Holly e Benji: 35 anni di tiri impossibili con Captain Tsubasa

Il 19 luglio 1986 veniva trasmesso per la prima volta in Italia Holly e Benji. Nulla sarebbe più stato come prima nel calcio.

Holly e Benji: 35 anni di tiri impossibili con Captain Tsubasa
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Chi è nato dalla fine degli anni 70 in poi, quasi sicuramente ha dato i primi calci al pallone grazie a loro. Se sognavi di essere un portiere para-tutto, un funambolo del pallone, un difensore roccioso o un grande fantasista. Se quando andavi a giocare nella tua squadra del quartiere, a scuola o per strada, ti scoprivi intento a cercare soluzioni tecniche tra l'assurdo e l'improbabile, quasi sicuramente tutto era iniziato sul piccolo schermo, seguendo una serie anime tra le più leggendarie.

Holly e Benji compie 35 anni. Era il 19 luglio 1986 quando, in pieno clima da Campionato del Mondo, quel cartone sbarcava nelle televisioni italiane (per un sano recap vi invitiamo a schierarvi in campo con il nostro riassunto su Captain Tsubasa, contagiando da quel momento intere generazioni di spettatori, cambiando per sempre il modo in cui il calcio sarebbe stato visto e descritto nella cultura pop. L'impatto della creatura di Yoichi Takahashi è stato tale che quella serie è stata da molti definita un evento formativo e di composizione della realtà - a tratti anche più influente dello sport vero, quello che già all'epoca dominava i palinsesti televisivi.

Un piccolo capolavoro nato nel Sol Levante

Capitan Tsubasa. Questo era il vero titolo di quel manga di culto, che per sei anni, con 37 numeri, aveva permesso al calcio di entrare di prepotenza nella società e cultura giapponese.

Erano del resto gli anni in cui la rivoluzione industriale e culturale nel Sol Levante portava l'Isola in vetta alle classifiche per ciò che riguardava tecnologia e industria. La cultura "made in Japan" viaggiava sui binari fertili dell'animazione e dei fumetti, che diventavano la nuova frontiera dell'intrattenimento di consumo. Eppure la società nipponica si aprì anch'essa ancor di più all'occidente e scoprì la bellezza di quel gioco, che in breve divenne un mezzo attraverso il quale far navigare la fantasia, confezionando per i bambini e gli adolescenti un universo fatto di magia e irrealtà.
Ovvio che in Italia, dove all'epoca si esprimeva un calcio al vertice dell'agonismo mondiale, la serie non potesse che avere un impatto formidabile, forte anche del grande legame che intercorreva tra veri idoli del pallone e quei ragazzini. La Tsuchida Production decise che per rendere il prodotto più appetibile, più economico da produrre e più connesso ai gusti occidentali, il ritmo andasse rallentato, soprattutto dovessero essere create linee narrative integrative rispetto all'originale cartaceo.

Il regista Hiroyoshi Mitsunobu senza saperlo, creò qualcosa che si poneva a metà tra la trasfigurazione più esagerata e la metafora più adatta per i bambini che, guardando l'anime per la prima volta, trovarono tutto della propria fantasia e dei propri sogni in quei personaggi dai nomi così strani. Oliver Hutton, Benjamin Price, Ed Warner, Mark Landers, Tom Baker, i Gemelli Derrick, Julian Ross, Alan Crocker. l'Italia degli anni 80 era un Paese che guardava al mito americano. La Car Film, che doppiava l'originale, usò proprio le versioni italiane per tutti gli altri paesi occidentali. Molti cambiamenti vennero fatti a livello di trama e personaggi, ma il risultato finale fu comunque rivoluzionario.

Il calcio dal punto di vista di un bambino

L'irrealtà regnava sovrana in quel cartone. Il noto gigantismo giapponese venne sublimato da un'animazione che vedeva migliaia di spettatori per incontri con tanto di telecronaca degna della CNN o della RAI, bandiere, giornalisti, analisti, sponsor e via dicendo.

Lo stesso campo di calcio era terribilmente più grande di quanto fosse nella realtà. Una volta fu stimato in 18 km di lunghezza. Le dinamiche di gioco erano un'esasperazione fantascientifica, condita da tiri che erano missili filo-guidati, allenamenti da Navy Seals, drammi personali, giocatori superuomini, traiettorie ed acrobazie sovrumane e una dimensione temporale a sé stante. Eppure, proprio per questo, Holly e Benji conobbe un successo pari se non superiore a prodotti analoghi come Mila e Shiro (leggete la nostra recensione di Mila e Shiro) oppure a quel capolavoro legato al ring chiamato Rocky Joe. Il contenuto dello sport veniva esasperato visivamente e fisicamente. Ma la realtà è che quella serie anime era forse il prodotto più connesso all'infanzia che si fosse mai visto. Quando si è bambini, tutto appare gigantesco, mitico, incredibile, tutto è esagerato e il confine tra realtà e fantasia quasi non esiste. Le porte sembrano gigantesche, il pallone è pesante, quel campo, lo stesso dove vedi i tuoi beniamini in televisione, pare non finire mai.

Non che a volte non si esagerasse oltre il lecito. Bambini che parlavano come leader politici, giocatori che potevano giocare con l'infarto dietro l'angolo, acrobazie da circo mai viste, eppure tutto questo era nuovo, era diverso, era qualcosa che funzionò a meraviglia, a tal punto che nacque già all'epoca un film per il grande schermo (per approfondire vi consigliamo di entrare a gamba tesa nella nostra recensione di Holly e Benji La grande sfida europea.

Persino nel nuovo millennio, oltre a continuare la serie con Holly e Benji Forever e Captain Tsubasa di tre anni fa, si sono visti videogiochi di successo quali Captain Tsubasa Dream Team e ogni sorta di prodotto culturale connesso.

Il calcio come non si era mai visto

Il calcio in Holly e Benji, grazie agli autori, fu sempre più connesso a veri assi del pallone. Noto è il fatto che il protagonista altri non fosse che l'alter ego di Kazuyoshi Miura, asso del pallone, non particolarmente noto fuori dai confini nazionali, dove però è considerato il primo, vero fuoriclasse nipponico.

Certo, forte era l'influenza del simbolo per calcio di quel periodo: il Pibe de Oro, Diego Armando Maradona. Su Julian Ross e la sua attinenza a Johan Cruyff si è scritto tantissimo, così come del fatto che i problemi cardiaci del Profeta del gol lo avessero tallonato fin da quel periodo in cui l'anime prendeva piede. Benjamin Price, il portiere per antonomasia, freddo, carismatico, fuoriclasse precoce, aveva molto di Lev Yashin e Zoff. Ma ancora più palese era il legame tra Karl Heinz Schneider e il "Panzer" Rumenigge, all'epoca indicato come il centravanti più forte del mondo. Manfred Kaltz, Schuster, Platini, lo stesso Maradona, Victorino, Gentile, Buffon, Sounnes, Del Piero, Baggio, Overmars, Mancini, Rivaldo: tutti i più grandi nomi del calcio reale sono apparsi o nei panni di loro stessi o molto più spesso in quelli di un sosia che, tiro mirabolante alla mano, capigliatura improbabile e salto mortale annesso, teneva incollato il mondo al televisore.

L'influenza di Holly e Benji fu globale, massiccia ed trasversale, tanto che proprio assi del calibro del Pinturicchio, di Zidane e persino Neymar hanno confessato che senza Holly e le sue avventure forse il calcio non li avrebbe mai visti protagonisti.

A 35 anni di distanza, Holly e Benji è sicuramente il prodotto animato sul calcio più importante di sempre, un simbolo per la generazione millennial, al pari o forse più di serie come Lupin o di Kenshiro. Potranno passare gli anni, ma nulla avrà mai più lo stesso impatto di questo capolavoro. Forse perché è anche il simbolo di un calcio romantico e fatto a misura di bambino, che oggi non esiste più.