Principessa Mononoke: lo scontro infinito tra uomo e natura

Analizziamo insieme gli aspetti salienti di uno dei lungometraggi animati più famosi dello Studio Ghibli, Princess Mononoke.

Principessa Mononoke: lo scontro infinito tra uomo e natura
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Hayao Miyazaki, artista visionario dalla carriera impressionante, è tutt'oggi riconosciuto come uno dei più grandi registi d'animazione di sempre. Recentemente, la piattaforma di streaming Netflix caricato 7 nuovi film Ghibli, così da permettere anche agli spettatori più giovani di immergersi nei mondi fantastici creati dall'autore in passato. Tra le varie opere disponibili online non possiamo non citare Principessa Mononoke, il film d'animazione del 1997 campione d'incassi in patria e capace, con le sue atmosfere a cavallo tra fiaba e racconto di formazione, di approfondire in maniera appagante una delle tematiche più care a Miyazaki: il confronto tra l'uomo e la natura.

Un viaggio necessario

La storia prende il via durante il periodo storico Muromachi, in cui vediamo un minaccioso demone attaccare il villaggio dove risiede il principe Ashitaka, un giovane e abile guerriero. Sconfitta la minaccia, il protagonista viene però colpito da una terribile maledizione generata dal rancore della creatura mostruosa.

Ashitaka, dopo aver consultato la sciamana del villaggio, decide quindi di partire per una lunga avventura nel tentativo di trovare un rimedio al male che lo affligge. Il tema dell'ambientalismo, da sempre caro a Miyazaki, ritorna preponderante anche in questo caso, ponendo lo spettatore prima di tutto di fronte al grande spettacolo della natura incontaminata.

Fin dai primi minuti, ci ritroviamo così davanti a immensi paesaggi in cui il verde (colore legato alla natura per antonomasia) diventa preponderante. Il viaggio compiuto dal protagonista, oltre ad avere una funzione puramente pratica, assume anche una valenza simbolica, trasformandosi di fatto in un percorso di crescita interiore a contatto con l'ignoto e l'inesplorato.

Nei vari momenti in cui assistiamo alle traversate silenziose del giovane a bordo del suo stambecco rosso Yakun, diventa ancora più chiaro l'intento dell'autore nel voler rimarcare l'immensa bellezza degli ambienti circostanti.
La natura viene quindi mostrata nel corso dell'opera attraverso la sua forma più pura e cristallina, tramite distese erbose sconfinate, montagne impervie da scalare e ruscelli in cui immergersi per ristorarsi.

Un'umanità cieca

Una volta arrivato alla Città del Ferro, guidata con fare deciso dalla signora Eboshi, il protagonista si ritrova a vivere in prima persona un conflitto dall'esito incerto. Da una parte ci sono infatti gli umani, desiderosi di acquisire sempre più risorse per il mantenimento della città in cui vivono; dall'altra troviamo invece le divinità animali, esseri legati indissolubilmente al mondo naturale desiderosi di difendere il loro territorio con ogni mezzo a loro disposizione.
Il confronto tra le due fazioni, che in un primo momento potrebbe apparire semplicistico, in realtà diventa via via sempre più stratificato, soprattutto dalla seconda metà dell'opera in poi.

Nonostante infatti gli umani siano da considerarsi di fatto degli invasori, le due fazioni contrapposte sono comunque accomunate dallo stesso sentimento: l'odio. Per tutta l'opera si respira quindi un clima solenne e brutale, quasi a ricordarci dell'implacabile forza della natura a cui niente e nessuno può opporsi.
I numerosi abitanti della cittadina, spesso semplici e pacifici lavoratori, vengono dipinti come spettatori impotenti di un conflitto troppo grande per loro, spesso impauriti da ciò che non riescono a comprendere appieno.

I guerrieri comandati da Eboshi risultano invece molto più crudeli, intenzionati a calpestare il mondo naturale per piegarlo ai propri bisogni. Allo stesso modo gli animali giganti che popolano la foresta, nonostante combattano per una giusta causa, si dimostrano in varie occasioni davvero spietati, particolare capace di rendere sempre più sfumato il conflitto, allontanandosi se vogliamo dalla semplice dicotomia legata al concetto di buoni/cattivi in favore di un confronto sempre più sfumato.

La violenza

L'opera rimane, ad oggi, una delle più violente dello studio; la particolarità di questa scelta stilistica riesce a rendere il racconto ricco di pathos e atmosfera, mostrando a più riprese numerosi fiotti di sangue e arti mozzati, a testimoniare l'intenzione dello stesso Miyazaki di allontanarsi il più possibile da una visione accomodante del conflitto. La prima apparizione della Principessa Mononoke, figlia adottiva della lupa gigante Moro, è perfettamente in grado di far comprendere allo spettatore la brutalità del conflitto.

Una violenza quindi non solo suggerita, ma anche mostrata a più riprese, caratteristica oltretutto di entrambe le fazioni; dalle armi da fuoco a quelle bianche, passando anche per l'impiego di dardi velenosi e tecniche di guerriglia, gli scontri non risultano mai fini a sé stessi ma, molto spesso, capaci di far progredire la storia in maniera cruciale. Dallo scontro iniziale con il cinghiale, all'assalto della principessa alla Città del Ferro passando per l'attacco finale degli umani al dio della foresta, i momenti concitati non assumono una funzione di semplice riempitivo quanto invece di vero e proprio pilastro per l'intera trama.

La potenza della natura

L'opera, ammantata da una forte valenza ambientalista, riesce a mostrarci perfettamente la forza incontrastata degli elementi naturali, usando i numerosi animali giganti come personificazione dello spirito ancestrale della foresta.
La stessa divinità-cervo. spirito guida di tutti gli animali, è caratterizzata da due anime differenti; oltre infatti alla sua natura benevola e caritatevole, nel corso dell'opera assistiamo anche alla sua attitudine alla distruzione.

Una divinità capace quindi tanto di donare la vita che di toglierla, talvolta impietosa nelle sue sentenze di morte ma capace al tempo stesso di perdonare perfino le azioni più meschine. Il cervo divino diventa così uno dei personaggi cardine del racconto, capace con le sue gesta di impersonificare molto bene il concetto stesso di rinascita della natura a sua volta capace, nonostante i numerosi problemi, di ritrovare sempre e comunque la forza di andare avanti.

Le animazioni

A supporto della stratificata storia vi è anche la straordinaria cura dei disegni; in ogni sequenza è infatti possibile notare la cura a tratti maniacale di ogni singolo elemento presente su schermo. Dalla rifrazione della luce sulle foglie degli alberi, alla fluidità dei movimenti dei personaggi fino alle espressioni facciali dei vari animali giganti, non si può che constatare lo straordinario lavoro fatto sul versante tecnico (d'altronde uno dei marchi di fabbrica storici dello Studio Ghibli).

Di grande impatto anche il character design dei vari personaggi, capaci di rimanere perfettamente sedimentati nella memoria dello spettatore fin dal primo momento, a cominciare dall'iconico look di San e del principe Ashitaka fino ad arrivare a Moro e al dio della foresta.