Shin Hayata era Ultraman. In una vita passata, sepolta sotto i ricordi da una misteriosa amnesia, combatteva al fianco dei militari della SSSP per proteggere la Terra dalle minacce intergalattiche. Nei panni del Gigante di Luce ha affrontato alieni come Belumar e Zetton, prima che la creatura meccanizzata in grado di unirsi a lui decise di tornare sul suo pianeta natale. Eppure Ultraman lasciò in Shin una traccia del suo DNA, capace di conferirgli superforza e una resistenza fuori dal comune. Ma questo è, appunto, il passato. Diversi decenni dopo, ai giorni nostri, Shin non ricorda nulla di tutto ciò e si chiede come mai sia un superuomo. Non solo: suo figlio, il piccolo Shinjiro, sembra aver ereditato le miracolose capacità di suo padre.
I due ignorano che la SSSP ha continuato a lavorare nell'ombra per quasi cinquant'anni, né che gli alieni si sono insediati sulla Terra creando una società segreta in cui vivono mimetizzandosi con gli esseri umani. Né che, ovviamente, tra essi ci sono loschi individui che continuano a mettere l'umanità in pericolo. E quando Hayata senior ricorda, ormai da anziano, non può che lasciare l'eredità del suo fardello a Shinjiro, che da normale liceale si ritrova ad essere, suo malgrado, eroe per caso. Sono le premesse di Ultraman, nuovo anime originale Netflix tratto dall'omonimo manga di Eiichi Shimizu e Tomohiro Shimoguchi, nonché sequel ufficiale e canonico della gloriosa serie TV live-action del 1966. Siamo giunti al finale della prima stagione dopo aver potuto analizzare i primi 4 episodi in anteprima. Siamo finalmente pronti per svelarvi il nostro giudizio finale e a definire le (poche) luci e le (diverse) ombre di una produzione che ci è sembrata quasi del tutto priva di un'identità.
Da grandi poteri
Avrete intuito, insomma, che l'anime non è riuscito a fare breccia nel nostro cuore, ed è un peccato: alle sue prime battute, la storia aveva confermato buona parte del piacevole canovaccio imbastito nel manga originale, lasciandoci presagire un'attenzione in fase di scrittura che potesse farci dimenticare lo sciagurato comparto tecnico. Giunti alla fine del tredicesimo e ultimo episodio della Stagione 1, purtroppo, abbiamo dovuto fare i conti con la realtà: Ultraman non è un buon adattamento.

Non lo è nella misura in cui, quando si traspone un'opera dal materiale cartaceo, si cerca di sopperire alla carenza artistica con un buon plot principale. La serie di Production I.G. ripercorre, ovviamente, la stessa trama del manga di Shimizu e Shimoguchi, ma ne prende al tempo stesso le distanze per qualità della scrittura. Ma andiamo con ordine.
Come avevamo già evidenziato nel nostro primo sguardo a Ultraman, parliamo di un prodotto il cui tema centrale è l'eredità. Ci eravamo lasciati quando, al termine dell'episodio 4 prima della release ufficiale, Shinjiro iniziava a prendere consapevolezza di cosa significhi essere Ultraman. Quando il giovane capisce che i suoi poteri sono frutto di un'eredità genetica, inizia a fare i conti con il mondo in cui è stato catapultato: per conto della SSSP, quindi, conduce una serie di incarichi volti a sgominare alieni particolarmente minacciosi.

Lo fa sotto la guida di Dan Moroboshi, pragmatico e gelido leader delle squadre militari preposte a operare sul campo. Dietro le quinte è guidato dal signor Ide, direttore della SSSP, e del misterioso Edo, ma ovviamente anche dal conforto e dalla fiducia di suo padre Shin. Un altro dei temi portanti dell'anime è il senso dell'onere: in ciò, Ultraman riprende la classica concezione supereroistica secondo la quale "da grandi poteri derivano grandi responsabilità" e la traspone in un contesto adolescenziale in cui il protagonista prova un costante senso di inadeguatezza rispetto alle aspettative che gli altri nutrono nei suoi confronti.
Fin qui Ultraman ha una narrazione di stampo estremamente classico e poco rivoluzionario, ma tutto sommato nella prima metà di stagione l'ordito funziona: sullo sfondo del percorso di formazione compiuto dal giovane Hayata, poi, si stagliano alcune sottotrame in cui vengono sviluppati altri personaggi secondari.
Una serie di misteriosi omicidi impensieriscono non soltanto la SSSP, ma anche un detective locale di nome Endo. Il vecchio poliziotto ha particolarmente a cuore la questione perché tutti i delitti sembrano ricondurre a un fan estremista di Rena Sayama, una giovane e popolare idol nonché sua unica figlia. Anche in questo caso l'anime ha leggermente stravolto i personaggi di Endo e Rena, dando ai due protagonisti una caratterizzazione sulla carta più profonda, ma che nell'economia di tutto il racconto finisce col diventare incoerente e poco credibile.
Quando le strade di questi due blocchi narrativi si incontrano, la scrittura arriva ad un importante giro di boa in cui lo staff di animazione ha tentato di esplorare più a fondo l'etica del supereroe. Il risultato, tuttavia, è una sceneggiatura fin troppo frettolosa e che, soprattutto, snellisce notevolmente alcuni passaggi per rendere la trama più semplice rispetto all'intreccio narrato nel manga.

In questa soluzione, vista la qualità del prodotto finale, ci abbiamo visto tutt'altro che un'esigenza artistica, ma piuttosto un'evidente pigrizia produttiva. Così facendo, Ultraman finisce anche col perdere la verve narrativa che rende il fumetto originale davvero avvincente, mettendo a nudo la sua natura di adattamento fin troppo scialbo e dimenticabile.
Anime o videogame?
Abbiamo riflettuto a lungo su cosa possa rendere Ultraman un anime in qualche modo appetibile. Purtroppo, però, nel momento in cui mettiamo da parte i pro e i contro del comparto narrativo, entriamo nel merito dell'assetto artistico e della tecnica. In tal senso la serie Netflix ci ha convinto davvero poco. Il colosso americano ha finora dimostrato di credere in due diverse strade produttive: una risiede nello sperimentare nell'utilizzo del disegno a mano (si legga la nostra Recensione di Devilman Crybaby per capire di cosa parliamo) mentre l'altro trova nella computer grafica il suo massimo veicolo di espressione.
E se finora abbiamo avuto diverse riserve su prodotti come Ajin: Demi-Human, ma anche lodato il lavoro svolto su anime come la trilogia anime di Godzilla, ci duole ammettere che del comparto visivo di Ultraman ci è piaciuto poco o nulla. Come abbiamo già evidenziato in fase di First Look, abbiamo trovato interessanti le animazioni, ma solo nelle fasi action: sono fluide e spettacolari soltanto quando a combattere ci pensano i guerrieri corazzati, questo è certo, ma pur sempre apprezzabili e realistiche. In tal senso lo staff di animazione ha lavorato molto sulla resa delle movenze, unendo la CGI tradizionale con una serie di tecniche di motion capturing volte a cogliere i movimenti essenziali del corpo umano.
Il tutto mira a restituire un senso di realismo anche nelle animazioni meno complesse e il colpo d'occhio finale rende Ultraman quasi più simile a un live-action che a un vero prodotto di animazione - come dimostrano, in effetti, gli ottimi effetti particellari in presenza di esplosioni, raggi laser e attacchi vari. Fin qui potrebbe andare tutto bene, se il character design avesse proposto modelli interamente digitalizzati: ma, in questo caso, la commistione tra disegno tradizionale e computer grafica ha creato l'effetto opposto, rendendo il tutto molto più simile a un videogioco fatto di modelli poligonali estremamente plastici e inespressivi.

Senza contare che animazioni molto semplici, come il mangiare cibo o il bere liquidi, si tramutano in sequenze che diventano parodie di se stesse, tanto che i movimenti risultano innaturali e poco curati. Un elemento di forza all'interno del manga, poi, riguarda la varietà di personaggi e di creature aliene affrontate dai protagonisti: anche in tal senso, come avvenuto con i piccoli ma significativi tagli narrativi, appare chiaro come lo staff abbia optato per un inspiegabile impoverimento artistico, dal momento che gran parte dei mostri affrontati da Shinjiro e compagni presentano lo stesso design, come se appartenessero a un'unica grande razza aliena.
L'anime di Production I.G. riesce a proporre, di buono, quanto meno il comparto sonoro: le musiche, seppur non memorabili o particolarmente variegate, regalano un buon senso di epica, da soundtrack internazionale vera, così come il doppiaggio originale in lingua giapponese mette in mostra buoni interpreti.

Sul fronte dell'adattamento italiano, invece, l'asticella qualitativa si abbassa vertiginosamente: la pronuncia di gran parte dei protagonisti (come Shìnjiro e Hòkuto) viene totalmente stravolta, e purtroppo anche la scelta di diversi interpreti lascia - a nostro parere - molto a desiderare, sia per casting che per recitazione stessa.