Lupin III: i migliori 10 film sul ladro gentiluomo

Lupin III, emblema del singolo contro la moltitudine, del libero contro il potente. Dieci film per (ri)scoprire il mito creato dalla penna di Monkey Punch.

Lupin III: i migliori 10 film sul ladro gentiluomo
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Quando si dice Lupin III, prima di tutto si pensa alle meravigliose serie animate prodotte a partire dagli anni 70 e proseguite fino ai nostri giorni; il secondo pensiero è probabilmente destinato al manga originale di Kazuhiko Kato in arte Monkey Punch, fra i maggiori successi della casa editrice Futabasha. Qualcuno ricorderà le storie realizzate in Italia dai Kappa Boys, fra cui la splendida Il violino degli Holmes, gradevole mix fra Collodi, Arthur Conan Doyle e la fantascienza steampunk.

Parte dell'intramontabile successo del franchise "Lupin III" è comunque da ascriversi ai numerosi film, alcuni pensati per il cinema, altri televisivi, che coniugando efficacemente umorismo, epicità e azione hanno concorso a cementare il mito del ladro gentiluomo più famoso di sempre. Per orientarci vediamo insieme quelli che si possono considerare i migliori per trama, caratterizzazione, animazioni e regia, i più amati dagli spettatori, insomma gli "imperdibili 10" di Rupan Sansei.

Trappola mortale/Dead or Alive

Lupin III e fantascienza, un legame re so indissolubile dal necessario "sense of wonder" che si accompagna a ogni incarnazione mediale del personaggio creato da Kazuhiko Kato. Dead or Alive, noto nel nostro Paese come "Lupin III - Trappola mortale" è il quinto film d'animazione dedicato al franchise ed è stato realizzato nel 1996, nel mezzo di quello iato creativo che separa la terza serie dal revival del 2015. Distribuito nei cinema, come potete leggere nella nostra recensione di Lupin III Dead or Alive, rappresenta anche l'esordio dietro la "macchina da presa" per Monkey Punch, creatore del personaggio, ed è dotato di una trama estremamente semplice: il ladro più famoso del mondo si reca a Zufu, un immaginario Paese orientale che ha subito da poco uno spietato colpo di stato, perché intenzionato a trafugare il tesoro reale.

A mettergli i bastoni fra le ruote, lo spietato dittatore Cacciateste e la Nanomacchina, creatura cibernetica dalle strabilianti capacità. Tra travestimenti, romance e azione scatenata, Dead or Alive è un film di Lupin abbastanza tipico, appartenente al filone che potremmo denominare "Lupin contro un potere dittatoriale". Eccelso il climax nel "ventre" della nanomacchina, buone le animazioni (per quanto datate), interessanti i comprimari, il lungometraggio ha come unici difetti un character design poco incisivo e uno storytelling classico. Pesantemente debitore del film di Miyazaki da molti punti di vista (come d'altronde buona parte dei lungometraggi successivi al Castello di Cagliostro), Dead or Alive resta un film godibile e movimentato.

Walther P38/Nome in codice Tarantola

Lupin contro una banda di assassini internazionali: un altro dei tòpoi classici nelle vicende del nostro ladro preferito, i cui temi salienti sono da sempre la ricerca della libertà e il senso dell'onore (almeno nelle sue incarnazioni audiovisive). Come potete leggere nella nostra recensione di Lupin III Walther P38 - da noi conosciuto anche come "Nome in codice Tarantola" - film televisivo diretto da Hiroyuki Yano e andato in onda nell'agosto 1997 su Nippon Television, il film annovera tra i propri numerosi pregi una fotografia più scura del consueto, un character design più spigoloso e intrigante e una narrazione più cruda e adulta rispetto a quanto potevamo vedere sul finire degli anni 90.

Il film scava nel passato di Lupin, rivelando un suo antico socio e si incentra su una Walther P38 argentata, prima pistola da lui posseduta; in questo lungometraggio il ladro di origini francesi, intenzionato a risolvere il mistero della pistola d'argento e a vendicare il ferimento di Koichi Zenigata, si troverà a contrastare le mire di Tarantola, una organizzazione di killer capitanata dallo spietato Gordeaux.

Notevole la canzone "Don't forget my eyes", fra le più belle composte dal leggendario Yuji Ohno. Essendo incentrato sul passato di Lupin, il film si fa ricordare anche per il minore spazio dedicato ai comprimari; il focus è tutto sul protagonista e il tradimento subito nella propria gioventù. La regia è ottima così come le animazioni. Tra lacrime e suggestioni bondiane, tra la splendida sequenza d'apertura e l'amaro finale, Nome in codice Tarantola è un film ancor oggi difficile da dimenticare.

La pietra della saggezza

Prodotto nel 1978 e diretto dall'esordiente Soji Yoshikawa, si tratta del primo lungometraggio cinematografico in assoluto dedicato al ladro gentiluomo creato da Monkey Punch. Posta a metà fra la prima e la seconda serie animata, La pietra della saggezza è un'opera affascinante, difficilmente valutabile. Leggende antiche quanto l'uomo, pietre magiche, clonazione, la ricerca dell'immortalità e la sempiterna vena di fantascienza virata all'inquietudine (memorabile la rivelazione dell'aspetto reale dell'antagonista); tutti questi elementi si fondono e si confondono nella vicenda che vede contrapposta la banda di Lupin e l'organizzazione del misterioso Mamoo, antichissimo individuo che pare avere i poteri di un dio.

Design e regia sono molto classici: fruito oggi, La pietra della saggezza rappresenta un autentico tuffo nel passato. Per la prima volta (ma non sarà l'ultima), complice anche il successo planetario che il protagonista e il suo mondo stavano riscuotendo, Lupin si trova a riflettere sul proprio stesso mito, rigettando l'immortalità e la riproducibilità in qualunque forma, che siano sosia, cloni o semplici imitazioni. Lupin, personaggio vitale per eccellenza, confinato nel proprio eterno presente di libertà, rifiuta la paura del futuro e della morte. Ed eccovi la nostra recensione di Lupin III La pietra della saggezza.

Green VS Red/Verde contro Rosso

Da un punto di vista tematico, e nonostante nella nostra recensione di Lupin III Verde contro Rosso avessimo evidenziato alcuni difetti, l'OAV è tra i più particolari della saga e non si discosta molto da La pietra della saggezza. Analisi impietosa del tecnomito rappresentato da Rupan Sansei, tra ideali di libertà, volizione assoluta e enigma identitario, "Verde contro Rosso" è stato pubblicato in DVD nel 2008 per celebrare il quarantennale del franchise ed è diretto da Shigeyuki Miya, già autore del debole Le tattiche degli angeli. Anche se non ha trovato il plauso di tutti gli appassionati, il film rappresenta al tempo stesso un atto d'amore nei confronti del franchise, una critica velata nei confronti delle sue degenerazioni e un vero e proprio esperimento grafico e narrativo.

Green VS Red si ambienta in un presente in cui Lupin è scomparso dalle scene, e il suo posto è stato goffamente preso da miriadi di sosia il cui aspetto richiama quello delle varie incarnazioni del personaggio: è questo, il tema della scomparsa e della sostituzione, il tema del vuoto e del superamento, assolutamente centrale nell'opera. Fra i tanti "cloni" imperfetti di Lupin spicca un sosia particolarmente convincente, tale Yasuo, un barista sfortunato in amore quasi privo di identità propria, perennemente alla ricerca di una propria strada, che a un certo punto sviluppa un'ossessione per Lupin e decide di assumerne l'identità.

Green VS Red ragiona sulla sopravvivenza del mito di Lupin, ne indaga i motivi e si interroga sulla sua longevità; il film è anche una indagine su una generazione priva di punti di riferimento, che ambisce alla affermazione e alla libertà. Nonostante la raffinatezza dell'idea e la perfezione del finale, il film pecca nella parte centrale, proponendo una vicenda confusa (quella legata a Logan, al Cubo di ghiaccio e alla organizzazione Nightwatch) che alla fine risulta essere un po' inconcludente - ma non è arduo riconoscere in questo sub-plot una gentile parodia di vicende già viste in Dead or Alive e Walther P38.

La lapide di Jigen Daisuke - Ishikawa Goemon getto di sangue - La bugia di Fujiko Mine

Il rinnovamento di Lupin III, franchise che trova consacrazione nella propria dimensione televisiva seriale, è partito nel 2012 con la serie spin-off intitolata La donna chiamata Fujiko Mine, progetto sontuoso che vedeva coinvolti tra gli altri Mari Okada, Yuya Takahashi e Takeshi Koike, autori questi ultimi due di una trilogia di film incentrata sui compagni di Lupin. La lapide di Jigen Daisuke, Ishikawa Goemon getto di sangue e La bugia di Fujiko Mine, sebbene differenti per trama e focus, si prestano ad essere considerati un tutt'uno, parti singole di un medesimo, ambizioso progetto artistico.

Il primo è del 2014, si intitola La lapide di Jigen Daisuke ed è incentrato, come si può intuire, sulla figura del migliore amico di Lupin III. Il focus narrativo, oltre al rapporto fra i due, è incentrato sugli ideali di pace e onore. Assunto come guardia del corpo dalla cantante e attivista Queen Mary, intenzionata a portare la pace nella guerra fratricida fra la Doroa Est e la Doroa Ovest, Jigen fallisce il proprio compito e viene preso di mira dal killer Yael Okuzaki, tra i più iconici mai apparsi nel franchise. Creduto morto per buona parte del film, Jigen dimostrerà di poter avere la meglio anche su una tecnologia fantascientifica. Apprezzabile il cameo di Mamoo, avversario già visto in La pietra della saggezza. Potete anche recuperare la nostra recensione di Lupin III La lapide di Jigen Daisuke.

Nel secondo, dedicato all'imbattibile Goemon (forse il meno riuscito del terzetto), la narrazione è incentrata sul senso dell'onore e sulla forza d'animo del samurai che, sconfitto e umiliato da un avversario apparentemente superiore, si impegnerà in un arduo allenamento che fungerà anche da dimostrazione di fiducia da parte dei suoi compagni. Da notare lo splendido finale, in cui la figura dell'avversario Hawk brilla per carisma e ironia. Eccovi la nostra recensione di Lupin III Ishikawa Goemon Getto di sangue.

Nel terzo film (qui la nostra recensione di Lupin III La bugia di Fujiko Mine) l'incarico consiste nel proteggere Randy, contabile di una cosca mafiosa in fuga dopo aver rubato del denaro, e suo figlio Gene, affetto da una rara malattia che è la causa del furto di Randy. L'avversario che i nostri eroi dovranno affrontare è un sicario dotato di oscuri poteri, Bincam, gelido e apparentemente indistruttibile. Al di là della qualità di tutti e tre i prodotti qui citati, la trilogia è caratterizzata da alcuni elementi ricorrenti: in tutti i protagonisti si ritrovano coinvolti in un incarico di protezione (Jigen e Queen Malta, Goemon e Makio Inaniwa, Fujiko e Randy) che per varie ragioni falliscono; i tre sicari che rappresentano gli avversari della trilogia, Yael, Hawk e Bincam, rappresentano una sorta di elemento di continuity che giungerà a conclusione nel terzo film, con il ritorno di Yael e la rivelazione dell'esistenza della "Fabbrica di killer"

Episodio 0/C'era una volta... Lupin

Torniamo indietro nel tempo, per la precisione al 2003: quattordicesimo speciale televisivo dedicato al ladro più famoso di sempre, Episodio 0 racconta, aggiornandole, le origini della banda di Lupin, pur lasciando sul finale un minimo di (sanissimo) dubbio sulla veridicità del racconto. Il film comincia in un bar fumoso e buio, nel quale una giovane e bellissima giornalista di nome Elenor, intenzionata a scrivere un libro sul famoso ladro, è intenta a intervistare il pistolero Jigen. In questa versione della storia, Jigen è guardia del corpo del capomafia Gavez il quale è in possesso di un oggetto desiderato da tutti i suoi futuri complici, il cosiddetto Scrigno di Hermes, un oggetto misterioso impossibile da aprire.

Lupin e il suo amico Brad falliscono a causa di Jigen, che si intromette per senso del dovere, un primo tentativo di furto, mentre Fujiko, fidanzata di Brad, fa inizialmente in doppio gioco come suo solito. Lo scrigno è, in effetti, un semplice cilindro metallico contenente le informazioni necessarie per realizzare il materiale di cui è composta la spada Zantetsuken, il cui recupero porterà anche Goemon a New York. Il primo incontro fra i quattro sarà a dir poco esplosivo, ma sappiamo bene che in seguito i nostri eroi, al momento avversari, sono destinati a divenire inseparabili.

Anche se la trama appare molto classica, e come prequel risulta meno ambizioso rispetto alla serie-capolavoro Una donna chiamata Fujiko Mine, il film di Minoru Ohara ha una ottima qualità tecnica, con animazioni più fluide della media, ottimi sfondi e una grafica classica e piacevolissima che hanno concorso al suo successo presso gli appassionati.

La cospirazione dei Fuma

Evidentissimo tentativo di recuperare le atmosfere (e quindi il successo) del capolavoro Il castello di Cagliostro, al netto del suo essere derivativo da un punto di vista artistico La cospirazione dei Fuma resta fra i più amati dai fan di tutto il mondo. Come ci è stato mostrato in opere come La pietra della saggezza e Green VS Red, Lupin è anche estetica e questo lungometraggio ce lo mostra ancora una volta: giacca verde, FIAT 500, Fujiko con i capelli rossi, e il mito è servito.

Siamo nel 1987, si è conclusa da poco la terza, controversa serie anime nota in Italia come Lupin, l'incorreggibile Lupin - quella, per intenderci, con l'aborrita "giacca rosa". Complice l'insuccesso della serie spin-off Lupin VIII e del film cinematografico Lupin e la leggenda dell'oro di Babilonia, i realizzatori decidono di optare per un aspetto e una narrazione più rassicuranti, più simili a quelli delle origini. Nasce così La cospirazione dei Fuma, un film che più classico non si può.

Diretto da Masayuki Ozeki, il lungometraggio riprende un clan di nemici di Lupin già visti nella prima serie animata e recupera atmosfere e dinamiche note e amate; l'inedita ambientazione totalmente nipponica consente di dare il giusto peso all'outsider per definizione della banda Lupin, quel Goemon "Getto di sangue" perennemente combattuto fra gli istinti mondani e la trascendenza del guerriero assoluto. La cospirazione dei Fuma non vede nel soggetto il proprio punto forte, bensì nelle singole situazioni e nei singoli personaggi, che concorrono a dare allo spettatore quell'impressione da "prima serie" che tanto peso ha avuto negli anni nel rendere questo film così apprezzato dai fan. Zenigata convertitosi al buddismo dopo la apparente morte di Lupin vale già da solo il prezzo della visione.

Il castello di Cagliostro

Croce e delizia di tutti i fan di Lupin, un film considerato o capolavoro o tradimento dello spirito originario di Lupin. Siamo nel 1979. Un giovane Hayao Miyazaki, allievo del maestro animatore Yasuo Otsuka (cui apparteneva la FIAT 500 F inserita nel film e da allora legata indissolubilmente al mito di Lupin) è un artista che si è fatto le ossa su prodotti destinati a divenire iconici come Heidi e Conan ragazzo del futuro. Ha anche partecipato come regista e animatore alle due serie di Lupin. Gli viene affidata la regia del secondo lungometraggio, Il castello di Cagliostro. Il risultato va oltre ogni aspettativa.

Perfetto incontro fra la poetica narrativa e visuale di Miyazaki, che in quegli anni stava andando sviluppandosi, e le caratteristiche fondanti del franchise, Il castello di Cagliostro è una favola dolceamara in cui Lupin abbandona il ruolo - sempre scomodo - di antieroe per tramutarsi in autentico principe azzurro per salvare e proteggere il futuro della dolcissima Clarisse, che dieci anni prima gli aveva salvato la vita in seguito a un tentativo di furto andato male. Destinata ad andare in sposa al crudele falsario Conte di Cagliostro, per consentire alla dinastia dei Cagliostro di rivivere, Clarisse verrà salvata dalla banda di Lupin al gran completo.

Tra scene iconiche e dialoghi indimenticabili, Lupin e i suoi complici si trovano qui al proprio meglio, mai così decisi ad essere buoni, i salvifici eroi destinati a salvare una nazione preda di un crudele dittatore. Il conte di Cagliostro ha impresso una direzione ben precisa alla saga del ladro gentiluomo, forse lontano dalla sensibilità autoriale di un Miyazaki che in quegli anni andava costruendo il proprio stile: Il villain è in parte un tradimento, qualcosa da cui le nuove incarnazioni audiovisive della serie stanno cercando di smarcarsi per permettere a Lupin di recuperare il tono adulto, scanzonato ma non necessariamente ingenuo che il geniale (futuro) fondatore dello studio Ghibli impose più o meno involontariamente. Ma è anche un capolavoro.