Speciale I Puffi di Peyo

I Puffi: cosa nascondono quei calzoncini bianchi?

Speciale I Puffi di Peyo
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Puffi nazisti e puffi comunisti. Certamente infiammati dalla brama totalitaria.
Una disputa politico-letteraria che ha tanto il sapore di farsa intellettuale, un dibattere che infiamma i professoroni dell'università. Qualcuno vede negli ometti blu l'utopia marxista della comunità proletaria, in possesso dei mezzi di produzione. Per qualcun altro la loro somiglianza è dovuta a una politica eugenetica ordita dal Grande Puffo, un novello Hitler in pantaloncini rossi. Una terza via riconosce nella loro comunità l'organizzazione di una loggia massonica, ma a questa proprio ci rifiutiamo di dare credito.
Quaggiù parliamo di fumetti e di sicuro mai avevamo intravisto nelle tavole dei Puffi le caratteristiche dei due regimi più sanguinari del Novecento. Hanno sempre dato l'impressione di essere creaturine innocenti, un blocco unico contro Gargamella, mago stangone: non possono essere che così dovendo l'origine del loro nome a un qui pro quo con una saliera. E' lo stesso autore, il belga Pierre Culliford in arte Peyo, a raccontare il curioso aneddoto: a pranzo con un amico, chiese al commensale se gentilmente potesse passargli la saliera, ma aggrovigliatosi tra il francese e il fiammingo esclamò: "passe moi le... schtroumpf". Ecco l'impronunciabile nomignolo in area francofona, storpiato a fisarmonica nelle varie zone del mondo sino al nostrano Puffi.

Puffi - Il Film

Uscirà nelle sale italiane il 16 Settembre la prima scampagnata dei Puffi nell'animazione digitale. Questa volta Gargamella li catapulterà nel nostro mondo, precisamente nei dintorni di Central Park dove una giovane coppia li accoglierà.
La pelllicola introdurrà tre nuovi Puffi al conteggio totale: Puffo Maldestro, Puffo Stravagante e Puffo Coraggioso.

Puffi di tutti i colori

Era il 1958 e 99 folletti dalla pelle blu esordivano su Le Journal de Spirou. Non all'interno di una storia avente loro come protagonisti, ma nel corso di un'avventura di Johan & Pirlouit, rispettivamente scudiero e buffone reale, due personaggi usciti sempre dalla matita di Peyo. I due imbranati sudditi sono alla ricerca del Flauto a sei fori, che una volta suonatolo distrattamente evoca nel folto di una caverna i Puffi. Tale storia diverrà un fortunato lungometraggio in animazione classica (Il flauto a sei Puffi), il cui successo spianerà la strada alla serie di Hanna-Barbera.
Peyo è affascinato da questi esserini in blu e preme affinchè l'editore Dupuis vari una testata tutta per loro.
La prima storia tutta dedicata a loro s'intitola Il Puffo nero. Uno dopo l'altro gli abitanti di Puffalandia si ammalano di una rara influenza e mutano il colore della propria pelle da blu a nero (viola secondo gli animatori di Hanna-Barbera...); di più, i Puffi infetti cominciano a mordere i loro concittadini come fossero degli zombie! L'unico a non cadere vittima dell'efferatezza non-morta è Grande Puffo, il quale munito di antidoto riesce infine a salvare tutti gli altri Puffi.
Possibile che già alla prima storia Peyo mette in discussione il caratteristico colore della loro pelle?
In effetti l'inconfondibile cromia fu scelta al termine di una lunga discussione/litigio con la moglie: "Verdi no, si confondono con la vegetazione. Rossi sono troppo vistosi. Giallo poi è un filo sfigato". Per esclusione, blu. Per via del simile colore epidermico gli sceneggiatori di South Park si sono divertiti a paragonarli ai Na'vi di Avatar: nell'episodio Dance with Smurfs Eric Cartman si trasferisce dai Puffi, dipinge il proprio faccione ciccioso di blu e difende Puffalandia dall'invasione. Ne esce un libro, i cui diritti cinematografici finiscono infine nelle mani di James Cameron per diventare il kolossal Avatar.
Il fumettista belga continuò a scrivere ininterrottamente sceneggiature puffose sino alla sua morte avvenuta nel Dicembre 1992 a Bruxelles. La testata fumettistica non fu abbandonata, ma rilevata dal figlio Thierry Culliford e dall'amico giornalista Yvan Delporte.

In Italia Schtroumpf diventa Puffi, inneggiando all'aggettivo buffo in quanto spensierati. Pochi sanno che inizialmente la rivista Tipitì li adattò nel 1963 con il nome di Strunfi nel tentativo di preservare la radice francese. L'anno dopo sul Corriere dei Piccoli comparvero con il loro nome "definitivo", anche perchè quello di debutto ricordava una nota espressione scurrile.
Più che i fumetti, fu la serie televisiva americana a sancire il successo nel Bel Paese delle creaturine di Peyo. Trasmessa dalle emittenti locali a partire dal 1982, dove si mantennero i nomi statunitensi
(Grande Puffo era Smurf Papa, Puffetta era Smurfette), fu poi divulgata su tutto il territorio nazionale da Canale 5 e Italia 1, introdotta dall'arcinota sigla di Cristina d'Avena.

Chi si somiglia si piglia

Quando si presentarono dinnanzi a Johan & Pirlouit l'uno non si distingueva dall'altro. Tutti di sesso maschile, carnagione ovviamente bluastra, alti due mele o poco più, un naso pronunciato, pantaloni e cappello bianco. Annosa questione: sotto il copricapo nascondono una folta capigliatura? Per rendere più agile il disegno e rafforzare la somiglianza Peyo dotò ciascun puffo di cappello a punta, eppure nella storia Golosone supergoloso il vorace Puffo Golosone cela una torta multistrato sotto il cappello da chef e quando Grande Puffo gli intima di levarlo disvela una importante pelata.
Sono due gli elementi che permettono al lettore di identificare ciascun abitante di questa piccola comunità. Il primo è il lavoro svolto: in assenza di concorrenza a ciascun Puffo è assegnata una mansione, che ne diventa anche il tratto distintivo. Ricordate l'interpretazione comunista?
Puffo Inventore ha una matita incastrata tra le pieghe dell'orecchio, Puffo Tontolone tiene il berretto ben calato sugli occhi, Puffo Vanitoso non esce mai di casa senza il suo specchio (da quest'ultimo fuoriuscirà il centesimo Puffo, sua immagine speculare vivificata da un fulmine), Puffo Forzuto ha tatuato un cuore infilzato da una freccia sui bicipiti nemmeno fosse un scaricatore di porto e così di questo passo.
Altra caratteristica è il loro modo di parlare e discutere. Semplificato e lineare, puffano di qua e puffano di là. L'insigne professor Umberto Eco si è addirittura cimentato nella composizione di un saggio dal titolo Schtroumpf und Drang. Affilando i suoi strumenti semiotici decretò il linguaggio dei Puffi come composto da una manciata di termini il cui significato è ben deducibile dal contesto: "Possiamo comprendere il puffo perché ogni Puffo usa il termine puffo e suoi derivati solo
e sempre in quei contesti in cui una frase è stata già pronunciata. 'Ho puffato un puffo' rischia di
esser incomprensibile. Ma 'pufferò sino alla morte' dice molto bene quel che vuol dire (o puffare)
".
Ideando una lingua incomprensibile nella teoria e multiforme nella pratica, Peyo volle prendersi gioco della pluralità di minoranze linguistiche diffuse in Belgio. Alcuni Puffi infatti si distinguono per bizzarre litanie o giochi linguistici: Puffo Quattrocchi è un contestatore nato, obietta sempre "che è meglio" puffare in questo e quell'altro modo, mentre Puffo Brontolone odia tutto ciò che appassiona gli altri e lo esprime dicendo "io odio" puffare questo e quest'altro.

Puffi fuori dal seminato

Nella serie subentrano anche personaggi volutamente differenti dalla canonica fisiognomia del Puffo. Grande Puffo si differenzia per il gonnellino rosso, è il più saggio tra i Puffi avendo la bellezza di 542 anni contro i 100 di uno ordinario.
Il nemico dichiarato è lo stregone Gargamella, naso adunco, gobba e tunica nera. Lo accompagna un gatto di nome Azreal (un più gentile Birba da noi) e l'apprendista Lenticchia. Dovrebbe essere la caricatura di un rabbino secondo i nazi-puffologi, ma in verità è il classico cattivone alla Walt Disney.
Setaccia palmo a palmo la foresta alla ricerca del villaggio dei Puffi, ma gliene bastano tre per bollirli insieme a veleno di serpente e ottenere così la famigerata pietra filosofale. Chi li vuole acchiappare tutti è il gatto Birba, ma lo fa più per gioco che per necessità mangereccia.
Puffetta è una invenzione di Gargamella, depositata a Puffalandia nel tentativo di mettere zizzania in quel pullulare di ormoni mascolini. Riuscì ad irretire qualche giovanotto e allestire zuffe d'amore, ma ancora una volta i poteri del Grande Puffo la fecero rinsavire. Da neri e crespi i suoi capelli divennero biondi e lisci, ora indossa un abito bianco e un paio di scarpe col tacco come ciliegina sulla torta. Ma non ha smesso di trafiggere qualche cuore con la sua bellezza sincera e svampita.
Ogni tanto per la foresta vaga l'orco (buono) Bue Grasso, golosissimo delle zuppe cucinate dai Puffi: se per caso lo incontrate offrite lui qualche ghiottoneria culinaria e si dimostrerà ben disposto nei vostri confronti.

Puffi in tutte lingue del mondo

Nessun'altra nazione ha accolto l'originale appellativo francofono Schtroumpf, tant'è che di nomi per definire gli omini blu ve ne sono a bizzeffe. In America li chiamano Smurf, in Svezia Smurfar, in Turchia Sirinler, in Polonia Smerfy e in Giappone Sumaafu. I meno convenzionali? Certamente il nostro Puffo, ma anche lo spagnolo Pitufos, divenuto sinonimo di sbirro per via del simile colore delle divise dei poliziotti. Il più astruso? L'ungherese Hupikek Torpikek.