Belle di Mamoru Hosoda: tra battle shonen e Classico Disney

Belle di Mamoru Hosoda è un esempio perfetto di come gli anime stiano allargando i propri orizzonti tecnici e artistici, senza snaturarne l'essenza.

Belle di Mamoru Hosoda: tra battle shonen e Classico Disney
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Manca davvero poco all'uscita di Belle, la nuova attesissima pellicola del regista Mamoru Hosoda che uscirà il 17 marzo, distribuita da Anime Factory, in collaborazione con I Wonder Pictures. L'ultima fatica di uno dei volti più noti della moderna animazione giapponese è pronta a conquistare il pubblico italiano dopo il trionfale esordio al Festival di Cannes 2021 e il grande successo al botteghino giapponese. Per scoprire pregi e difetti di uno dei lavori più incisivi e intimisti della carriera di Hosoda non dimenticate di leggere la nostra recensione di Belle.

Tra le caratteristiche che rendono questo prodotto unico non solo nella filmografia del regista ma anche nell'attuale panorama del settore è impossibile non menzionare la contaminazione visiva e tematica tra Giappone e Occidente, evidente sin dal nome dell'alter ego della protagonista che dà anche il titolo alla pellicola nella versione internazionale. Un chiaro segnale della sempre maggiore apertura dell'animazione giapponese al di fuori dei propri confini.

Un calderone di influenze

Quando si parla dell'aspetto visivo di un'opera animata è obbligatorio partire dal suo staff, e nel caso di Belle abbiamo nuovamente al timone della produzione Studio Chizu, lo studio fondato nel 2011 dallo stesso Hosoda per potersi occupare di tutti i suoi futuri lungometraggi.

Oltre al regista, qui anche autore della sceneggiatura in linea con i due precedenti lavori The Boy and the Beast e Mirai, ritroviamo collaboratori storici come gli animatori veterani Takaaki Yamashita e Hiroyuki Aoyama, responsabile del design pulito e privo di fronzoli dei personaggi nel mondo reale (da sempre marchio di fabbrica dei lungometraggi di Hosoda). È però nella lista delle collaborazioni internazionali che si può trovare il vero valore aggiunto di Belle. Il primo nome che salta all'occhio è senza dubbio quello di Jin Kim, celebre artista e animatore sudcoreano che ha lavorato a titoli Disney del calibro di Rapunzel, Big Hero 6, Oceania e Frozen 2. Se durante la visione del trailer o di qualsiasi altro materiale promozionale del film avete avuto l'impressione che Belle avesse i tratti di un'autentica principessa Disney, non vi siete sbagliati. Le fattezze dell'AS - la versione virtuale - della protagonista sono proprio opera di Kim, conosciuto da Hosoda in occasione della cerimonia degli Oscar 2019, che dona al personaggio dei tratti inusuali per l'attuale canone dell'animazione giapponese, a cominciare dalle lentiggini. Non è un caso che il titolo originale del lungometraggio sia traducibile come "Il Drago e la Principessa Lentigginosa" (Ryuu to Sobakasu no Hime).

Andando avanti si possono trovare altre collaborazioni extra-nipponiche come quella con Eric Wong, giovane architetto e designer britannico che assieme a Hosoda ha progettato l'affascinante mondo digitale di U (l'applicazione al centro della storia), un'ambientazione che colpisce lo spettatore sin dai primissimi minuti del film per la sua maestosità e spettacolarità.

Non si tratta dell'unico nome internazionale coinvolto per questa parte. Numerose sequenze ambientate in U, nonché alcuni elementi del suo scenario, sono frutto della partecipazione al progetto di Cartoon Saloon, studio d'animazione irlandese di Tomm Moore e Ross Stewart che ci ha regalato titoli pregevolissimi come La Canzone del Mare e Wolfwalkers: Il Popolo dei Lupi.

Belle è dunque una produzione molto ambiziosa dal punto di vista tecnico e visivo, che traduce su schermo idee che il regista si portava dietro da parecchio tempo e che si colloca perfettamente nel percorso di internazionalizzazione del processo creativo degli anime - che si tratti di pellicole o di serie televisive - proprio come accaduto l'anno scorso con l'arrivo di Eden su Netflix (leggete la nostra recensione di Eden).

Una fiaba moderna

Tutte queste contaminazioni occidentali rendono Belle un film d'animazione giapponese dal sapore di un classico Disney, e non è un caso che la premessa della storia e i due protagonisti, la "principessa" Belle e il misterioso Drago, richiamino in modo alquanto palese il capolavoro La Bella e la Bestia del 1991.

Sono presenti infatti alcune sequenze che rappresentano un sincero e autentico omaggio all'illustre predecessore animato (potete approfondire questo aspetto nel nostro articolo su La Bella e la Bestia secondo Hosoda) e a un'intera corrente artistica, quella del rinascimento disneyano negli anni '90, che deve aver giocato un ruolo importante nella formazione del regista. Belle vive di due anime, molto diverse dal punto di vista artistico ma perfettamente complementari e in armonia tematica nell'economia del racconto. Se le sequenze ambientate nel mondo reale seguono in tutto e per tutto l'estetica dei precedenti lungometraggi di Hosoda, in particolare lo stile asciutto dei personaggi e gli scorci del Giappone rurale, quelle all'interno di U sono un tripudio di colori, effetti visivi, elementi bizzarri (la balena con gli altoparlanti) e apparente caoticità realizzato interamente in CGI, una tecnica indispensabile per rendere su schermo la visione del regista e dei suoi collaboratori. Il mondo virtuale alla base di tutte le vicende del film rappresenta una sorta di evoluzione di quello presente nel secondo lungometraggio di Hosoda (Summer Wars, 2009) ed è impossibile non accostarlo a pellicole animate con universi analoghi alla stregua di Ralph Spacca Internet, a sottolineare ulteriormente lo spirito occidentale della produzione.

Il parallelismo con le atmosfere tipiche dei classici Disney è ulteriormente accentuato dalla presenza delle canzoni e dal ruolo importante giocato dalla musica all'interno del film, sia dal punto di vista tematico che narrativo, tanto che inizialmente Mamoru Hosoda aveva concepito Belle come un musical (un genere quasi del tutto inesistente nella storia del cinema giapponese).

Come dichiarato dal regista stesso, l'obiettivo non è mai stato quello di creare melodie orecchiabili e degne di una hit da classifica, bensì qualcosa di molto più profondo e personale che si adattasse bene al contesto. E da questo punto di vista è impossibile non elogiare la performance della giovane cantante Kaho Nakamura nei panni della protagonista Suzu Naito e del suo alter ego digitale, che firma anche i testi di alcuni pezzi, così come quella dei quattro compositori che hanno realizzato la colonna sonora del film tra i quali spicca il nome di Ludvig Forssell, musicista svedese noto per la sua militanza in Kojima Productions (Death Stranding).

Dal Giappone con furore

Arrivati a questo punto potreste pensare che la forte componente internazionale snaturi in qualche modo l'essenza della pellicola, allontanandola da ciò che ci si aspetterebbe dalla poetica di Hosoda, ma non è affatto così. Se è vero che a livello grafico e artistico Belle si pone come una sorta di punto di arrivo del percorso iniziato con il debutto alla regia del primo film dei Digimon nel 1999, e al tempo stesso ne stabilisce un nuovo punto di partenza, contenutisticamente parlando ritroviamo molti dei temi cari a Hosoda.

Per esempio i rapporti familiari, il racconto di formazione (a questo proposito date un'occhiata al nostro speciale su Mirai), la chiusura in sé stessi e la componente onirico-virtuale. Belle inoltre riesce a fare presa anche sul pubblico più giovane grazie alla presenza di alcuni stilemi e soluzioni narrative tipiche dello shonen manga, riscontrabili nell'età adolescenziale della protagonista, nell'ambientazione in parte scolastica del mondo reale ma soprattutto nelle spettacolari e adrenaliniche sequenze d'azione.

Queste ultime hanno come protagonista il Drago in opposizione al gruppo di vigilanti predisposto alla sicurezza all'interno di U, che lo vede come un'ovvia minaccia e che ha il potere espellere potenziali utenti indesiderati attraverso lo smascheramento della loro identità.

Tali combattimenti, diretti in modo sopraffino, donano una componente dinamica e squisitamente nipponica all'ultima pellicola di Hosoda, pur senza compromettere la sua natura più introspettiva e impegnata, anzi dimostrando ulteriormente la poliedricità di stili, generi e influenze riscontrabili in questo pregevolissimo lavoro.