Recensione Uno Zoo d'Inverno

Ansia e scoramento adolescenziale: il giovane mangaka Taniguchi.

Recensione Uno Zoo d'Inverno
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Smaccatamente autobiografico: tale è Uno Zoo d'Inverno, uno dei più recenti lavori del fumettista giapponese Jiro Taniguchi. Il sessantenne non avrebbe bisogno di presentazioni, né a proposito della sua florida carriera tra Giappone ed Europa, né in merito al suo stile così atipico rispetto ai canoni classici del manga; eppure, proprio nel momento in cui le platee internazionali ne celebrano il talento prodigandosi in ristampe e tempestive pubblicazioni dei suoi successi editoriali, Taniguchi fa dell'onestà primaria virtù e ci racconta di quando il suo stile era ancora immaturo, un puro calco della matita di illustri mangaka, quando ancora mancava l'ispirazione della scuola francese e del genio di Moebius.
Un giovane mesto e preoccupato per l'avvenire, incapace di agire con risoluzione e scioltezza, ma sensibile alle conoscenze umane e ai rapporti con colleghi/amici. Taniguchi guarda con apprensione allo specchio che ha edificato a propria immagine, al giovane Hamaguchi, suo alter ego, che muove dalla vecchia Kyoto alla tentacolare Tokyo sul finire degli anni '60, nel periodo di massima crescita per il fumetto nipponico sospinto da riviste innovative quali GARO e da matite invidiabili come quella di Osamu Tezuka.

“Quel fumetto lo sto disegnando per te”

Alla Watanabe Spa, grossista di stoffe, il giovane Hamaguchi lavora come fattorino, ma cova di passare al reparto design, nucleo creativo della società con sede a Kyoto. Il tempo libero lo trascorre allo zoo: non ci va per disegnare, ma una volta lì non fa altro. Si assetta sulla panchina, estrae matita e blocco note, appunta le linee cinetiche del maestoso elefante e poi ne rifinisce le parti anatomiche.
Uno Zoo d'Inverno si apre come gran parte dei fumetti di Taniguchi, in quell'atmosfera da vita quotidiana a cui l'autore guarda come qualcosa di più che mera concatenazione di atti e pensieri. Perchè si sofferma così tanto allo zoo? Perchè trascina con sé ostinatamente il quaderno degli appunti?
L'atmosfera sospesa, celebrale, attorniata da un tratto grigino, sfumato e il più leggero possibile, si capovolge d'improvviso con l'arrivo della Primavera: Hamaguchi approda a Tokyo dove incontra l'amico Tamura, studente di un istituto di design, e qui matura la decisione di trasferirsi definitivamente. Alle storie brevi questa volta l'autore de L'Uomo che Cammina preferisce una trama più lineare, ma non meno complessa. Il settore del racconto "vita" che si chiama "adolescenza".
Sembra più sicuro il nostro, ora che s'aggira per la grande e lontana città, ma allo sguardo divertito si insinua la mestizia di un turbinio d'incontri e di stress lavorativo che mal si concilia con la tenue età. Già, perchè, di punto in bianco, a Tokyo è reclutato da un fumettista di successo, tal Kondo Jiro, sempre indaffarato sulle pagine di Shonen Holiday e pertanto bisognoso di un assistente. Un altro? Essì, Fujita, Moriwaki e la signorina Tono non sono abbastanza per fronteggiare le serratissime consegne imposte dalle case editrici alle storie di Kondo.
Definita la trama nella sua globalità e tratteggiato con poche righe, ma significative sul piano psicologico, il cast di personaggi (cui va aggiunto Kikuchi, un amico-viveur del maestro), Uno Zoo d'Inverno decide di seguire il protagonista nei suoi piccoli momenti di quotidianità: lo vediamo così imbucato a una lezione di Tamura con argomento nudo artistico (emozionante il modo con cui Taniguchi affronta la tradizione erotica del fumetto) o altrove per le strade di Shinjuku sottobraccio a una ragazza, oppure ancora sdraiato sul bancone di un locale dopo aver trangugiato qualche bicchierino di troppo.
La dura vita editoriale è stancante e non sono pochi i giorni in cui lo staff è costretto a levatacce notturne, ma Hamaguchi non disdegna un simile lavoro e progetta di scrivere una storia tutta sua. Lo farà profittando di un viaggio intercontinentale di Kondo, ma riuscirà ad ultimarlo solo dopo immani sacrifici spronato da una forza di proporzioni cosmiche.
L'amore per il fumetto. Ah, l'amore. L'amore per la sua "prigioniera"...

L'anima del fumetto

Taniguchi passa e ripassa ogni singolo shot con dedizione per il dettaglio e maestria visiva. Il suo sguardo è rivolto con la massima tensione ad ogni istante, ad ogni sguardo, ad ogni imperscrutabile cambiamento d'umore. Si sente che c'è partecipazione alle vicende di Hamaguchi, si sente che l'autore ha infilato tra le pagine di Uno Zoo d'Inverno una generosa fetta della propria gioventù, del proprio apprendistato e del proprio debutto fumettistico. In tal senso l'albo è preziosissimo per indagare con maggior profondità l'estro artistico del fumettista di In una lontana città, la sua infaticabile umiltà e, giubilo, il suo entusiasmo per la quotidianità applicato direttamente alla propria adolescenza.
Vi è molta introspezione in tale lavoro, affidata a riquadri che hanno tanto il sapore di didascalie: una scelta decisamente controcorrente perchè ripesca una tipologia di fumetto risalente alla prima metà del Novecento. Non si equivochi: nessuna nostalgia retrò, melò, ma una consapevolezza registica e narrativa che Taniguchi può dire di aver fatto sua dopo quarant'anni di carriera.
Più che un fumetto un laboratorio di sperimentazione, un omaggio in extremis alla scuola nipponica del fumetto action da parte da chi ne ha sempre preso le distanze con un radicalismo talvolta ammantato di snobismo.

Uno Zoo d'Inverno Nel disarmante panorama di autobiografie romanzate e dalla vocazione più che altro aneddotistica, apprezziamo veramente Uno Zoo d'Inverno di Jiro Taniguchi. Oltre i valori classici del fumettista nipponico, in tale opera è contenuta una seria introspezione e riflessione sulla vita e sull'adolescenza dell'autore di In una lontana città. Uno stile più ricercato del solito e una narrazione di maggior respiro sanciscono l'ennesimo capolavoro dell'eclettico, emozionante, maturo Jiro Taniguchi.