Digimon vs Pokémon: differenze tra i due franchise, un eterno scontro?

L'eterna sfida tra Pokémon e Digimon: analizziamo le differenze di due dei franchise dediti all'intrattenimento più importanti al mondo

Digimon vs Pokémon: differenze tra i due franchise, un eterno scontro?
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Esattamente 2 anni, 9 mesi e 22 giorni. È questa la distanza che separa due dei franchise più importanti al mondo in termini di cultura pop e di storia nipponica. Il 27 febbraio 1996, infatti, Satoshi Tajiri riuscì nella travagliata impresa di rilasciare in patria Pokémon Rosso e Verde, frutto della collaborazione con Nintendo, partner che tuttora si occupa di lavorare al brand. I 6 anni di sviluppo dei due capolavori targati "Game Boy" furono sommersi da non pochi problemi interni che più volte rischiarono di mettere a soqquadro l'intera formazione videoludica della saga ispirata ai Pocket Monsters, destinata per sempre a confrontarsi con il suo eterno rivale: i Digimon.

Pokémon e Digimon: genesi di due capolavori

Il talentuoso Tajiri, appassionato di entomologia sin dall'infanzia, riuscì nell'impresa titanica di realizzare il proprio sogno, unendo l'amore per gli insetti alla passione per i videogiochi. Ed è quasi ironico, se non bizzarro, che l'opera si è fatta conoscere in tutto il mondo con la crasi del titolo originale, allo stesso modo di come il "mondo digitale" si è fuso nella parola universalmente riconosciuta "Digimon". La genesi di Digital Monsers è quanto di più complesso si possa ricostruire, in quanto il suo creatore, Akiyoshi Hongo, è un uomo essenzialmente mitologico, una personalità la cui esistenza sfora nella leggenda. Non esiste alcuna informazione sulla sua vita, meno che per tre foto che dimostrano appena la reale esistenza dell'autore. Vi basti pensare, tanto per immergerci più profondamente in questo mare di genialità, che il nome Akiyoshi Hongo non è altro che uno pseudonimo di Aki Mata (creatore del Tamagochi), Hiroshi Izawa (autore del manga omonimo di Digimon) e Takeichi Hongo (responsabile del settore marketing per la Bandai).

Chi sia dunque realmente il creatore di Digital Monsters non è dato saperlo, ma abbiamo quello che serve per ricostruire la data del 21 novembre 1998, quando iniziò la distribuzione del manga di Izawa sensei. Allora, il franchise era noto solo nell'universo Tamagochi come mero oggetto di merchandise, ma grazie al successo ottenuto -con il dovuto merito al designer Kenji Watanabe- venne programmato un lungometraggio animato, lo stesso che nel 1999 diede inizio alla saga dei Digimon così come la conosciamo.

Molte volte, soprattutto improriamente, le due diverse community tendono a paragonare il fanchise dei Digimon a quello dei Pokémon, in una sorta di competizione ideologica più che razionale. Eppure, non sarebbe neanche corretto eliminare del tutto il concetto di "sfida" che ha contraddistinto le due produzioni. Sarebbe un po' come dimenticare i tempi d'oro di Weekly Shonen Jump, quando Masashi Kishimoto, Tite Kubo ed Eiichiro Oda lottavano "sportivamente" per le prime posizioni del TOC della rivista, obiettivo al pari di una sfida personale nonché una meta ambita da ciascun mangaka dedito a una serializzazione settimanale.

Un duello scorretto?

Sia i Pocket Monsters che i Digital Monsters nascono dunque da due idee diametralmente diverse che, nonostante alcuni tratti in comune, hanno radici profondamente contrastanti. Avere la stessa origine, come la volontà di ideare un fenomeno di merchandise a partire da uno strumento puramente di svago, non implica che i due titoli possano iniziare a evolversi gradualmente in due storie completamente opposte, ovvero in due racconti che nulla hanno da spartire l'un l'altro. Queste differenze, infatti, iniziarono a emergere soprattutto quando le rispettive società cominciarono a puntare sempre più risorse sui cartoni animati, sull'appealing televisivo di una trasmissione sul suolo nazionale in una fascia oraria adatta ai bambini.

Ben presto, nonostante uno scarto di tempo pressoché ridotto, i due franchise cominciarono a raccontare due viaggi separati, partendo tuttavia proprio dall'elemento innovativo e originale, nonché quello più simile, dei due capolavori: i mostriciattoli.

Nell'universo dei Pokémon esiste un vero e proprio ecosistema, un'immensa natura in cui esseri umani e bizzarre creature convivono quotidianamente in sinergia e amicizia, un legame che prende in prestito, per certi versi, il "mondo animale". Al contrario, Digimon taglia di netto questa corrente, separa i due mondi senza nemmeno pochi scrupoli. Esiste il Digital World proprio per questo, una rete che funge da habitat per creature che sono veri e propri mostriciattoli senzienti, esseri che parlano, pensano, progettano e costruiscono substrati dello stesso mondo. Questa caratterizzazione non è solo l'elemento più dissimile con i Pokémon, ma è anche il veicolo per il quale nasce Digimon Adventure.

Nella profonda società eliocentrica dei Pokémon, dove queste creature hanno un ruolo importantissimo per la vita degli stessi esseri umani, vi è Ash, un ragazzo avventuriero che viaggia in giro per questo straordinario universo nel tentativo di realizzare i propri sogni. Tai e gli altri digiprescelti, invece, finiscono "quasi per caso" nel mondo digitale, e la loro avventura è costellata unicamente dalla volontà di tornare a casa. Non sono altro che puri e innocenti bambini che, improvvisamente, si ritrovano all'interno di qualcosa decisamente più grande di loro. Se per Ash ogni avventura sembra alla sua portata, in ogni episodio di Digimon Adventure è evidente come per quei piccoli digiprescelti sembri tutto estremamente irreale e tremendamente pericoloso.

È innegabile, tuttavia, che il franchise dei Pokémon sia "invecchiato" decisamente meglio rispetto ai Digimon nel corso degli anni, in quanto gli ultimi prodotti a tema su questi ultimi, che siano videogiochi o serie animate, sono stati piuttosto discutibli. Nella sua semplicità, invece, i Pocket Monsters continuano ad affascinare proprio con le stesse caratteristiche che gli hanno resi grandi, innovando di tanto in tanto le sue originali peculiarità pur senza stravolgerle mai del tutto.

Questione di dettagli

Sono i piccoli dettagli che cozzano alla perfezione con l'immaginario inventato da Satoshi Sajiri, già di per sé talmente imponente e scomponibile da rendere quelle poche variazioni sempre sufficienti per il suo pubblico. Vi basti pensare, a maggior ragione, al grande clamore riscosso in tutto il mondo alla notizia della vittoria di Ash della Lega Pokémon, un traguardo raggiunto "appena" 22 anni dopo il suo tentativo iniziale. Ed è ironico, se non a dir poco incredibile, come lo stesso protagonista, Ash, riesca ancora a mantenere saldo il controllo del franchise sotto il suo personaggio.

Digimon, al contrario, si è rinnovato moltissimo nel corso degli anni, ma come vi accennavamo prima l'innovazione non è sempre un'arma vincente. Già con Digimon Tamers, TOEI Animation e Bandai sperimentarono nuovi strumenti per potenziare il florido merchandise inerente al brand, introducendo con la serie le "digicarte" e, con le opere subito successive, ulteriori strumenti, fino agli "Appmon" di Digimon Universe: Appli Monsters. Un vero e proprio fenomeno di merchandising, di spolmamento di ogni singola caratteristica del brand pur di vendere.

Ed è sempre questa la reale intenzione dietro "Adventure Tri", "Last Kizuna" e il reboot di Digimon Adventure, l'iconica serie del 1999: puramente fini economici. Certo, l'animazione è economia, un medium che necessita comunque di fruttare risorse per gli investitori al fine di potersi mantenere sulle proprie gambe, ma è innegabile che riproporre i personaggi più amati dell'intero franchise sia una mossa vincente quanto meschina. Pokémon non ha mai avuto intenzione di nascondere intenti di questo tipo, poiché le sue serie televisive, proprio come quelle di Digimon, fungono unicamente per sponsorizzare il merchandise, ma ciò è sempre stato evidente grazie all'incrollabile popolarità videoludica. Ed è questa la più grande somiglianza tra le due serie: due titoli vittima dei loro stessi produttori, ma allo stesso tempo fonte di intrattenimento costante grazie alle infinite possibilità di due universi enormi.

Il fine giustifica i mezzi

Creare qualcosa di così grande permette svariate opportunità di creazione, di storie da raccontare che, per quanto siano simili l'una dalle l'altre, avranno sempre quel qualcosa in più per tenerci incollati allo schermo della tv o della console. Se la poetica sfida tra Masashi Kishimoto ed Eiichiro Oda ha termine nel momento in cui il proprio capolavoro finisce, quella tra Digimon e Pokémon non è destinata a un lieto fine perché continuerà a oltranza finché le nuove generazioni saranno disposte a crescere con quei buffi mostriciattoli. Ma al contrario di Naruto e ONE PIECE, alle spalle di quanto abbiamo detto, oseremmo aggiungere che "va bene anche così".

Va bene che questi due franchise continuino a produrre prodotti e anime anche dello stesso stampo, perché come ha dimostrato il primo episodio del reboot di Digimon Adventure, c'è sempre spazio per proporre qualcosa di nuovo e ugualmente originale. La creatività non manca, soprattutto quando ci sono di mezzo due capolavori dell'intrattenimento che non fanno più parte unicamente di un unico target, ma che si fanno apprezzare anche da un pubblico più ampio e maturo rispetto agli spettatori a cui i titoli puntano. E se questa presunta e inopportuna rivalità è ancora in grado di emozionarci a questo modo, ben venga di poter continuare a sentirci bambini senza alcun timore di sentirci tali.