Quando ci si ritrova a parlare dopo tanto tempo delle opere che hanno segnato la nostra infanzia o la nostra adolescenza, e più in generale di quei titoli che hanno un bel po' di anni sulle spalle, risulta inevitabile farsi condizionare dalla nostalgia, dai ricordi, dalle emozioni provate all'epoca, insomma da tutti quei fattori - sia personali che non - legati al contesto temporale di tali prodotti. Per questo motivo alcuni potrebbero chiedersi se una serie come Cowboy Bebop, che qualsiasi appassionato di animazione giapponese ha sentito nominare almeno una volta nella sua vita, abbia effettivamente retto la prova del tempo, confermandosi un must anche per le nuove generazioni, oppure no.
In occasione dell'imminente debutto del controverso live-action di Cowboy Bebop su Netflix (a embargo scaduto potete finalmente leggere la nostra recensione di Cowboy Bebop in live action) vi elenchiamo i motivi per i quali l'opera prima del regista Shinichiro Watanabe, a più di ventitré anni dalla sua messa in onda, è ancora un classico dell'animazione giapponese, un capolavoro senza se e senza ma che merita appieno il suo status di cult. Per ulteriori approfondimenti, recuperate anche la nostra recensione dell'anime di Cowboy Bebop.
Un grande parco giochi
Cominciamo innanzitutto con la cosa più importante: Cowboy Bebop è una serie dannatamente divertente. I 26 episodi che la compongono sono una spettacolare, adrenalinica giostra che lascia senza fiato lo spettatore, il quale terminerà ogni puntata con l'irresistibile voglia di passare immediatamente a quella successiva, fino all'indimenticabile ed emozionante epilogo.
Ma non solo, Cowboy Bebop è ancora oggi uno dei migliori esempi di anime dalla struttura antologica. Ambientata nel 2071, in un'epoca dove l'umanità ha colonizzato l'intero Sistema Solare grazie all'invenzione dei viaggi iperspaziali, la serie racconta le vicende dell'astronave Bebop e del suo scalmanato e improbabile equipaggio di cacciatori di taglie, del quale parleremo tra poco. Traendo ispirazione dalle avventure del mitico Lupin III, come confermato dallo stesso Watanabe, e mescolando abilmente differenti generi e stili come il noir, il western e il cyberpunk, la narrazione sfrutta gli eventi autoconclusivi di ciascuna puntata (con due sole eccezioni) per delineare piano piano il fascino dell'ambientazione sci-fi di frontiera, un contesto retrofuturistico dove la tecnologia è talmente avanzata e pervasiva da sembrare quasi antica e decadente, sulla scia di capisaldi della fantascienza come Dune e Star Wars. Un mondo che diventa lo specchio delle virtù (poche) e dei vizi (molti) della natura umana, mai così corrotta e priva di scrupoli.
L'incredibile varietà di temi e situazioni è uno dei punti di forza della narrativa di Cowboy Bebop, che alterna in modo impeccabile l'azione sfrenata e la violenza delle puntate più al cardiopalma a momenti introspettivi e delicati che riflettono su temi come la nostalgia e lo scorrere del tempo, senza rinunciare a una buona dose di humour e, perché no, anche di un surreale nonsense.
Grazie a una scrittura brillante ed essenziale al tempo stesso, ogni episodio di questo racconto non lineare riempie un tassello di un mosaico grandioso e ricco di sfaccettature, stabilendo un canone che ha influenzato (e influenza ancora oggi) l'estetica e il contenuto di numerose produzioni analoghe.

La narrativa di Cowboy Bebop è verticale nella sua essenza più pura, senza che questo rappresenti assolutamente un difetto. Al contrario, tale caratteristica si trasforma nel vero valore aggiunto della produzione, una componente essenziale della visione creativa di Watanabe e soci senza la quale il risultato finale non avrebbe raggiunto la medesima forza espressiva.
Per questa ragione gli unici a cui risulta difficile consigliare la serie sono coloro che rifuggono in ogni modo i titoli del tutto privi di una trama orizzontale forte, ma sarebbe davvero un peccato precludersi a priori una tale bellezza. Perciò, se vi rispecchiate in queste parole, non partite prevenuti e provate a fare almeno un tentativo. Chissà che non cambierete idea.
See You Space Cowboy
Nelle serie episodiche è necessario compensare l'assenza della trama centrale non solo con la scrittura, ma anche e soprattutto con il cast. E quello di Cowboy Bebop è uno dei più iconici della storia dell'animazione giapponese.
Pur non rappresentando certamente dei modelli da seguire, è impossibile non appassionarsi alle disavventure dei membri della ciurma del Bebop: reietti, figli di nessuno, a loro modo stravaganti e con un passato spesso ambiguo e problematico - insomma dei veri e propri cowboy del futuro - ciascuno di essi è destinato a rimanere impresso nella memoria dello spettatore. Spike Spiegel, il protagonista, è un cacciatore di taglie con un passato da criminale che odia le donne, i cani e i bambini e che non ha più aspettative per il suo futuro, abilissimo nelle sparatorie e nei combattimenti corpo a corpo. Jet Black, il suo socio e membro più anziano del Bebop (di cui è il capitano), è un uomo all'apparenza burbero e rude con un passato nella polizia. Faye Valentine, la femme fatale dello show, è una donna sensuale e affascinante che sotto la sua arroganza cela una personalità insicura e vulnerabile. Grazie anche alla straordinaria prova della sua doppiatrice originale Megumi Hayashibara, è diventata in breve tempo uno dei personaggi femminili più amati della cultura pop giapponese.
Infine abbiamo Ed, una ragazzina geniale e iperattiva che si aggrega alla banda a serie ormai inoltrata e che funge da principale comic relief dello show. Menzione d'onore, ovviamente, per l'indimenticabile mascotte del gruppo, l'intelligentissimo cane di razza welsh corgi Ein.
Ognuno di loro viene caratterizzato in maniera sopraffina, andando incontro a una decisa evoluzione nel corso della serie. Ma se ovviamente sono i quattro protagonisti a occupare la scena per la maggior parte del tempo, non è da meno il lavoro svolto con i personaggi secondari, alcuni dei quali ricorrenti.

Nonostante il ridotto minutaggio a disposizione anch'essi riescono quasi sempre a lasciare il segno, creando un variegato insieme di figure brutte, sporche e poco raccomandabili (eccetto rari casi). Un esempio perfetto è l'antagonista principale Vicious, la metà oscura di Spike, un uomo freddo, spietato e cinico le cui azioni influenzeranno pesantemente il destino del Bebop. Ancora più emblematico è Mad Pierrot, stravagante killer dalla forza sovrumana a cui dobbiamo uno degli episodi migliori dell'intero show.
Che stile!
Difficilmente Cowboy Bebop avrebbe rivoluzionato l'industria degli anime senza un'adeguata cornice visiva e sonora che sorreggesse appieno il suo contenuto.
Anche da questo punto di vista, inutile ribadirlo, il capolavoro di Shinichiro Watanabe è più attuale che mai, confermandosi un autentico spettacolo che chiunque dovrebbe vedere almeno una volta nella vita per capire cosa significa fare bene il proprio mestiere. Realizzato presso lo studio Sunrise da un vero e proprio team di leggende del settore, come il character designer Toshihiro Kawamoto (cofondatore e presidente dello studio Bones), il mecha designer Kimitoshi Yamane (I cieli di Escaflowne) e la compositrice Yoko Kanno, Cowboy Bebop sfoggia una cura per i dettagli e un livello delle animazioni semplicemente incredibile, che mette del tutto in secondo piano qualche rarissimo calo nella qualità dei disegni e il ricorso a una CGI indubbiamente figlia della sua epoca per la rappresentazione di particolari elementi dello scenario come i pianeti.
Ma più che nei meriti di natura tecnica, dove il comparto visivo di Cowboy Bebop stupisce ancora oggi è nella sua rappresentazione scenica e artistica, un autentico trionfo di stile, espressività, suggestioni e richiami a differenti culture e civiltà che ha pochissimi eguali nella storia del medium. Una componente estetica che traduce in immagini le idee del regista e del resto dello staff, imprescindibile per la resa dell'atmosfera da western sci-fi crepuscolare e decadente che permea l'intero titolo.
Come se non bastasse, Cowboy Bebop è anche uno degli anime più citazionisti di sempre e non si contano i riferimenti e gli omaggi alla cultura artistica occidentale, fattore che ha contribuito in modo decisivo al suo successo anche al di fuori dei confini nipponici. Pensiamo ai rimandi a pellicole come Alien, Blade Runner e 2001: Odissea nello spazio, oppure al titolo stesso della serie e a quelli dei singoli episodi, tutti ispirati al mondo musicale.

Ed è impossibile parlare di Cowboy Bebop dimenticandosi della sua colonna sonora. Interamente composto dalla già menzionata Yoko Kanno, entrata di diritto nel firmamento mondiale dopo questo lavoro, l'accompagnamento musicale della serie è semplicemente stratosferico. Una perfetta fusione di generi e stili - blues, jazz, funk, country e in misura minore rock e heavy metal - che accompagna ogni scena dell'anime scandendone il ritmo e i toni.
L'apice indiscusso è ovviamente la sigla di apertura Tank! del gruppo jazz The Seatbelts, fondato dalla stessa Kanno durante le sessioni di registrazione. Il suo irresistibile ritornello strumentale, lo stile inconfondibile e il montaggio frenetico delle immagini a schermo l'hanno resa una delle opening più conosciute e apprezzate di sempre, seconda forse solo all'inavvicinabile A Cruel Angel's Thesis di Neon Genesis Evangelion.
La genesi di un capolavoro
Concludiamo l'articolo menzionando un altro aspetto meno conosciuto che, pur non essendo legato alle qualità intrinseche della serie, la rende comunque speciale in quanto aneddoto emblematico del processo produttivo degli anime.
Ci riferiamo in questo caso alle origini di Cowboy Bebop, che nasce inizialmente come sponsor per... astronavi giocattolo! Esatto, avete letto bene. Stando a quanto dichiarato da Watanabe stesso in occasione del suo intervento all'Otakon 2013, Cowboy Bebop venne finanziato dalla divisione giocattoli del colosso Bandai (all'epoca non ancora fuso con Namco) per poter vendere modellini di astronavi, lasciando completa carta bianca al regista e allo staff purché quest'ultime fossero in qualche modo presenti. Una volta visionato il materiale di prova, tuttavia, apparve evidente che le scelte creative di Watanabe non erano adatte a fini di merchandise e la divisione giocattoli si ritirò dal progetto, rischiando di portare al fallimento dell'intera produzione.
Fortunatamente, al suo posto subentrò quasi subito Bandai Visual, la divisione anime, che confermò i fondi e la piena libertà al regista, consentendogli di portare a termine l'opera. Ringraziamo dunque Bandai Visual perché senza il suo intervento uno degli anime più belli di tutti i tempi non sarebbe mai esistito, e a quest'ora Shinichiro Watanabe lavorerebbe come anonimo commesso in un supermercato (sempre parole sue).

Non furono pochi anche gli ostacoli incontrati durante la prima messa in onda sulla rete televisiva giapponese. All'epoca, infatti, l'emittente TV Tokyo si rifiutò di trasmettere più della metà delle puntate previste, ritenute troppo violente per il pubblico, limitandosi solamente a 12 nella primavera del 1998. La prima trasmissione integrale avvenne solo qualche mese più tardi, dal 23 ottobre 1998 al 23 aprile 1999, sul canale satellitare WOWOW.