagna delle medie Hinata Tachibana, in una corsa contro e indietro nel tempo che lo vedrà rivivere i suoi tumultuosi 14 anni, all'epoca dell'espansione della Tokyo Manji Gang, banda di teppisti che finirà per essere la responsabile degli attentati terroristici che vedranno fatalmente coinvolta proprio il suo primo amore ben 12 anni dopo, nel presente (per approfondire, vi ricordiamo che la stagione 1 di Tokyo Revengers si è appena conclusa).

Crybaby Hero

Tra salti temporali dal sapore nostalgico e azzardati salti mortali, l'anime mantiene alta la tensione facendo percepire la pericolosità delle scelte e delle circostanza in cui il piagnucolone Takemichi finisce per essere implicato. Continuamente impicciato in affari delicati e situazioni spinose, il quattordicenne dai capelli ossigenati trascina con sé lo spettatore in una baraonda emotiva che lo vede sempre vicino a mandare all'aria quanto pianificato per il raggiungimento dell'obbiettivo, spesso costretto a rimescolare le carte in tavola e sperare in una mano migliore, nel timore di poter modificare irreparabilmente il passato e il presente.

La reiterata incapacità del protagonista di agire con decisione per cambiare le sorti del suo tempo potrebbe far storcere il naso agli spettatori insospettiti dall'"inaccettabile" codardia e dal fare titubante di un personaggio principale. Ma il "crybaby hero" di Tokyo Revengers è volutamente maldestro ed imbranato proprio per rendere fondamentale la sua evoluzione per la buona riuscita della missione. Takemichi è personaggio inetto in un mondo che non ammette tentennamenti, in guai che non lasciano spazio ad esitazioni, e proprio il suo carattere sarà causa di inconvenienti e complicazioni. Takemichi è, contrariamente a quanto si possa pensare, personaggio attivo proprio nella sua inabilità, per il suo essere attivo a metà, di azioni iniziate ma non portate a termine, di scelte con poca risolutezza, di atti audaci nella sua testa ma crudelmente inefficaci nella loro esecuzione.

È la personalità "debole" del protagonista a fungere da motore narrativo proprio grazie alla contrapposizione con il mondo violento dei teppisti, con la ferocia di chi, invece, agisce e lo fa in eccesso, con i predatori che non conoscono passività e straripano attività aggressiva.
La spontaneità violenta di personaggi come Mikey e Draken, il capo della Toman (diminutivo della Tokyo Manji Gang) e la sua inseparabile spalla, la brutalità dei membri delle altre bande (la Moebius e la Valhalla) evidenziano ancor di più il gap comportamentale tra il docile Tkemichi e i veementi teppistelli, il ché contribuisce a ad amplificare proprio quel senso di pericolosità fondamentale per un opera basata sulla tensione.

La Tokyo Manji Gang

Ammesso che la già vista e rivista dinamica del "viaggio nel tempo risolutivo", non così elaborata rispetto ad anime come Steins Gate e Erased, non assicura di certo originalità all'opera di Ken Wakui, è indubbio che la vera novità è costituita dal quasi inedito contesto teppistico, mai così profondamente trattato in anime e manga precedenti e, soprattutto, mai affrontato in un'opera di genere shonen.

Il tema delle lotte tra gang fa passare in secondo piano il tema principale dell'opera che, di fatto, è caratterizzato da logiche di alterazione del continuum spazio-temporale molto poco elaborate e semplicistiche, e si concede persino qualche "distrazione" ed incoerenza.
Gli scontri, le alleanze, le scazzottate e i tradimenti all'interno delle bande sono il vero nucleo principale della serie, che si concentra sui membri della Toman, sulle gerarchie interne della gang, sulla sua genesi e sulla sua evoluzione, sull'ascesa al potere di questi ragazzini terribili.
È facile scorgere nell'idealizzazione delle dinamiche della gang, dei legami indissolubili che si formano al suo interno, nella rappresentazione quasi mitizzata della Tokyo Manji Gang, una certa visione nostalgica dell'autore Ken Wakui (per sua stessa ammissione membro di una gang molto famosa in passato), ma è interessante considerare il netto contrasto tra la "genuinità" dei teppisti ragazzini e la losca deriva che l'idealizzata Toman prende nel presente, trasformandosi in potente organizzazione criminale. Azioni teppistiche che sfociano in atti terroristici, violenza per un ideale puerile scorretto (ma reale) che si trasforma in crudeltà insensata, malvagità adulta. Una velata denuncia, dunque, non solo una discutibile esaltazione, ma una consapevolezza della dannosità delle gang con il passare del tempo sempre più nocive.

Un comparto tecnico non all'altezza

I conflitti interni, le guerre tra bande, la graduale e travagliata integrazione di Takemichi Hanagaki nella Toman rendono Tokyo Revengers avvincente dall'inizio alla fine e i marcato lato "sentimentale" permette un attaccamento emotivo intenso.

Tokyo Revengers è storia d'amore, d'amicizia, di organizzazioni teppistiche e criminali, di viaggi nel tempo, un'opera dalle molte sfaccettature ottimamente amalgamate. È una serie dal grande potenziale narrativo, ancora decisamente latente, ma già abbondantemente mostrato, con colpi di scena potenti e ben dosati, con sviluppi inaspettati e spesso sconvolgenti. L'intreccio, per quanto a volte sembri ridursi ad una passarella di personaggi sempre più cool, una sfilata di criminali per la migliore capigliatura e la peggiore stabilità mentale, è soddisfacentemente articolato e ben scritto. E si può passar sopra alla inverosimiglianza di alcuni accadimenti, ai poco plausibili cambiamenti dei personaggi, sicuramente ben caratterizzati ma dalla psicologia spesso esageratamente malleabile. Si può tralasciare la forzata mancanza di comunicazione (molte volte basterebbe la diplomazia per risolvere o evitare situazioni complicate), le eccessive (a tratti assurde) capacità fisiche e mentali di bambini di 12 anni. Ma non è possibile trascurare il mediocre lavoro dello studio Liden Films nell'animare Tokyo Revengers.

È, in generale, un lato tecnico davvero insufficiente a minare il giudizio sulla serie Crunchyroll. Con un comparto sonoro mai del tutto adeguato, incapace di "amplificare" il pathos di alcune sequenze, mai in grado di fomentare nelle scene più concitate, a volte persino colpevole di smorzare i toni.

È l'animazione discreta, frammentata e statica, quasi mai fluida, a ledere il prodotto diretto da Koichi Hatsumi. La dinamicità, prerogativa per un anime di botte e combattimenti a mani nude, viene quasi del tutto a mancare nel corso dei 24 episodi della serie. E perdono davvero molto in termini di qualità grafica le lotte tra gang, "rovinando" l'attesissimo scontro finale tra Toman e Valhalla, che pure ha una rilevanza enorme all'interno della prima stagione. Mentre non si salvano neppure i disegni, non di rado sproporzionati e deformati, è eccellente il character design, con meriti da attribuire al mangaka Ken Wakui, che dà vita a personaggi sempre unici, stilosi, dall'aspetto magnetico, riservando grande importanza alle pettinature e al vestiario.

Tokyo Revengers L'anime disponibile su Crunchyroll riesce in un discreto lavoro di adattamento, puntando forte sulla solidità della sceneggiatura, ma non è esente da difetti evidenti sul lato prettamente tecnico e finisce per affidarsi quasi esclusivamente ad un'impalcatura narrativa che sostiene la serie ma scricchiola sotto il peso della mediocrità visivo-sonora. A conti fatti, la serie animata aggiunge poco o nulla alla qualità preesistente del manga di Ken Wakui, non sfruttando la possibilità di dar vita ad un prodotto ben più completo e apprezzabile. Il risultato finale rimane discreto, ma si poteva fare molto di più.

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