Da Tezuka a Miyazaki e Ghibli: come Disney ha influenzato anime e manga

Walt Disney è colui che più di tutti ha rivoluzionato l'animazione. Scopriamo come lui e la sua azienda ha ispirato il paese del Sol Levante.

Da Tezuka a Miyazaki e Ghibli: come Disney ha influenzato anime e manga
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Lo stile anime/manga ha assunto una forte identità - nell'estetica e nella narrazione - e forse è proprio questa la causa della sua popolarità sempre crescente. Pensando ai canoni estetici di questa industria, ci vengono in mente volti leggermente sproporzionati rispetto al resto del corpo, occhi giganti e nasi appena accennati. Ma da dove vengono questi tratti così particolari? In parte sono figli di un retaggio artistico tipicamente giapponese, ma è impossibile studiare l'animazione nipponica senza avere almeno un'infarinatura generale di quella americana, e quindi, in primis, di Walt Disney.

Bisogna dunque chiedersi quanto la Disney - la casa di produzione di opere animate per eccellenza - e in particolare l'ideatore di Mickey Mouse, ha influenzato l'altro baluardo dell'animazione nel mondo, ovvero il Giappone? A tal proposito, tanto per fare un esempio, al seguente link trovate un articolo che racconta quanto Walt Disney ha ispirato Eiichiro Oda. In questa sede, invece, proveremo a comprendere l'enorme impatto del modello Disney a livello stilistico, narrativo, estetico, ma anche economico e distributivo su un paese storicamente abituato a imparare dalle eccellenze di quelli stranieri, oltre che a reinterpretarle a suo modo.

Capire attraverso la storia

Prima di cominciare occorre fare dei cenni storici: verso la fine degli anni '10, nel Sol Levante cominciarono le prime sperimentazioni di opere animate. Nonostante ebbero subito un discreto successo, le case di produzione, consapevoli del fatto che il cinema animato fosse indietro anni luce rispetto a quello live action in termini di prestazioni tecniche, tendevano a tagliare i budget destinati alle opere anime. Per molto tempo vennero realizzati cortometraggi di pochi minuti, soprattutto durante la Seconda Guerra Mondiale. Queste produzioni assunsero una funzione quasi del tutto propagandistica.

Un punto di svolta per il mercato dell'animazione giunse dagli Stati Uniti, ove nel 1937 venne proiettato, con incassi record, il primo lungometraggio animato di sempre: Biancaneve e i sette nani. L'innovazione tecnica, lo stile fiabesco arricchito da sfumature che strizzavano l'occhio al pubblico adulto, e soprattutto il successo che rese grande Walt Disney e la sua compagnia, convinsero le grandi realtà del mercato cinematografico giapponese a investire in questo nuovo mezzo artistico.

L'occupazione del Giappone da parte degli statunitensi al termine della Seconda Guerra Mondiale ebbe un'influenza altrettanto importante: gli americani non sottomisero violentemente le nazioni che accettarono di schierarsi dalla loro parte al termine del conflitto, ma utilizzarono il cosiddetto soft power. I grandi imprenditori USA investirono molto in Giappone, baluardo del capitalismo nell'estremo oriente, influenzandolo sul versante economico e culturale. Ci fu un'ingente esportazione di prodotti e servizi occidentali che cambiarono drasticamente lo stile di vita e il gusto dei giapponesi. Grazie a questo il brand di Topolino entrò nell'immaginario collettivo nipponico, con la distribuzione massiccia delle sue opere, da Bambi a Pinocchio, fino alle quelle più recenti.

Il sodalizio Disney-Tezuka

Ma il collegamento più evidente e significativo è quello tra Disney e Osamu Tezuka, il dio dei manga, colui che più degli altri ha innovato i fumetti nipponici e gli anime, introducendo canoni ancora oggi in uso. Tra i due intercorreva un rapporto di amicizia e stima reciproca. Disney confessò al mangaka che avrebbe voluto realizzare un'opera della stessa caratura di Astro Boy, rivoluzionaria sotto ogni aspetto (forse dimenticandosi di aver ideato Mickey Mouse), mentre Tezuka durante la sua infanzia divorò le pellicole Disney, soprattutto Bambi e Pinocchio.

Se ci soffermiamo a osservare i tratti somatici di Astro Boy, infatti, i richiami ai personaggi disneyani sono evidenti: gli occhi grandi e espressivi che ricordano quelli del celebre cerbiattino, o la silhouette riconducibile a quella del topo più famoso di sempre, nonché le spesse linee di contorno che hanno caratterizzato i classici Disney fino all'avvento del 3D. Dal punto di vista narrativo, invece, l'artista giapponese assimilò un taglio più cinematografico (tanto che "La nuova isola del tesoro", considerato il primo manga moderno della storia, ricorda nella disposizione delle tavole lo storyboard di un film) e una serie di tematiche molto mature, pur mantenendo un'estetica e un modo di raccontare che continuava a strizzare l'occhio al pubblico più giovane.Questo sodalizio ispirò le future generazioni di mangaka e registi d'animazione che, attingendo a piene mani dalle opere di Tezuka, assorbirono inevitabilmente anche la poetica di Disney. E ciò fu subito evidente.

Il World Masterpiece Theater

Con la pionieristica trasposizione animata di Astro Boy, in onda dal 1963 al 1966, il dio dei manga aveva dato inizio all'industria delle serie tv animate. Dopo soli tre anni dalla conclusione della serie targata Tezuka, e fino al 1997, l'emittente televisiva Fuji TV iniziò a serializzare un massiccio numero di anime. Questo vasto corpus di opere prese il nome di Meisaku, o World Masterpiece Theater (molte delle quali sono disponibili su Prime Video). Anna dai capelli rossi, il Piccolo Lord e Heidi sono tutti e tre dei Meisaku. Le serie erano accomunate da paradigmi narrativi molto simili tra loro, e in particolare dal fatto che fossero in gran parte tratte da romanzi di formazione e fiabe occidentali: chi vi ricordano?

Gli anime del World Masterpiece Theater godevano di un budget molto limitato rispetto ai classici Disney, e questo spinse registi e animatori a
cercare escamotage per nascondere le lacune tecniche dovute al budget: questo contribuì a dare identità al genere e all'industria anime. Inoltre parteciparono alla realizzazione dei Meisaku alcuni maestri assoluti dell'animazione, primi tra tutti i due sensei dello studio Ghibli, Miyazaki e Takahata.

La Disney e lo studio Ghibli

Il rapporto tra lo studio Ghibli e Topolino - soprattutto a livello aziendale - è complicato. Miyazaki ha sempre rifiutato l'appellativo di "Disney giapponese". Ovviamente il sensei ha studiato Topolino e compagni solo formalmente: dal suo stile alla sua forte impronta ideologica, passando per i temi molto maturi e le critiche al sistema, i pilastri fondamentali del cinema miyazakiano conferiscono alle sue opere un'autorialità tale che è impossibile relegarlo a mero surrogato di Walt Disney.

Ma i diverbi tra le due aziende, nonostante le affinità mediatiche, sono soprattutto a livello di "industria", e sono utili per capire quanto il colosso del cinema non sia solo influente a livello artistico, oltre che editoriale. Nel 1996 la Disney ottenne i diritti per la distribuzione dei film Ghibli, e fu un disastro. Le pellicole di Miyazaki e Takahata incassarono pochissimo, vennero proiettate in pochi cinema (e teatri), spesso in estate; il film che incassò di più fu Arietty, con soli 19 milioni di dollari di profitto. Non crediamo che l'intento degli alti ranghi della Disney fosse quello di sabotare i film Ghibli, ma che si sia trattato dell'incapacità di comprendere i punti di forza di opere molto diverse da quelle occidentali, anche per quanto concerne i gusti del pubblico. Si pensava che non sarebbero stati capiti, e così negli Stati Uniti i film Ghibli rimasero un fenomeno di nicchia per molto tempo.

È iconico un aneddoto legato alla distribuzione di Princess Mononoke (trovate di seguitola recensione di Principessa Mononoke). Ne era incaricato il tristemente noto Harvey Weinstein. Egli riteneva che ci fossero troppe scene che potevano urtare la sensibilità della giovane audience dell'azienda; decise dunque di tagliare diverse sequenze della pellicola, senza ovviamente il consenso del regista. Dovette cancellare le sue modifiche quando ai Disney Studios arrivò un pacco da parte di Toshio Suzuki, produttore dello studio Ghibli. All' interno c'era una katana e un biglietto che recitava "no cuts".