Attack on Titan - The Final Chapters: è il miglior finale possibile?

L'ultima parte della Final Season di Attack on Titan è la degna chiusura di un'opera che ha segnato un decennio stagliandosi sul panorama anime recente.

Attack on Titan - The Final Chapters: è il miglior finale possibile?
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L'8 aprile 2021 fa, sul Bessatsu Shonen Megazine, Kodansha pubblicava l'ultimo capitolo de L'Attacco dei Giganti dopo una serializzazione lunga quasi dodici anni (recuperate la nostra recensione del manga de L'Attacco dei Giganti). Si è discusso a lungo sul finale del manga di Hajime Isayama, si è dibattuto circa l'effettiva qualità della conclusione, ci si è trovati di fronte ad un epilogo divisivo, tanto da vociferare differenze considerevoli per l'adattamento animato. Shingeki no Kyojin ha corso il rischio di soccombere alle aspettative che una narrazione pressoché perfetta alimenta. La sua propensione al plot twist travolgente, al foreshadowing aggressivo, alla rivalutazione e alla risignificazione per mezzo di espedienti che scompaginano e ricompongono la struttura narrativa, ha compromesso la certezza di una conclusione conforme al proprio tenore di intrattenimento.

Eppure, Attack on Titan ce l'ha fatta: all'ultimo corposo episodio disponibile su Crunchyroll (1 ora e 24 minuti divisi in 3 capitoli) non toccherà di certo un destino diverso dalla sua controparte cartacea, tra denigratori e difensori a spada tratta, ma se si guarda a quanto edificato e si intercetta la visione del suo creatore (chiara come non mai nel corso della Final Season), non si può non riconoscere un'indubbia coerenza di fondo nelle ultime battute dell'anime.

Lacrime e sangue

Da quando la verità su Paradis è venuta a galla e il conflitto con Marley si è rivelato in tutto le sue storture, Attack on Titan non ha mai prospettato la possibilità di una storia dalla risoluzione utopistica, prefigurando piuttosto una condizione di guerra perpetua, di odio inestinguibile.

Un odio tanto profondo da guastare la speranza delle nuove leve, radicato a tal punto da contaminare un sogno di libertà che si fa deviato, che diventa visione di morte, incubo. Attack on Titan è un coming of age con la morte che aleggia ed è difficile immaginare un finale dagli esiti diversi. Si riparte da dove ci eravamo lasciati, con Armin, Mikasa e compagni all'assalto del Gigante Fondatore, con un Eren ormai definitivamente piegato alla sua natura da villain: non sentiamo più la sua voce, non conosciamo più i suoi pensieri, non possiamo supportarne le azioni. È lo stratagemma giusto per guidare lo spettatore a distinguere il mostro dall'eroe che conosceva, a cambiare fazione in maniera definitiva. L'inizio è dei più adrenalinici, per Armin e compagni non c'è più tempo da perdere. Si lanciano nel disperato tentativo di fermare il Boato della Terra, lottano con le unghie e con i denti contro i Giganti del passato, involucri senz'anima plasmati dal potere del Martello.

È una battaglia solenne, epica perché ad armi impari: l'ultimo baluardo dell'umanità contro chi ne auspica la fine. Tutti contribuiscono: un Reiner mai domo, un Jean audace, un Connie ormai rassegnato allo scontro, una Pieck più risoluta che mai. Ad Armin e Mikasa tocca il tormento, sono quelli maggiormente implicati nella scelta più difficile, dilaniati dalla prospettiva di un esito inevitabile, dalla necessità di mettere a repentaglio la vita di Eren per fermare il massacro.

C'è spazio anche per i rinforzi e per un salvataggio provvidenziale: Falco scopre di poter volare, Annie torna a dar dimostrazione delle sue abilità nelle arti marziali, Gabi è finalmente decisiva in positivo. È un atto finale corale che si concede il lusso di insidiare la frenesia della battaglia con un importante momento introspettivo che vede il redivivo Armin affrontare Zeke in un intenso dialogo esistenzialista. Il possessore del Gigante Bestia è da tempo inerte all'interno della dimensione creata da Ymir, appiattito e devitalizzato in una paralisi nichilista che Armin neutralizza: è il valore inestimabile di momenti insignificanti a dare un senso alla reazione, alla lotta, alla vita; il sentimento oltre l'istinto.

È una risoluzione repentina, la redenzione di Zeke è tempestiva, forse troppo, ma la drammaticità del confronto compensa l'idea di un passaggio frettoloso e nell'economia della battaglia, del ritmo narrativo, la conversazione nel Mondo dei Sentieri non si limita e non eccede, costituendo la quota filosofica dell'ultimo atto.

Nella ferocia e nella brutalità della battaglia sono i toccanti e ripetuti attimi di unione a fare la differenza, momenti di vicinanza ghiacciati nel caos della guerra, istantanee di amore con l'orlo violento del conflitto. La riconciliazione definitiva tra Reiner e Jean (e tutto il Corpo di Ricerca); un neonato in mezzo alla folla sostenuto fino alla fine, fino all'estremo anelito, anche a costo di cadere; l'abbraccio commovente tra Jean e Connie, remissivi di fronte all'ineluttabile. Quadri dall'espressività e dall'intensità emotiva straordinaria, icone di un finale che completa la già copiosa raccolta di scene memorabili che L'Attacco dei Giganti si porta in dote.

L'Attacco dei Giganti o l'inevitabilità della guerra

Sono le interazioni di Eren con Armin e Mikasa, tuttavia, a costituire gli elementi di spicco dell'episodio conclusivo. Il colpo di scena è di quelli al limite del retcon ma possiede una forza melodrammatica senza precedenti all'interno della serie.

Il sogno di una vita idilliaca in una cornice bucolica si infrange nella realtà della guerra: è l'illusione di una pace che può verificarsi solo se circoscritta nello spazio e nel tempo, precaria e limitata. Tra Mikasa ed Eren è la consacrazione di un amore che può avvenire solo quando il male è eradicato (temporaneamente), che si compie nel momento in cui si vanifica, è appagato quando non può più verificarsi. La resa dei conti, la fine di tutto, possiede una potenza visiva e simbolica travolgente, adatta a farsi carico del gravoso patrimonio di una storia tanto longeva, di dieci anni di una narrazione di successo. E si imprime dolce e amarissima nella mente degli spettatori, che la odino e che la apprezzino, nel bene e nel male.

Il "giorno dopo" dei superstiti (nei titoli di coda dell'episodio) si compone di frammenti di futuro che lasciano spazio all'immaginazione ma si fanno manifesto del messaggio pessimista di Isayama e lo esplicitano: la guerra è ciclica, lo scontro è inevitabile, le civiltà evolvono e regrediscono, firmano la propria condanna a morte, inneggiano alla prevaricazione (non è un caso che anche di fronte all'apocalisse Eldiani e Marleyani continuino a ordinare di farsi fuoco a vicenda). L'impresa terribile di Eren e gli eroici sforzi compiuti dai suoi oppositori sono atti di libertà di natura diversa ma vani allo stesso modo. È tutto inutile, dunque? Sì, ma è l'unica possibilità per veicolare e rendere manifesta l'insensatezza e l'impossibilità di evitare il conflitto.

Studio MAPPA svolge un lavoro tecnico encomiabile e per quanto, a volte, la CGI risulti macchinosa e posticcia, effetto amplificato dalla sovrapposizione con uno sfondo tanto spoglio, desertico e monocromatico come l'arena della battaglia finale, l'animazione raggiunge picchi finora solo sfiorati in termini qualitativi, su tutti l'assalto finale di Levi e Mikasa ai danni del Gigante Fondatore.

La scena del neonato avvolto in un drappo rosso mentre tutto intorno il bianco e nero grida morte è, poi, una squisita licenza poetica. C'è, inoltre, un comparto sonoro che non impallidisce di fronte a quello visivo, con un accompagnamento musicale che nei momenti concitati incalza e trasporta, infonde epicità e replica l'urgenza e la sensazione di una corsa contro il tempo affannata, di una fievole speranza, di un arrembaggio di importanza vitale.

Insomma, gli eventi di Attack on Titan - Final Chapters costituiscono forse l'unica conclusione possibile per un'opera che non si è mai rintanata dentro una concezione ottimistica, mai si è sporta verso uno spiraglio speranzoso che non ammettesse violenza, che ha piuttosto sostenuto che in un mondo di ostilità, in costante disputa, non rimane che elevarsi in uno stoico slancio verso la libertà e offrire i propri cuori ad una causa persa in partenza.