La tomba delle lucciole : il volto della guerra nel capolavoro Ghibli

Unico assente dal catalogo Netflix, La tomba delle lucciole è uno dei più importanti film dello Studio Ghibli: ecco perché è un capolavoro.

La tomba delle lucciole : il volto della guerra nel capolavoro Ghibli
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La vita adulta di una lucciola ha una durata effimera. Le piccole creature sono in grado di rischiarare le nottate estive solamente per qualche settimana, prima di spegnersi definitivamente. Uno spettacolo ammaliante, che in Giappone è ammantato da affascinanti leggende. Le due specie più diffuse nel Paese rispondono non a caso ai nomi di Heike e Genji, nomenclature che rimandano direttamente al XII secolo, periodo durante il quale nel Sol Levante fu combattuta la Guerra Genpei. Un evento che riveste un ruolo di rilievo nella storia nipponica e che vide confrontarsi due grandi clan: i Taira e i Minamoto, rispettivamente noti anche come, appunto, Heike e Genji. La leggenda vuole che i Samurai caduti durante lo scontro abbiano visto le proprie anime trasformarsi in lucciole. Ancora oggi, i mesi estivi vedono molti Giapponesi radunarsi per dedicarsi alla contemplazione dello spettacolo notturno offerto dal volo e dalla danza di milioni di queste creaturine.

Un fascino fiabesco che ammanta di magia anche una pellicola che occupa un ruolo del tutto speciale all'interno della storia dello Studio Ghibli: La tomba delle lucciole. Firmata da Isao Takahata, l'opera è un ritratto tanto struggente quanto imprescindibile del dramma della guerra. Un'istantanea che immortala le fasi finali del secondo conflitto mondiale in Giappone, ma la cui potenza espressiva trascende i confini temporali e geografici, in una riflessione che sprigiona un dolore straziante, il cui ricordo è terribilmente necessario.

Il regista e la Seconda Guerra Mondiale

29 giugno 1945. Isao Takahata aveva 9 anni quando, correndo a perdifiato, abbandonava la sua abitazione con una sorella maggiore: sulla Prefettura di Okayama cadevano le bombe incendiarie. Ordigni bellici in grado di scatenare in breve tempo tempeste di fiamme, pronte ad avvolgere il legno delle architetture giapponesi in devastanti roghi di distruzione e orrore. Nel raccontare l'episodio, il regista rammenta perfettamente il sibilo degli strumenti di morte che piovevano dal cielo, esattamente come rammenta i cadaveri dei concittadini che affollavano le strade al termine dell'attacco: "Io ero lì e l'ho vissuto in prima persona, quindi so com'è stato".

La traumatica esperienza di quei giorni di guerra è stata riversata da Takahata in La tomba delle lucciole. Senza filtri e senza compromessi. Le fiamme avvolgono con la medesima ferocia le vite dei personaggi che popolano la pellicola, scandite dall'angosciante risuonare nell'aria delle sirene che preannunciano un nuovo bombardamento.

Ma la pellicola Ghibli è anche figlia di un omonimo racconto semi-autobiografico. Firmato dallo scrittore Akiyuki Nosaka, lo scritto rievoca in parte la sua esperienza giovanile nella Kobe del 1945, città fortemente colpita dai bombardamenti, durante i quali il ragazzo perse la sua famiglia adottiva, formata da madre, padre ed una sorella minore di 4 anni.

Il vero volto della guerra

La tomba delle lucciole si apre con una dichiarazione cristallina: Seita e Setsuko, protagonisti della storia che sta per iniziare, non sono sopravvissuti alla follia della guerra. Una rivelazione fortemente voluta da Takahata, che ebbe modo di spiegarne le ragioni con queste parole: "È traumatizzante per un pubblico vedere le vite di due persone felici che si deteriorano col passare del tempo sino a morire tragicamente. Se sanno sin dall'inizio che i due finiranno per perdere la vita, sono più preparati a guardare il film. Provo ad attenuare il dolore rivelando ogni cosa in partenza".

La scelta probabilmente riesce nell'intento di far concentrare l'attenzione dello spettatore non sull'esito delle vicissitudini che coinvolgeranno i due giovani, ma sul lento e inesorabile cammino di privazioni lungo il quale si ritroveranno a muoversi le loro esistenze. Quanto al dolore, ve lo anticipiamo in maniera netta: la premessa offerta da Takahata non riuscirà a rappresentare uno scudo dietro il quale proteggersi. La tomba delle lucciole è un film crudo, spietato, inesorabile, che non esita a mostrare a schermo l'orrore primordiale che si cela dietro le cronache, i numeri e le statistiche di ogni conflitto.

Protagonisti sono il quattordicenne Seita e la sua sorellina Setsuko, di 4 anni. Nell'estate del 1945, la città di Kobe è vittima di plurimi bombardamenti, che radono progressivamente al suolo la città. In seguito agli incendi causati dagli attacchi, i piccoli perdono la loro dimora e, a breve distanza, anche la madre. Mentre il padre è di stanza nella Marina Imperiale, non resterà loro altra scelta che affidarsi a una lontana zia.

Quest'ultima, tuttavia, si dimostrerà incapace di offrire a Seita e a Setsuko calore umano, spingendo infine il fratello maggiore a prendere la decisione di insediarsi in un rifugio abbandonato, dove saranno protetti dalle bombe e potranno condurre la propria esistenza in un tentativo di isolarsi dall'orrore che avanza inesorabile nel Paese.

A illuminare le loro notti, soltanto il brillare delle lucciole che si alzano in volo sul lago circostante il riparo. Meravigliosa fonte di stupore nel buio, i Lampiridi si trasformano al mattino in un nuovo presagio di morte in grado di commuovere la piccola Setsuko, che non riesce a spiegarsi come mai creature così belle siano destinate a vivere così poco.

Il paragone tra la sorte delle lucciole e la precarietà dell'esistenza umana è invece sin troppo chiaro per Seita, la cui unica preoccupazione durante l'intera pellicola sarà quella di preservare la sorellina dall'orrore che li circonda. Ma gli esseri umani che abitano La tomba delle lucciole sono profondamente realistici, così come la crisi che avvolge Kobe, e in quanto tali, imperfetti. Tra una zia che vede nei fratelli due bocche in più da sfamare in una situazione di penuria alimentare e un agricoltore che ha nel suo raccolto il sottile confine tra l'inedia e la sopravvivenza, i personaggi ritratti da Takahata sono persone con le spalle al muro.

Anime rese aride da una condizione in cui vivere o morire può dipendere da quanto è grande il pugno di riso che si riuscirà a cuocere nell'unico pasto della giornata. Figure a cui la Storia non offre la scelta di essere migliori: non quando è la propria vita a essere costantemente sotto assedio.

In La tomba delle lucciole non ci sono eroi, solo persone disperate che hanno tutto da perdere. Nella pellicola non vi sono soldati, non vi sono battaglie, non vi sono segni di conflitto diversi dalle sirene e dalle bombe che cadono dal cielo: soltanto uomini e donne allo sbando, ormai rassegnati a veder svanire giorno dopo giorno un po' della propria umanità.

Ed è per questo che l'opera di Takahata è così importante, una pellicola di animazione che racconta il ventre più oscuro della guerra, il dramma che affligge i civili, l'avidità e l'egoismo che diventano scudi necessari ad andare avanti, la fame che serpeggia nelle strade e nelle poche case non andate in cenere. E sarà questa stessa fame, non le armi, a condurre alla straziante morte di Setsuko, privando a sua volta Seita, divorato dai sensi di colpa, di ogni desiderio di sopravviverle. Questo è il volto della guerra di cui Takahata è stato testimone da bambino, e questa è la guerra raccontata in questo straordinario film dello Studio Ghibli.

Il lascito

Il giudizio di Takahata sul suo capolavoro è estremamente lucido e razionale: "Il Giappone è stato devastato dalla guerra. Non dovremmo mai dimenticarlo, così come non dovremmo mai scordare che anche noi abbiamo a nostra volta inflitto molta sofferenza ad altri Paesi. Tuttavia, all'inizio delle ostilità nessuno sa quanto la guerra sia orribile. 'La tomba delle lucciole' non è un film anti-guerra, per il semplice fatto che non è in grado di impedire che scoppi un altro conflitto".

Le guerre, è evidente, sono fenomeni complessi, le cui radici affondano spesso in una commistione inscindibile di elementi storici, economici, ideologici e sociologici. Per tale ragione, sì, è vero: una semplice pellicola cinematografica non può essere un argine alla violenza armata, ma seguire la storia di Seita e Setsuko è uno struggente, necessario, esercizio di empatia.

Un atto che in un tempo in cui l'isolamento e l'edificazione di muri vengono descritti come soluzioni e non come atti pericolosi, in cui con folle cinismo si chiudono gli occhi di fronte a tragedie umane che affollano mari e terre e in cui mettersi nei panni dell' "altro" è un esercizio troppo spesso inapplicato, La tomba delle lucciole assesta un poderoso pugno nello stomaco alle coscienze degli spettatori, mostrando loro il crudo e anonimo volto della disperazione che può attanagliare la vita umana.

Il capolavoro di Takahata è un film del 1988, approdato nelle sale giapponesi quando ancora in Europa trovava posto il Muro di Berlino. Nei 22 anni che sono seguiti, il pianeta è stato testimone di innumerevoli atrocità. E mentre il degrado ambientale rende sempre più difficile imbattersi in lucciole capaci di rischiarare le notti più oscure, il cambiamento climatico pone una grave ipoteca sulle capacità future del pianeta di soddisfare i bisogni essenziali di molte comunità umane. Parallelamente, il Rapporto ONU 2019 sulla Nutrizione Globale delinea il quadro di un 2018 in cui circa 820 milioni di persone non hanno avuto accesso a un sufficiente quantitativo di cibo: un dato in crescita per il terzo anno consecutivo. Complessivamente, si contano 200 milioni di bambini sotto i 5 anni di età affetti da malnutrizione cronica o acuta. L'Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati ci parla di un 2018 chiusosi con 70,8 milioni di persone in fuga nel mondo a causa di persecuzioni, conflitti, violenze o violazioni dei diritti umani.

In Giappone, la tradizione vuole che gli spiriti delle persone care restino accanto ai vivi, per offrire loro protezione. Allo stesso tempo, gli antenati sono spesso immaginati intenti a vegliare sui propri discendenti, affinché non commettano errori. Credenze che forse sarebbe meglio conoscere prima di visionare La tomba delle lucciole, e che dovrebbero riaffiorare alla mente nel silenzio assoluto che domina la scena finale della pellicola, in cui lo sguardo di Seita e Setsuko, ormai spiriti, si posa su una notte rischiarata non dalla luce delle lucciole, non dalle case degli Anni Quaranta, ma da moderni grattacieli.

Una tomba per le lucciole Isao Takahata, co-fondatore dello Studio Ghibli insieme ad Hayao Miyazaki, ha regalato al mondo dell'animazione alcuni tra i suoi esponenti più prestigiosi: La Storia della Principessa Splendente e La Tomba delle Lucciole. Pur figlie del medesimo padre, le due pellicole non potrebbero essere più differenti. Se nel 2013 il regista ha incantato e commosso il mondo del cinema con una fiaba magica e struggente, nel 1988 Takahata adottava invece un approccio radicalmente neorealista per racchiudere il dramma della guerra in un'opera immortale. La tomba delle lucciole non è solamente un eccellente prodotto d'animazione, ma una tra le migliori incarnazioni di genere nel panorama del film di guerra. Un racconto tragico, senza filtri, senza edulcorazioni, senza eroi, in cui il dramma di una follia senza volto perpetua i suoi effetti su di un'umanità imperfetta, che di fronte a un dolore inconcepibile non può fare altro che rinchiudersi in se stessa, cercando di proteggere chi più ama al mondo.

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