Alice in Borderland: della versione anime si parla troppo poco

In poco tempo sono stati annunciati Alice in Borderland 2 l'edizione italiana del manga targata J-POP, ma cosa si sa della versione anime del 2014?

Alice in Borderland: della versione anime si parla troppo poco
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Il 9 Novembre Netflix ha annunciato anime e serie TV giapponesi in arrivo a Dicembre ma soprattutto nel 2022. Tra i titoli spicca Alice in Borderland 2. La serie survival aveva conquistato gli spettatori nel 2020 con la sua dimensione estremamente ludica ricca di azione, tensione e colpi di scena. Non molto tempo fa anche J-POP ha annunciato l'edizione italiana del manga di Alice in Borderland (Imawa no Kuni no Alice). I 18 volumi originali, editi da Shogakukan, risalgono all'ormai lontano 2010.

Nel 2014 la Silver Link (Connect) ne ha realizzato l'adattamento anime di cui si parla ancora davvero poco. La serie OVA è composta da 3 episodi dalla durata di 20-25 minuti, reperibili in lingua originale con sottotitoli in italiano. C'è però una chicca: tutte le parole ben leggibili (regole scritte, insegne di negozi) sono state tradotte nella nostra lingua. Seppur piccino, l'anime diretto da Hideki Tachibana si presenta come un prodotto davvero ben fatto, molto fedele ai disegni di Haro Aso. Per certi versi, funziona persino meglio della serie TV Netflix che, dopo un anno, è ancora tra gli show survival più seguiti (subito dopo Squid Game). Vediamo insieme perché.

Un concentrato di azione

Ricordiamo brevemente l'incipit: Arisu e i suoi due amici Chota e Karube si ritrovano catapultati in una realtà parallela ed apparentemente disabitata. Qui dovranno partecipare ad alcuni giochi pericolosi per poter restare in questa sorta di mondo sospeso chiamato Borderland.

La serie Netflix di Alice in Borderland, componendosi di 8 episodi, combacia con i primi quattro volumi del manga più qualche capitolo del quinto. L'anime, curiosamente, si ferma molto prima e copre quell'arco temporale che, nel live action, è racchiuso nei primi 3 episodi. In poco più di 60 minuti è raccontata una vicenda che il manga e la serie riescono a dilazionare maggiormente. Come spesso accade, l'esigenza di concentrare tutto in poco tempo impone una sapiente capacità narrativa che impedisca allo spettatore di perdere importanti premesse.

Hideki Tachibana si rivela un maestro in questo. La scelta degli esatti momenti è ben studiata, in modo da lasciar fuori tutto ciò che è superfluo. Il meccanismo di selezione predilige, ad esempio, informazioni importanti delle regole del gioco a discapito di elementi di background o scene della stessa competizione che, nella storia originale, hanno il solo scopo di rendere più spettacolare le singole competizioni. A colmare questo vuoto ci sono i colori e i numerosi effetti visivi. L'anime, infatti, gode di uno stile grafico accurato e piacevole a livello estetico, meno grottesco dello stile del manga. Alcune scene iniziali si colorano di tinte psichedeliche: non mancano, infatti, momenti di totale distacco dalla realtà, elemento totalmente assente nel live action e che nel manga non trova piena giustizia a causa dell'assenza di colore.

Fedeltà e cura per i dettagli

L'ordine di visione influisce sulla ricezione. Molti, sicuramente, si sono avvicinati - o si avvicineranno - prima alla serie TV e solo successivamente all'anime che, indubbiamente, ha una risonanza minore a causa della difficile reperibilità. Nei tre episodi, infatti, troviamo riproposti moltissimi scenari familiari perché visti nella serie: Arisu e i suoi due amici che chiacchierano al bar, l'espediente della scadenza degli alimenti per collocare la vicenda nel tempo o il gioco cruento e sanguinoso del secondo episodio in cui ritornano persino alcune specifiche inquadrature e battute.

La caratterizzazione dei personaggi è un altro particolare da non sottovalutare ed è ben visibile a cominciare dalla somiglianza estetica estremamente ricercata. In realtà, naturalmente, è la serie tv ad essere fedele a questi elementi dell'opera originale, ma l'ordine di visione ne altera la percezione.

Scegliere di guardare l'adattamento anime in un secondo momento contribuisce a concentrarsi su tutto ciò che prescinde dalla storia narrata, comprese le numerose differenze: una di queste, ad esempio, è la quasi totale assenza di immagini cruente che Netflix, invece, non risparmia al pubblico.

Ancora: il meccanismo di gioco non prevede quel tipo di tecnologia estremamente distopica e futuristica trovata nella serie del 2020. In tal senso, l'anime resta estremamente fedele all'opera di Haro Aso.Di qualunque versione si tratti, Alice in Borderland possiede il principale scopo di intrattenere il pubblico. L'anime lo fa con una giusta dose di leggerezza e di paradossale comicità. Non mancano, però, inquadrature che si servono del primissimo piano e, talvolta, del detail per trasmettere forti emozioni. Qui le immagini riacquistano l'aspetto grottesco dei disegni di Haro Aso. Il live action non vanta una particolare attenzione per la sfera emotiva, puntando maggiormente alla spettacolarità e alla suspense, aspetti che comunque non possono mancare in un survival game.