In memoria di Kentaro Miura: quando muore un maestro

Kentaro Miura ci lascia con la più bella delle consapevolezze: l'importanza e la ricchezza di una bella storia, anche senza un finale.

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È difficile esprimersi per commentare la perdita di un artista, specie quando il suo nome è di tutti, quando la sua opera ha lasciato cose molto diverse nei cuori di così tante persone. Kentaro Miura è morto lo scorso 6 maggio, stroncato a soli 54 anni da una rara malattia vascolare, ma soltanto adesso il tuono sconcertante e drammatico della sua scomparsa raggiunge gli onori della cronaca. Non ci sono parole, in fondo, per riempire il vuoto di un autore che ci ha dato tantissimo, e che avrebbe potuto darci ancora. Ma è proprio nel momento più doloroso che è opportuno ricordare. Non semplicemente il suo apporto all'industria dei manga, neanche tanto l'importanza e l'influenza artistica della sua opera. Nemmeno del finale incompiuto di Berserk, o almeno non così: perché anche nell'incompletezza, a volte, va ricercata la grandezza di una firma come quella di Kentaro Miura.

Queste parole sono soprattutto per te, Maestro, nel tentativo di ricordarci - e ricordarti - quanto fondamentali siano gli echi della tua matita.

Addio Maestro

Basta poco, Sensei, per percepire la tua influenza artistica sul panorama fumettistico, e non solo, sia orientale sia occidentale. Forse non te ne sei mai accorto davvero, perché spesso i più grandi sono anche i più umili, ma hai riscritto e ridefinito il dark fantasy moderno, le sue strutture e i suoi canoni, la sua crudezza e la sua essenza, rendendolo già dagli anni ottanta una colonna portante della narrativa fantastica.

Senza Kentaro Miura e il suo Berserk, senza il suo viscerale orrore gotico-medievale, senza la maturità del suo worldbuilding, non ci sarebbero opere come Dynasty Warriors, Demon's Souls e Dark souls, non ci sarebbero stati The Witcher o Game of Thrones. Non ci sarebbero stati giochi di ruolo, fumetti, romanzi, videogiochi. Non ci sarebbero state storie.

La tua aura da gigante indiscusso ha riecheggiato tanto nel mondo quanto in patria: perché, Maestro, tu non ti sei limitato a portare l'arte giapponese ben al di fuori dei propri confini territoriali, hai riscritto le regole di un genere e una parte fondamentale della narrativa contemporanea.

Ci hai insegnato cos'è il libero arbitrio e cosa significa lottare per ottenerlo, facendo a spallate contro il destino e la predeterminazione. Ci hai fatto capire cosa significa davvero resilienza, ci hai mostrato le sfumature più fragili, dolorose e tormentate dell'animo umano. Ci hai guidato nella scoperta di un fato, tra i capricci e i tormenti della nostra psiche, ci hai tenuto per mano nella paura del nostro vero Io e nel terrore di un'impotenza esistenziale.

Ci hai raccontato perché è giusto combattere per se stessi, per la propria autoaffermazione, ma anche per gli altri. Ci hai raccontato amore e perdita, vita e morte, genialità e follia, cielo e terra, moralità e desiderio. Ci hai detto che la redenzione è possibile, che il buono esiste anche quando il male si insinua fin nelle viscere, che il marciume si può raschiare, e che sotto di esso c'è luce, c'è il bello, c'è la vita.

Ci hai descritto il dolore, la perdita, la violenza, la furia. Ma poi l'amore, la speranza, la passione, la fiducia. Li hai mescolati, intrecciati, amalgamati in una creatura imperfetta e controversa, li hai caricati su due spalle possenti e nascosti in un animo fragile, li hai coperti con un mantello e uno spadone e li hai consegnati a noi e all'eternità. Non è importante, in questo momento, pensare a quanto quella creatura sia cambiata, a come sia diventata controversa e ambigua.

Quello che ha scolpito nella storia è ancora lì, fermo e indelebile. E non importa che tu l'abbia lasciata incompiuta, Maestro, per adesso non importa. Perché è anche nell'imperfezione che può e deve misurarsi la grandezza di un artista, la sua libertà, la sua voglia di creare. Perché è importante che, in questo momento, non ci assalga il senso di vuoto di ciò che avrebbe potuto essere. Quel che conta, oggi come domani, è pensare a cosa ci ha lasciato.

Berserk Vai, Maestro, non importa. Ciò che hai dato è più importante di ciò che lasci in sospeso. La tua scomparsa ci lascia un vuoto colmo di dispiacere e dolore, ma ci ricorda quanto è importante che le persone raccontino una storia. Perché a quella storia, Sensei, ci siamo aggrappati con amore e dedizione, con disperazione e impazienza. Sei sempre stato libero, lontano dalle logiche commerciali dell’editoria, ed è così che dobbiamo ricordarti. Libero di raccontare, di creare, di trasmettere. Libero come Gatsu, che d'ora in poi immagineremo vagare per sempre senza una meta, alla ricerca di se stesso. E va bene così. E ora che l’Eclissi sembra essere sopraggiunta anche sulla tua vita, vai. Continua ad essere libero, Sensei, come hai sempre fatto. In fondo ne è valsa la pena.