Da Ghost in the Shell 2 Innocence alla serie Netflix: una storia infinita

Da ormai 33 anni il franchising di Ghost in the Shell continua a regalare forti emozioni, pertanto continuiamo l'esplorazione di questo ermetico mondo.

Da Ghost in the Shell 2 Innocence alla serie Netflix: una storia infinita
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In occasione del recente passaggio televisivo del live action di Ghost in the Shell abbiamo deciso di iniziare un vero e proprio speciale a tema, andando a ripercorrere alcune tappe salienti dell'ormai celeberrimo franchise che continua ad emozionarci e stupirci da oltre trent'anni.

Nell'articolo precedente su Ghost in the Shell di Oshii avevamo parlato dell'origine del manga targato Masamune Shirow fino ad arrivare all'adattamento animato realizzato dal grandissimo Mamoru Oshii. Pertanto, continuiamo su questa strada e di seguito vi parleremo del secondo capitolo fino alle serie televisive.

Ghost in the Shell 2 - Innocence

Nel 2004 con grande sorpresa Mamoru Oshii realizza uno dei sequel più attesi della storia dell'animazione: Ghost in the Shell 2 - Innocence (qui la nostra recensione di Ghost in the Shell 2 Innocence). Il regista spiazza tutti e propone un film distante anni luce dal primo capitolo, portando l'elemento teorico e filosofico su lidi inesplorati, ai limiti della comprensione. Il film è un perfetto esempio di poesia in cui verità ed inganno, cinismo ed innocenza pura si insinuano in un sostrato concettuale filosofico e biomeccanico che coincide con la visione del mondo dell'autore.

A livello puramente narrativo il noto cineasta pesca alcuni temi dal sesto capitolo del manga originale, tale Robot Rondo, per rielaborarli in modo del tutto personale. Ad ogni modo siamo nel 2032 e sono trascorsi tre anni dagli eventi narrati del primo film, pertanto il maggiore Motoko Kusanagi è assente dalla scena, per quanto la sua influenza sia sempre determinante, e l'attenzione è veicolata su Batou ed il collega Togusa. Entrambi, guidati dal saggio Aramaki, dovranno risolvere una serie di stranissimi omicidi messi a punto dalle ginoidi: androidi dall'aspetto umanoide progettate per scopi poco nobili, al servizio di poenti uomini d'affari e politici.

Oshii in questo secondo capitolo ripresenta una serie di tematiche iconiche già affrontate in precedenza, come la coscienza di sé e la nascita di una nuova vita immersa in un mondo digitalizzato. Non mancano una marea di influenze culturali molto eterogenee; il regista piazza con intelligenza nel suo telaio narrativo dialoghi e pensieri riconducibili a filosofi illustri: Confucio, Milton, Cartesio, Shelley e Raymond Roussel trovano qui il giusto spazio.

Tuttavia questi temi si intersecano con nuove/vecchie ossessioni care al cineasta, tra cui il concetto di specchio, prelevato da alcune tesi del filosofo e psichiatra francese Jacques Lacan. Secondo Oshii, infatti, l'essere umano prende coscienza di sé ogni qual volta si guarda "allo specchio". A tal proposito è emblematica la sequenza iniziale con un primissimo piano sugli occhi della ginoide, sul cui bulbo si riflette un'altra ginoide (è forse Motoko?). Oshii nel corso della pellicola fa largo uso del primissimo piano, spesso intervallato da soggettive tecnologiche: pensiamo ai frangenti in cui Batou scansiona l'ambiente in maniera dettagliata, amplificando la sensazione di trovarci dentro un vasto mondo cyberpunk.

Mondo gratificante da un punto di vista grafico, ma molto cupo, sentimenti e sensazioni magnificate dalla regia e dalla messa in scena, densa di lunghi silenzi ed campi lunghissimi altamente comunicativi. Tristezza e solitudine da riscontrare anche nel design di alcuni personaggi; Batou è ormai un vero e proprio cyborg dal corpo quasi interamente meccanizzato e quindi non dovrebbe invecchiare ma in realtà il suo aspetto è molto diverso dal primo film, e non ci riferiamo solo ai capelli più lunghi. Il personaggio appare leggermente appassito e scavato nel volto, sicuramente segnato dalla nostalgia provata per la scomparsa del maggiore Motoko. Anche Aramaki non presenta la solita solenne energia del capolavoro precedente, anche lui incredibilmente prova un senso di perdita per l'assenza di Motoki che teme possa essere andata via per sempre.

Mozzafiato il comporto grafico con scenografici disegni tradizionali, realizzati a mano, che si mescolano a magnifici fondali in CGI: citiamo i palazzi di Etorofu, inquadrati con panoramiche di profilo o inquadrature a piombo, che si susseguono fitti durante lo svolgimento della festa in città. Edifici quasi interamente realizzati in CGI e dipinti con tinte calde che richiamano l'oro; tinte unite ad un parziale controluce, dinamico e mai statico. Soluzioni visive innovative che rendono l'atmosfera magica e trasognante.

Oshii poi dedica la massima attenzione ad ogni singolo dettaglio del film: dalle armi, tanto futuristiche quanto realistiche (pensiamo alla Mateba Custom di Togusa) passando ai vari mezzi meccanici, sempre funzionali (cyber subacqueo usato da Batou), fino ad ambientazioni nuove (alcuni luoghi richiamo addirittura l'Italia e Taiwan). La tecnologia grafica ha continuato negli anni a progredire sensibilmente, tuttavia ancora oggi le immagini di Innocence rimangono insuperabili nella loro freschezza e cura del dettaglio.

2002, Ghost in the Shell sbarca in tv

A seguito del primo lungometraggio di Oshii, il franchise inizia ad espandersi a macchia d'olio tra manga spin-off, sequel, serie televisive e addirittura videogiochi.
Nel 2002 ad esempio, Production I.G realizza una prima serie animata tratta mondo di Ghost in the Shell: Ghost in the Shell: Stand Alone Complex.
La serie, proiettata su Nippon Television, è affidata alla regia del poliedrico Kenji Kamiyama, amico nonché storico collaboratore di Oshii.

Kamiyama, dovendo realizzare un cartone animato televisivo di 26 episodi, è stato costretto a distaccarsi dall'approccio concettuale e filosofico del maestro Oshii; Kamiyama pertanto realizza un mondo sicuramente più semplice e alla portata di tutti, alla fin fine la serie sarebbe arrivata nelle case di un pubblico generalista non propriamente esperto di fantascienza.
Ad ogni modo, il regista riesce nell'intento di ricreare una serie di elementi e situazioni tipiche di Oshii, a partire da una trama ricca di spunti socio-politici. Difatti gli avvenimenti correlati all'Uomo che Ride, e più precisamente al rapimento di Serano, prendono spunto dal "Caso Glico-Morinaga"; siamo tra il 1984 ed il 1985 ed il presidente dell'azienda dolciaria Glico, leader del settore, viene rapito da un fantomatico sequestratore denominato il Mostro dalle 21 Facce. Il presidente riuscirà a fatica a liberarsi ma il malvivente non verrà mai catturato.

Come se non bastasse, anche le vicende dell'anime correlate al Vaccino Murai sono basate su un reale fatto di cronaca: il "Vaccino Muruyama", sviluppato e venduto come potente arma per la cura della tubercolosi cutanea, che in realtà sembrava più idoneo per combattere alcune forme tumorali scatenando una serie di accuse e processi. Caso ancora oggi controverso. Ovviamente tutto ciò conferisce alla serie un incredibile grado di realismo. Non a caso molti dei paesaggi presenti nell'anime richiamano un carattere esclusivamente giapponese, con Fukuoka spesso protagonista indiscussa.

La serie riscontra un ottimo successo di pubblico, guadagnandosi una seconda stagione: Kooaku kidotai Stand Alone Complex - 2nd GIG, iniziata nel 2004 e diretta sempre da Kenji Kamiyama. Recentemente l'ormai noto regista è tornato ad esplorare il mondo di Ghost in the Shell, questa volta aiutato dal celeberrimo Shinji Aramaki con Ghost in the Shell: SAC_2045, disponibile su Netlfix.

Ghost in the Shell non muore mai

Il franchising ad ogni modo non si estingue assolutamente con Kenji Kamiyama e dal 2013 al 2014, ad esempio, prende forma un nuovo progetto legato al mondo di Masamune Shirow. Stiamo parlando Ghost in the Shell: Arise; una serie OAV composta da cinque micro-film della durata di un'ora, prequel alternativo di Ghost in the Shell. La serie è diretta da Kazuchika Kise, fedelissimo dello studio Production I.G (recentemente impegnato in Platinum End) il quale propone un concept estetico-contenutistico vicino a Kamiyama: mantenere quanto più intatto possibile lo spirito di Oshii, presentandolo però ad un vastissimo pubblico.

Nel 2017 inoltre il franchising ottiene pure un adattamento live-action (qui trovate la nostra recensione di Ghost in the Shell live action), firmato dall'inglese Rupert Sanders con Scarlett Johansson e Takeshi Kitano protagonisti. Il film ovviamente non è equiparabile al lavoro di Oshii, tuttavia contestualizzandolo in un'ottica diversa (prodotto da una serie di major del calibro di DreamWorks Pictures e Paramount Pictures) intrattiene alla grande e di tanto in tanto si lascia andare a considerazioni filosofiche-sociali non denigrabili.

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